(comme une image)
un film di Agnès Jaoui

Festival Internazio nale del Cinema di Cannes 2004
Gran Premio per la Sceneggiatura

sinossi

Così fan tutti è la storia di Lolita Cassard, una ragazza di vent’anni arrabbiata con il mondo perché non assomiglia alle ragazze delle riviste e nemmeno alla sua matrigna e che vorrebbe essere bella a tutti i costi, almeno agli occhi di suo padre. Vorrebbe, almeno, che suo padre si accorgesse di lei.
Ma è anche la storia di un uomo, Etienne Cassard, che non presta molta attenzione alle persone perché è troppo preso da se stesso, si accorge che sta invecchiando, sa cosa significhi non essere amato e ha dovuto lottare per affermarsi.
E’ la storia di uno scrittore disilluso, Pierre Miller, che è convinto che non avrà mai successo, finché il successo invece arriva e Pierre incontra Etienne Cassard.
E’ la storia di un’insegnante di canto, Sylvia Miller, che crede in suo marito e nel suo talento ma invece ha dei dubbi sul proprio talento e quello della sua allieva Lolita, finché scopre che è la figlia di Etienne Cassard, lo scrittore che ammira tanto.
E’ la storia di esseri umani che sanno perfettamente cosa farebbero al posto di altri, ma non fanno altrettanto bene al loro posto.

Intervista con AGNES JAOUI e JEAN-PIERRE BACRI

Agnès Jaoui, Così fan tutti è il suo secondo film da regista. Come è stato per lei affrontare il suo secondo film?

A.J.: La mia prima esperienza ha fatto sì che io prestassi più attenzione ad alcune cose. Ma il cinema è un’arte strana in cui prepari moltissime cose per mesi e poi, invece, è l’attimo che conta – saper catturare le cose al momento giusto, a volte riprendere gli attori senza che se ne accorgano. Per Il gusto degli altri avevo preparato una sceneggiatura dettagliata, ma questo non ha impedito a Stèphane Fontane, il mio direttore della fotografia, di darmi dei suggerimenti. Abbiamo discusso ma ero abbastanza sicura, tanto da potermi permettere una certa flessibilità. Da attrice ho lavorato in piccoli film nei quali ci si può concedere il lusso di essere più spontanei, e a volte i risultati sono meravigliosi. Non mi volevo privare di questa possibilità.

Jean-Pierre Bacri, ha notato dei cambiamenti nel modo di dirigere di Agnès Jaoui, rispetto a Il gusto degli altri?

J.P.B.: Ho notato che era molto più decisa, più autosufficiente.

Qual è il punto di partenza della sceneggiatura?

A.J.: Un rapporto padre figlia e un padre che ha una compagna della stessa età di sua figlia. E’ una cosa che ho vissuto e che abbiamo affrontato per tanto tempo a teatro. Ma volevamo parlare anche del potere, anche se questo tema avevamo già cominciato ad esplorarlo in Cuisine et dépendances. Il potere dal punto di vista di chi lo subisce, non di chi ce l’ ha. Mi stupisce sempre vedere come le persone accettino il modo in cui gli altri si rivolgono a loro, il modo in cui le trattano e le prendono in giro; mentre invece potrebbero ribellarsi e non rischierebbero né la prigione né il plotone di esecuzione. Questa remissività mi sconvolge. Pensandoci bene, mi sono resa conto che se uno non ha mai detto “no” a suo padre, è poco probabile che sia capace di dire “no” al suo capo, al suo direttore o a qualcun’altro. Insomma i due temi, insieme, funzionano abbastanza bene.

Il canto e la musica sembrano avere un ruolo importante nel film.

A.J.: Suono da quando avevo 17 anni. Mi piace la musica. E condividere questa passione con gli altri è sempre stato un mio sogno. Ho cominciato ad amare la musica quando sono entrata per la prima volta in una scuola di canto. La musica dal vivo è così bella. Ho cominciato a recitare a 15 anni e mi sono subito accorta che si dava troppo importanza al fisico. A 16 anni mi sentivo già vecchia perché Sophie Marceau, che aveva appena fatto Il tempo delle mele, era una star a 13 anni. Potevi essere una star a 17 anni e poi nessuno a 22…Ridicolo. Nella musica, succede l’opposto. Non puoi cominciare a lavorare sulla tua voce fino ai 16/17 anni e poi più lavori, più la tua voce migliora, fino a 60 anni. Però ho appena scoperto che perfino alla scuola dell’Opéra non prendono le ragazze troppo grasse. Ma quello che conta non è il tuo aspetto, ma il tuo lavoro.

Questa indipendenza della voce è una sorta di altolà alla tirannia dell’apparire…

A.J.: Sì, esattamente. Ho cominciato a cantare perché stavo studiando recitazione, ma mi sembrava di perdere tempo e non imparare niente. Almeno con la musica imparavo qualcosa. Ma non penso che avrei avuto il rigore necessario per diventare una cantante professionista. E’ come lo sport – non puoi bere e neanche fumare. Ho sempre cantato da dilettante, eccetto gli ultimi tre anni, in cui ho lavorato con l’insieme vocale che appare nel film. L’estate scorsa abbiamo fatto un po’ di piccoli concerti in giro e volevo ad ogni costo che partecipassero al film. Una delle sfide più grandi del film è stata provare a ricreare l’emozione che si sente ascoltando la musica dal vivo. Abbiamo discusso molto con Jean-Pierre Duret, l’ingegnere del suono, e Daniel Deshays che si è occupato delle registrazioni. Non volevo un suono troppo pulito e non volevo assolutamente togliere le imperfezioni perché siamo, per la maggior parte, dilettanti e sono proprio le imperfezioni che mi colpiscono. Abbiamo deciso che doveva essere, il più possibile, musica dal vivo. Hanno cantato tutti dal vivo, tranne Marilou Berry. Ma ha studiato moltissimo con Mahè Gufane e Bernadette Val, che è stata la mia insegnante di canto per vent’anni. L’ ho incontrata all’Amandiers a Nanterre con Patrice Chéreau, dove era venuta per insegnarci a cantare. E’ stato un incontro mitico!

Così fan tutti è un film molto fluido. Pensa che il suo amore per il canto abbia influenzato il suo modo di dirigere?

A.J.: Mi piacerebbe pensarlo comunque! Il problema è stato scegliere i brani musicali prima delle riprese. Ho fatto un CD e mi sono messa a leggere la sceneggiatura ascoltandolo. Ma non è la stessa cosa; ho dovuto usare l’immaginazione. Sapevo dall’inizio dove volevo la musica, ma nel primo montaggio ce n’era troppa. Amo così tanto la musica da non riuscire ad essere obiettiva. Poi piano piano, ce l’ ho fatta. Sapevo quale musica sarebbe andata dove. Sapevo anche che non avrei dovuto usare musiche troppo diverse perché un orecchio non troppo raffinato se ne sarebbe accorto. Ci si impiega un po’ per riconoscere un brano. Ma, allo stesso tempo, non si dovrebbe sentire sempre la stessa cosa. Bisogna trovare il giusto dosaggio e per me è stato difficile capirlo. Ci sono brani che conosco a memoria, che amo profondamente. La cosa bella della musica classica è che non ti stanca mai. Così Fan Tutte, per esempio, è stata usata molte volte – è un brano estremamente cinematografico. Io infatti lo volevo chiamare così il film ( N.d. t.: da noi effettivamente si chiama Così Fan Tutti). La scusa perfetta per un cattivo comportamento.

J.P.B.: Allo stesso tempo, volevamo chiamare il film I buoni motivi. C’è sempre un buon motivo per scendere a compromessi, per giustificarsi, parlando di necessità. Una persona che viene trattata male dal suo capo ti dirà che ha una famiglia da sfamare, che ha bisogno di lavorare e deve accettare determinate condizioni. Lolita fornisce come scusa il fatto di avere un padre come Etienne. Vincent accetta di essere il lacché di Etienne perché 25 anni fa gli ha fatto un favore. Ognuno di noi ha sempre un buon motivo per essere un vassallo. Ma, allo stesso tempo, ci sono molte persone che dicono di no e lasciano il proprio lavoro, anche con una famiglia da sfamare. E’ una questione di dignità e di carattere.

A.J.: La maggior parte della gente ha bisogno dei capi, dei re, degli dei o dei padri, che dicano loro cosa devono o non devono fare.

J.P.B.: Il potere è come un posto libero. Lo prende chi è interessato. Come il posto di vassallo una volta. Un re non esiste senza la sua corte.

