Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Sebastián Borensztein
Fotografia: Rolo Pulpeiro
Montaggio: Pablo Barbieri Carrera, Fernando Pardo
Scenografie: Laura Musso
Musiche: Lucio Godoy
Argentina/Spagna, 2011 – Commedia – Durata: 93′
Cast: Ricardo Darín, Muriel Santa Ana, Ignacio Huang, Javier Pinto, Enric Cambray, Julia Castelló Agulló, Iván Romanelli
Uscita: 23 marzo 2012
Distribuzione: Archibald Film
Sale: 29
Roberto è un uomo abitudinario…
Roberto è un uomo abitudinario. Vive da solo e, nel quasi totale isolamento, porta avanti il negozio di ferramenta lasciatogli dal padre. Un giorno si imbatte in Jun, un ragazzo cinese capitato per caso sulla sua strada, che non parla la sua lingua e che è venuto in città in cerca dello zio. A Roberto non resterà altro da fare che dargli ospitalità nella sua casa e aiutarlo a cercare la sua famiglia.
Roberto non ama la gente, gli piace vivere in solitudine e si crogiola nelle sue abitudini. La sua umanità è ben nascosta nel fondo del suo cuore, e là si annida in silenzio, per poi esplodere di fronte a un’ingiustizia. Jun ha davvero una strana storia, ma non riuscirà a raccontarla dal momento che non parla lo spagnolo. Roberto colleziona storie inverosimili, e si imbatterà proprio in una di quelle, inconsapevolmente entrerà a far parte del seguito di una delle storie di cui ha letto e che stenta a credere siano veramente accadute.
Ci sono molti approcci possibili al racconto della diversità, dell’incomunicabilità e della mancata volontà di incontrarsi, e Sebastiàn Borensztein sceglie l’ironia, il più lieve dei modi, ma anche il più insinuante e versatile, un modo che lascia la possibilità a chi lo sceglie di cambiare il registro del racconto, senza mai distogliere l’attenzione dal centro del problema.
Roberto è l’archetipo dell’uomo medio, sconfitto dalla vita, chiuso nelle sue abitudini e prigioniero della paura di essere imbrogliato dal prossimo. Attraverso la sua corazza non passa il minimo spiraglio, sia pure di occasionale passione, e chi lo ama è comunque costretto a lasciarlo nel suo silenzio. Jun invece è circondato dall’incomprensione, la sua incapacità di farsi capire è il suo più grosso limite, ma questo non gli impedirà di farsi amare, anche a dispetto del fatto che chi lo ha accolto è una persona ferita e niente affatto intenzionata a concedere spazio agli altri.
Per Roberto il tempo scorre monotono, scandito dall’orologio di suo padre, nella stanza di suo padre, dietro il negozio di suo padre. Nulla è cambiato e nulla cambierà, se non fosse per un fastidioso cinese che ha avuto il cattivo gusto di farsi rapinare e malmenare sotto i suoi occhi. Roberto tenta una conciliazione con la sua coscienza, e nel frattempo resite agli assalti dalla giovane Mari che lo ama in silenzio e lo invita a cena col segreto intento di scongelarne il cuore.
L’ironia striscia potente tra le corde di un racconto inverosimile. Anche se basato su eventi reali, la più grossa iperbole non è di sicuro il volo di una mucca che cambia un certo numero di vite, ma la possibilità che ci si scopra ad amare, anche se per tutta la vita ci si è negati la possibilità di un incontro.
La regia sottile e insinuante lascia ampio spazio al sottinteso, costruito come una parallela possibilità di comunicazione, scevra dal linguaggio e da tutte le sue trappole.
Un potente Ricardo Darín, che ha già dato prova della sua grande capacità di mantenere nelle corde di poche misurate espressioni un intero universo emozionale, è il Roberto che si annida in tutti noi, di fronte all’oscuro, incomprensibile, sperduto Jun, il cinese piovuto dal cielo, la cui vita è stata spezzata e ricomposta da una mucca volante.
