In un futuro imprecisato, in una Shangai mutuata (anche nei suoni) da “Blade Runner”, si aggira l’investigatore Tim Robbins alla ricerca di chi falsifica le coperture assicurative che permettono di entrare e/o uscire dalle citta’ protette. E si’, perche il Grande Fratello conosce ogni cosa, non siamo altro che numeri, codici di accesso, qualsiasi azione compiuta viene memorizzata in file, non esiste la privacy e bla bla bla. Il tema e’ dei piu’ usurati, ma il film parte comunque bene: costruisce un’atmosfera credibile e riesce a rendere interessanti i personaggi. Poi lo script cede sotto i colpi vigorosi dell’insensatezza e il lato sentimentale prevale su quello fantascientifico fino all’imbarazzante finale (Samantha Morton in versione Tuareg si prenota un posto d’onore nella “Yeeeuuuch! Parade”). Ultimamente le capacita’ precognitive trovano ampio risalto al cinema (“Immagini”, “Final Destination 2”). Qui assumono la forma del virus “empathy” (Sic!) che consente di leggere il pensiero, ma la sostanza non cambia e i copioni si ostinano a utilizzare queste “visioni” senza alcuna razionalita’ narrativa, saccheggiandole quando ormai lo script non sa piu’ che direzione prendere. Non scatta neanche l’alchimia tra i due protagonisti: una Samantha Morton direttamente prelevata dai Pre-cogs di “Minority Report” e un Tim Robbins volonteroso ma spaesato. Del resto, con una sceneggiatura cosi’, impossibile dargli torto. Michael Winterbottom conferma la discontinuita’ del suo curriculum cinematografico. Gira un film dopo l’altro, e’ inserito nel cartellone dei festival piu’ prestigiosi, ma fatica a trovare un centro di gravita’, perlomeno artistico.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)