A.J.: I capi sono lì apposta per essere odiati e incolpati di tutto. E’ un modo di sfuggire alle proprie responsabilità, è difficile da ammettere, ma è la verità.

A modo suo, Sébastien, il ragazzo di Lolita, rappresenta questa forma di resistenza…

J.P.B.: Sì, Sébastien è il personaggio più libero, in termini di rapporti di potere che legano questi individui.

Perché avete scelto di ambientare Così fan tutti nel mondo dell’editoria?

J.P.B.: Per un motivo molto semplice – ci serviva un ambiente in cui si esercitasse il potere, ma volevamo evitare l’ambiente che conosciamo meglio. Così abbiamo tramutato l’ambiente del cinema nell’ambiente dell’editoria, ma Etienne avrebbe potuto essere un grande architetto o un manager di potere, non c’è nessuna differenza. I rapporti tra le persone funzionano allo stesso modo ovunque. Il potere c’è sempre e le persone si comportano sempre nello stesso modo.

Lolita ha vent’anni. E’ la prima volta che ha a che fare con un personaggio così giovane?

A.J.: Eravamo stanchi di sentirci domandare perché non ci fossero mai giovani nei nostri film. E, visto che volevamo affrontare il rapporto padre/figlia, questa era l’occasione giusta. Ci ha anche permesso di parlare in maniera più diretta dell’apparenza e dei diversi tipi di comportamenti, rispetto agli altri nostri film. Lolita è in quella fase della vita in cui ci si interessa solo di se stessi. Tanto più se non sei una taglia 40. E’ terribile a ogni età, ma a vent’anni è peggio. Oggi la tirannia della bellezza è assoluta. Non bisogna essere razzisti – giustamente – ma sembra che il razzismo nei confronti dell’aspetto dei nostri corpi non dia fastidio a nessuno. Basta guardare tutte le immagini consacrate al culto della giovinezza e della bellezza, un certo tipo di bellezza che è sempre più limitata. C’è un unico modello e ovviamente questo limita le possibilità di identificazione e crea più infelicità. Sempre, quando ci paragoniamo a qualcosa o a qualcun altro, questo genera infelicità ma, in questo caso, è ancora peggio. Sto parlando di ragazze anoressiche, ragazze che muoiono – è un problema veramente serio. Anche le più intelligenti diventano pazze e stupide quando parlano del peso e del fisico. Non conosco quasi nessuno che non abbia mai avuto problemi di questo tipo.

Per gli uomini c’è il modello incarnato da Robert Mitchum, il cowboy virile dei film western che Sébastien guarda alla televisione mentre aspetta Lolita…

A.J.: Un altro titolo possibile era Le lacrime delle ragazze e la rabbia dei ragazzi. Lolita porta sulle spalle il peso della bellezza– deve corrispondere a un modello fisico ben preciso. I ragazzi si preoccupano meno di questo aspetto ma devono essere virili, sempre e comunque.

J.P.B.: E non è meno traumatico! E’ sempre un peso enorme da sopportare.

La scena finale, in cui Lolita canta, è un momento cruciale. All’improvviso tutti riescono a stare insieme…

A.J.: Sì, tranne suo padre! Non c’è nulla da fare- riesce a dedicarsi solo a se stesso. Dopo una panoramica sui visi sereni della gente fra il pubblico, assorta nello spettacolo, finiamo sul volto assente e annoiato di Etienne. Devo ammettere che quel momento mi fa sempre venire voglia di piangere. Etienne non è capace nemmeno di dare quel minimo di attenzione a sua figlia. Mentre scrivevamo la sceneggiatura, abbiamo avuto un po’ di problemi con questo personaggio. Avevamo in mente diversi modelli e ce n’erano alcuni che erano così odiosi…ma l’altro rischio era fare un personaggio troppo carino, considerando poi il fatto che sarebbe stato Jean-Pierre a interpretare quel ruolo. Avevamo paura che il pubblico potesse pensare che fosse un uomo fantastico, mentre in realtà è una persona tremenda. Così abbiamo dovuto trovare il giusto equilibrio.

Durante la scena finale si ha l’impressione che quando le persone sono prese dallo loro arte, quando sono al loro posto, sono bellissime…

A.J.: Sì, quando fanno il loro lavoro. Questo è quello che volevo far vedere. Infatti un altro titolo possibile era Al loro posto. Tutti i personaggi del film cercano il loro posto, un posticino anche piccolo. Soprattutto Lolita.