L’intera storia si mantiene su un lieve equilibrio di superficie, lasciando allo spettatore il compito di indagare la propria coscienza e là trovare le risposte alle domande poste nella trama del racconto.
A tutti sarà capitato di vedere qualcora di strano, ma non tutti hanno il desiderio di guardare una seconda volta, e di capire meglio quel che hanno visto. Questa storia è quindi indirizzata in primo luogo a quella parte di noi che si disinteressa del mondo e di tutto quello che non conosce, a totale di difesa del proprio territorio sicuro e nel costante rischio di inaridimento causato dalla mancanza di apporti vitali, dati dalla semplice scoperta di cose di cui non sappiamo ancora nulla.
Voto: * * *
Anna Maria Pelella
#IMG#Il cinico ed il cinese
“Un cuento chino”, questo il più affascinante e bel titolo originale, in spagnolo, oltre alla letteralità della storia cinese, significa un racconto assurdo, stranissimo, incredibile.
Ed è anche la chiave della vicenda di Roberto (il solito, eccezionale Ricardo Darín), arrabbiato proprietario di una ferramenta, dedito alla collezione di notizie curiose trovate nei giornali, che un giorno vede piovere nella sua vita lo sventurato cinese Jun (Ignacio Huang), venuto in Argentina alla ricerca di uno zio che non si riesce a trovare. Il primo parla solo spagnolo, il secondo mandarino stretto: tra i due nascerà un singolare rapporto, prima di necessità, poi di convenienza, quindi di amicizia, il tutto basato su una comunicazione a base di gesti, intervallata a volte da estemporanee traduzioni ad opera del fattorino del take-away cinese presso cui ogni tanto ordinano del cibo. La rabbia di Roberto troverà così una spiegazione ed anche un cambio di segno grazie alla saggezza di Jun, che pure svelerà l’originario motivo del suo viaggio nelle lontane americhe, cosicché dopo i giorni forzatamente trascorsi insieme le loro vite non saranno più le stesse…
Regista già di un precedente lungometraggio, La suerte está echada, inedito da noi, ma vincitore del premio del pubblico (e di quello della giuria per la migliore sceneggiatura) al Festival del Cinema Latino Americano di Trieste nel 2005, Sebastián Borenzstein si propone come autore a tutto tondo, realizzando una commedia ben congegnata e molto divertente, senza disdegnare le ferite recenti del proprio paese, che ancora sono vive nelle coscienze dei suoi abitanti. Fin dall’inizio, in cui la prima inquadratura dopo il prologo cinese è ribaltata e si raddrizza lentamente, a significare che le cose possono non essere come sembrano e che comunque può sempre esserci qualcosa che non va, si dimostra attento alla cura dei dettagli e sfrutta in maniera drammaturgicamente brillante l’equivoco che si ingenera tra due lingue enormemente diverse, gestendolo e risolvendolo con arguzia ed astuzia.
Ispirandosi ad una storia, anzi notizia, vera, almeno per la vicenda di Jun (che viene mostrata nei titoli di coda data come news da un originale telegiornale dell’est), Borenzstein si dimostra quasi visionario nelle spassosissime sequenze che mettono in scena i tragicomici flani nei quali il caso si è accanito, che Roberto legge e mette da parte, scegliendo come volti per interpretarli quelli di lui stesso e di altri attori/personaggi del film.
Ed alla fine guida sapientemente il cupido Jun, che non parla ma capisce il linguaggio del cuore più di Roberto, forse perché colpito profondamente negli affetti, ad aiutarlo a riconciliarsi con l’amore.
RARO perché… già, perché?…
Note: il film ha vinto il Marc’Aurelio della Giuria, il Premio BNL del pubblico ed il Mouse d’Oro (il premio della critica online) al miglior film. al Festival del Film di Roma 2011.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti