Scheda film
Regia: Bong Joon-ho
Soggetto: Bong Joon-ho, dal fumetto “Le Transperceinege” di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette
Sceneggiatura: Bong Joon-ho e Kelly Masterson
Fotografia: Hong Kyung-Pyo
Montaggio: Steve M. Choe
Scenografie: Ondrej Nekvasil
Costumi: Catherine George
Musiche: Marco Beltrami
Suono: Mark Holding
Corea del Sud/USA/Francia, 2013 – Fantascienza – Durata: 123′
Cast: Chris Evans, Jamie Bell, Ed Harris, Tilda Swinton, John Hurt, Alison Pill, Octavia Spencer
Uscita: 27 febbraio 2014
Distribuzione: Koch Media
La rivoluzione non è un treno in corsa
Anno 2014, per salvare la terra dal riscaldamento globale, finalmente ammesso, le principali nazioni liberano negli strati dell’atmosfera il composto CW-7, al fine di abbassare le temperature. L’esperimento ha però un risultato nefasto, causando la glaciazione dell’intero pianeta e l’estinzione di tutte le forme di vita.
Anno 2031, un lunghissimo treno viaggia su un percorso circolare, compiendolo per intero una volta l’anno, con a bordo tutti i sopravvissuti alla catastrofe mondiale. Il convoglio è il frutto del genio di Mr. Wilson, che in previsione della catastrofe lo ideò per salvare la razza umana. Dalla coda verso la testa del treno si estendono le classi sociali, con la “feccia” nelle ultime posizioni ed i benestanti in cima. Quando la misura è colma, i poveri dell’ultima classe guidati dall’anziano Gilliam (John Hurt) e dal suo naturale erede Curtis (Chris Evans) si ribellano ed iniziano la scalata verso la locomotiva…
Il regista coreano Bong Joon-ho, autore degli inediti in sala Mother e The host, ma usciti da noi rispettivamente in TV ed in home-video, si cimenta con il suo primo film in coproduzione con gli Stati Uniti e soprattutto in lingua inglese e – incredibile quanto raro a dirsi – non sbaglia il colpo! La vicenda di un futuro alternativo, con un sotto-tema ecologico, è ispirata al fumetto francese “Le Transperceinege” di Jean-Marc Rochette e sarebbe molto piaciuta a Terry Gilliam, al cui stile alcune sequenze come quelle nella testa del treno – la parte benestante – ed in particolare quella della scuola sembrano essere ispirate.
Sulla storia di un’umanità prossima alla fine e quasi allo sbando – che evoca solo lontanamente il millenarismo de L’alba del giorno dopo e di 2012 di Emmerich – si innestano le tematiche di un metaforico microcosmo, della lotta di classe affogata nei giochi di potere, di una dittatura quale unica, apparente soluzione alla sopravvivenza del genere umano, del gattopardesco “che tutto cambi affinché nulla cambi”, di un misticismo tecnologico – la locomotiva è considerata sacra ed in un certo senso le vengono offerti sacrifici umani al fine di sostituire i pezzi che negli anni si usurano – come anche verosimilmente futuribili accadimenti quali la glaciazione e lo sfruttamento degli insetti come fonte di proteine, comunque sempre meglio di quella adottata in 2022: I sopravvissuti (Soilent Green) di Richard Fleischer.
Al ritmo di un’azione sostenuta tipica dei film d’azione orientali, hongkonghesi o coreani che siano, che regala alcune sequenze memorabili come ad esempio il combattimento al buio della galleria e quello a suon di armi da fuoco nel vagone-scuola, si muovono egregiamente giovani leve quali Chris Evans e Jamie Bell, mentre attori eccellenti quali John Hurt e Tilda Swinton immolano il loro talento, il primo privato di quasi tutti i quattro arti, la seconda praticamente irriconoscibile sotto un trucco pesantissimo, con tanto di dentiera che ad un certo punto metacinematograficamente si toglie pure. A questo proposito, il regista ha dichiarato che l’attrice inglese avrebbe interpretato anche un altro ruolo, in una differente sezione del treno, truccata in maniera ancor più irriconoscibile. La caccia all’identificazione è aperta!
Note: passato Fuori Concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2013.
Voto: 7
Paolo Dallimonti
#IMG#Dopo l’arrivo di una nuova era glaciale che ha condotto all’estinzione la razza umana, i superstiti hanno trovato asilo a bordo dello Snowpiercer, un treno in moto perpetuo che circumnaviga il globo terrestre. Ma il treno è rigidamente diviso in classi, e i passeggeri dei vagoni di coda preparano una rivolta per assumere il controllo della locomotiva.