Lo show televisivo al quale è invitato Pierre è l’assoluta negazione di quel posto giusto. Le persone non vengono invitate a partecipare per quello che fanno…

A.J.: Molte persone, all’inizio della carriera, dicono che non parteciperanno mai a quel genere di show, finché non vengono invitate e ne sono lusingate. Oggi, se si vuole avere successo, non si può non partecipare a spettacoli del genere..

Si potrebbe obiettare che Etienne potrebbe avere la grazia che ha sua figlia quando canta, se lei lo avesse ripreso mentre è impegnato a scrivere, non mentre si comporta da sadico …

A.J.: Credo che sia un personaggio difficile da salvare! Forse quando si mette a urlare e dice che nessuno lo ha mai amato. Evidentemente ha sofferto molto per questa mancanza d’amore. Già è qualcosa…

J.P.B.: …e poi c’è l’elemento umano. Il mio personaggio è un egocentrico. E’ troppo concentrato su se stesso ma fa bene a farlo perché nessuno lo contraddice! Non è che non abbia tempo di ascoltare gli altri, è che non gli interessa, è una cosa a lui estranea. Se non si ha una coscienza politica e si hanno mezzi materiali o fisici, è facile essere egocentrici.

Sapere che reciterà cambia il modo di dirigere?

A.J.: No, per me la cosa più importante è essere uno sceneggiatore. Ho delle difficoltà a non assegnare tutte le parti che scrivo a me stessa. Credo perché non sono abbastanza sicura. Ho paura che qualcun’altro non riesca a trasmettere quello che voglio dire nel film, nel modo in cui io voglio sia detto.

J.P.B.: Agnès interpreta sempre i personaggi che, come autori, ci piacciono. Io invece no. Adesso è arrivato il momento di cambiare!

A.J.: No, perché? Li interpreti così bene!

Jean-Pierre Bacri, come si comporta con il ruolo di un personaggio “difficile da salvare”?

J.P.B.:Cerchi di salvarlo comunque, ma a volte è stato difficile perché Agnès mi chiedeva di fare delle cose che non mi piacevano. Per esempio, mi diceva: “Per tutto il tempo in cui questa donna parla, non la devi mai guardare”. Spesso ho dovuto fare forza su me stesso per riuscire a essere così irrispettoso. Agnès ha dovuto richiamarmi all’ordine perché non riuscivo a fare l’egoista fino a quei livelli.

A.J.: Gli ho dovuto dire: “Non ascoltarla. Girati. Sei con un amico e quello che ti sta dicendo questa ragazza non ti interessa minimamente. Anzi, ti irrita. Interrompila, sei troppo gentile:”

J.P.B.: Sì, a volte ero un po’ troppo gentile!

A.J.: Penso alla scena in cui Karine sta piangendo. Lì avresti potuto essere un po’ più cattivo…

J.P.B.:Sì ma visto che lei lo ha appena lasciato, lui è più debole e vuole ostentare la sua debolezza. Vuole essere carino.

A.J.: E’ vero, è una tipica mossa da sbruffone, improvvisamente ti trasformi in un angelo, una vittima.

J.P.B.: Sono angeli il tempo necessario per la riconciliazione. E’ così che ci ingannano. E’ divertente da interpretare, l’ ho vista fare tante volte. Mi ha fatto ridere. Ma da attore, mi dico sempre: “Metti nel tuo personaggio tutto ciò che hai di umano.”

Agnès Jaoui, in questo secondo film, le sembra di dirigere gli attori in modo diverso?

A.J.: Ho provato con tutti gli attori, perfino di più che per Il gusto degli altri, anche per le parti più piccole. Questo lavoro preparatorio è essenziale; è un modo di rompere il ghiaccio con gli attori. Non penso di aver cambiato il mio modo di dirigere, la novità è il lavoro con degli attori giovani, che non hanno mai lavorato prima. Naturalmente non li dirigi allo stesso modo. La differenza tra loro e attori più esperti è che non sanno fin dove possono arrivare, cosa possono esprimere.

Come ha scelto il cast?

Sapevamo che io avrei interpretato la parte di Sylvia e Jean-Pierre quella di Etienne. Mentre scrivevamo avevamo anche pensato a Serge Riaboukine, che avevo conosciuto sul set di Une femme d’extérieur . Poi naturalmente bisognava trovare chi avrebbe fatto Lolita. Abbiamo cominciato a cercarla con un anno di anticipo con Brigitte Moidon, il mio direttore del casting. La cosa sconvolgente era che nelle scuole di recitazione non ci sono ragazze “grasse”. Sì, una su mille! E in generale sono del tipo “Io sono così, mi accetto e sto bene con me stessa.” Come Toilette di Molière, ma il personaggio non è così.

All’inizio ha pensato di prendere qualcuno dalla strada?

A.J.: Sì, una o due volte ci abbiamo provato. Abbiamo cercato anche tra le cantanti. Ma era un ruolo complicato, molto strutturato. Naturalmente puoi cambiare delle cose, riscriverle, ma per come lavoriamo noi, sarebbe stato troppo complicato. Dopo un po’ Brigitte mi ha fatto vedere una cassetta, dicendomi “Non ti dico chi è, guardala e poi mi dici.” Era Marilou Berry e mi è piaciuta subito. Per un certo verso era scontenta di sé e, allo stesso tempo, aveva un’ espressione… come se ti stesse mandando a quel paese. Corrispondeva al personaggio di Lolita. Quando Brigitte mi ha detto che era la figlia di Josiane Balasko, ho esitato per un momento: scegliere la figlia di un attore che è, già di suo, più fortunata di altri…Ma poi ho deciso di non farmi troppi problemi!

Il fatto che Marilou Berry sia veramente figlia d’arte l’ ha aiutata per la parte?

A.J.: Lo deve chiedere a lei. Non ne abbiamo mai parlato. Marilou mi ha solo raccontato che le persone farebbero di tutto per salutare sua madre. E alcune persone hanno cambiato il loro modo di comportarsi con lei quando hanno scoperto che era la figlia di Josiane Balasko. Sono cose che ha vissuto, ma non so se l’abbiano aiutata per la parte.

E Virginie Desarnauts, che interpreta la parte di Karine, la ragazza di Etienne?

A.J.: Sembrerà strano, ma il suo è stato il ruolo più difficile da ricoprire. C’erano una miriade di ragazze con la sua figura, ma non avevano la gentilezza che richiedeva il personaggio. Ai provini facevo recitare la scena in cui Karine piange e quella in cui si prova i vestiti con Lolita. All’inizio, vuoi prendere a schiaffi Karine perché si lamenta di essere ingrassata di 12 grammi. Ma quando si rende conto che è lì per Lolita e la incoraggia a provarsi il top, è una persona sincera e gentile. Molte attrici non riuscivano a mostrare questa gentilezza. Virginie sì.

E Laurent Grevill, che interpreta il ruolo del suo partner?

A.J.: Non era un ruolo facile. Ci voleva qualcuno che fosse virile e forte, qualcuno di cui non si potesse pensare fosse un debole. Visto dall’inizio, non era interessante. Laurent era con me a Nanterre ed era da tanto che volevo lavorare con lui. Quando abbiamo fatto i provini, era da 14 anni che non lavoravamo insieme. E improvvisamente ci siamo emozionati, come una vecchia coppia che si ritrova dopo tanto tempo.

Ha assegnato la parte dell’editore di Pierre a Michèle Moretti…

A.J.: E’ un’attrice che ammiro da tantissimo tempo. L’ho vista nel film di Téchiné L’età acerba e l’ho adorata. Le abbiamo offerto la parte molto presto. Penso che sia allo stesso tempo divertente e commovente.

E Keine Bouhiza, che fa Sébastien?

Ha fatto dei corti, ma questo è il suo primo film. Lo conosco da molto tempo, prima di cominciare a studiare recitazione lavorava nella produzione. Quando ho scritto il ruolo di Sébastien con Jean-Pierre, pensavamo a Buster Keaton ne Il Cameraman, un eroe suo malgrado. Keine è così. Istintivamente ha guardato Marilou con una grande tenerezza. I provini che hanno fatto insieme erano molto carini.

Ha avuto dubbi su come dirigere Lolita, come rappresentarla con i suoi complessi?