Tratto dalla graphic-novel francese “Transperceneige” di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette, Snowpiercer è la prima produzione in lingua inglese di Bong Joon-ho, che si affaccia sui mercati esteri grazie al notevole sforzo produttivo della CJ Entertainment. E bisogna ammettere che, rispetto ai deludenti exploit internazionali dei suoi connazionali Kim Jee-woon e Park Chan-wook, Bong ha ottenuto un risultato invidiabile, senza scendere a compromessi o rinunciare alle proprie esigenze artistiche. Se The Last Stand era uno svogliato action-movie girato col pilota automatico e Stoker era azzoppato da una sceneggiatura di rara idiozia, Snowpiercer fila come un treno (appunto), e il regista riesce nell’ardua impresa di realizzare un blockbuster intelligente (un vero e proprio ossimoro).
Lo Snowpiercer è un microcosmo della vecchia società, quella che si è estinta con la glaciazione, e ne ripropone la medesima struttura classista, che tende per sua stessa natura al collasso entropico. I diseredati, quelli che sono stati ammessi a bordo senza biglietto, sono ammassati come animali nei vagoni di coda, nutriti con miserande barrette proteiche d’incerta provenienza. Il Quarto Stato, segregato in un tenebroso antro, un accumulo di letti a castello, stracci e cianfrusaglie che rammenta un incubo di Dickens, sogna però la rivolta contro le élites, che abitano i vagoni di testa. Guidati da Curtis e dal suo mentore Gilliam (un ottimo John Hurt), gli umiliati e offesi si apprestano a scatenare una ribellione, che gli permetta di assumere il controllo della Sacra Locomotiva. Ma la sceneggiatura di Bong e Kelly Masterson elude le soluzioni troppo semplicistiche (vedi l’affine Elysium di Neill Blomkamp), e non dimentica di insinuare che le rivoluzioni possono anche essere orchestrate dall’alto, al fine di mantenere lo status quo.
Inoltre Bong e Masterson tratteggiano perfettamente i personaggi in fase di scrittura, con una verve ironica che surclassa il Terry Gilliam dei tempi migliori. Dal fascistoide Primo Ministro Mason, con tanto di dentiera e querulo accento britannico (una superba Tilda Swinton), all’esperto di sistemi di sicurezza tossicodipendente Namgoong Minsu (un sublime Song Kang-ho), la cui figlia Yona possiede doti di chiaroveggenza, fino al cinico (o realistico?) Wilford di Ed Harris, il multimiliardario che ha ideato il treno, il quale vive asserragliato all’interno della Sacra Locomotiva come un hobbesiano Mago di Oz, tutti possiedono la nitidezza di una corrosiva acquaforte all’acido nitrico.
Se inizialmente la struttura orizzontale, l’attraversamento di un treno alla Runaway Train di Konćalovskij, appare claustrofobica e limitativa, Bong sfoggia talmente tante invenzioni di regia, che ad altri basterebbero per dieci film. Dopo lo scontro iniziale all’arma bianca con i miliziani di Mason, risolto come una sinfonia di colori di stampo impressionista, una sequenza nella quale si contrappongono il biancore abbagliante della neve, il verde marcio dei visori notturni, il baluginare rossastro delle fiamme, ogni vagone riserva una sorpresa. Come lo stesso Snowpiercer, ogni vagone è un ecosistema chiuso, ma via via che ci si avvicina alla testa del treno l’atmosfera s’incupisce. Dopo l’aula scolastica nella quale un’invasata Alison Pill magnifica le qualità del munifico Wilford ai bambini, con un intermezzo musicale degno di un Disney sotto l’effetto del kronolo, Curtis, Minsu e Yona sprofondano in una decadente atmosfera da Overlook Hotel (“Shining” è esplicitamente richiamato nella colonna sonora con la canzone “Midnight, the Stars and You”), in cui si svolge una festa che non avrà mai fine. Macabro preludio sia all’agghiacciante confessione di Curtis (un sorprendente Chris Evans) che a una conclusione tutt’altro che consolatoria.
Con buona e defintiva pace di Marx, molteplici stilettate d’humour nero affondano nel cuore della lotta di classe; ritorna il gusto del regista per il pamphlet satirico ibridato con il film di genere (vedi The Host), nonchè l’irresistibile eccentricità di alcune invenzioni (la metafora della scarpa, il capodanno, il sushi), tutti elementi che sono il vero carburante che alimenta i motori hi-tech dello Snowpiercer. Il piacere del grottesco e dell’arabesco non riesce però a celare un marcato pessimismo di fondo, riassunto nella splendida inquadratura finale, in cui la miseria umana si specchia nello sguardo sognante di un orso polare.
Girato a Praga, con il fondamentale contributo dello scenografo Ondrej Nekvasil, del direttore della fotografia Hong Kyung-Pyo e della colonna sonora di Marco Beltrami, Snowpiercer travolge sferragliando almeno dieci anni di fantascienza americana. Per nostra fortuna, la locomotiva Bong Joon-ho non accenna ad arrestarsi.
Voto: 7 e ½
Nicola Picchi