A.J.: Sì e no. Penso che Lolita sia bella e assolutamente normale. Ho pensato solo alle cose più semplici. Volevo che Marilou vestisse di nero perché so che la maggior parte dei giovani si nascondono dietro i loro vestiti. Non volevo cercare di farla sembrare più attraente, ma volevo che fosse veramente bella quando canta e ne ho parlato con il direttore della fotografia e il truccatore. Mi piace cambiare i corpi. Marilou ha un viso alla Modigliani, molto interessante ed espressivo. Ed è molto fotogenica.

Perché ha scelto di lavorare con il direttore della fotografia Stèphane Fontane?

A.J.: Sapevo che ci sarebbero state molte riprese notturne e in interni e volevo un determinato stile, qualcosa di non troppo vivace, che avesse una sua profondità, che lasciasse spazio all’immaginazione. Mi è piaciuto molto il lavoro che Laurent Dailland ha fatto per Il gusto degli altri, ma volevo un’atmosfera diversa, dei colori diversi. Ho parlato con vari direttori della fotografia ma poi sono stati Noémi Lwovsky e François Gédigier, il montatore, a consigliarmi Stéphane Fontane, che era l’assistente di Eric Gauthier, il cui lavoro mi piace molto. Fin dal nostro primo incontro mi sono accorta che parlavamo lo stesso linguaggio cinematografico, che, per esempio, quando gli ho parlato del colore del sipario de La sera della prima, parlavamo dello stesso rosso.

Il suo modo di vedere i personaggi sembra più flessibile. I difetti non vengono più stigmatizzati…

J.P.B.: E’ una cosa buona – vuol dire che stiamo migliorando! A volte li massacriamo i nostri personaggi, urliamo ai quattro venti i loro difetti. Ogni tanto sentiamo il bisogno di dare alle persone quello che si meritano, dicendo loro “Prima di morire cercate di avere almeno un’idea vostra e non solo di ripetere tutto quello che avete imparato fin da quando eravate piccoli. Fatevi una vostra opinione, osservate, chiedetevi il perché delle cose.” Ma adesso stiamo cercando di scrollarci di dosso la tendenza a metterci un po’ in cattedra. Stiamo cercando di farci piacere di più i nostri personaggi, di difenderli il più possibile. Tutto deriva sempre dall’elemento umano, perfino la tirannia. La nostra filosofia è cambiata. Abbiamo capito che la tolleranza e la fermezza non sono incompatibili. Trovare delle giustificazioni in un personaggio non impedisce di esprimere fermamente il proprio punto di vista.

A.J.: Sì, volevamo essere meno Manichei, anche se mi piacciono sempre le dimostrazioni, i film con un punto di vista. Quando non ho qualcosa da mostrare, non so dove andare. Però è vero che tendevamo a puntualizzare un po’ troppo. Nei nostri film c’era un personaggio ricorrente: la moglie di Jean-Pierre ne Il gusto degli altri, Martine in Cuisine et dépendance, Sabine Azéma in Parole, parole, parole…Qui abbiamo deciso di smettere di usare questa donna che si sottomette, distrutta dalle idee che le sono state inculcate, che non dubita di nulla e ripete tutte le sciocchezze che sente.

Quando scrivete, ciascuno di voi ha i suoi personaggi preferiti?

J.P.B.: No, scriviamo tutto insieme. E’ una discussione continua, dall’inizio alla fine. Procediamo per gradi. Spesso ad uno di noi viene un’idea e l’altro la delinea meglio, con il suo punto di vista, la sua distanza. E così si va avanti, a turno…

Agnès Jaoui, mentre scriveva già pensava a come avrebbe diretto?

A.J.: Sì, più della prima volta. Per esempio pensavo che la scena nella chiesa fosse bellissima da girare. Potevo già vedere quella chiesa Romanica. Ma non ci ho pensato poi così tanto. La cosa più importante per me sono i personaggi. La regia li deve favorire. Per farle un esempio, con Il gusto degli altri ho imparato che le scene in macchina sono molto difficili da girare, ma questo non ci ha impedito di scriverne tre. Se la scena si deve svolgere in una macchina, allora si svolgerà in una macchina. La regia si adatta.

J.P.B.: Penso che sia un bene non anticipare i passaggi, che la regista, Agnès Jaoui, prenda la nostra sceneggiatura e la rigiri a suo modo. E’ un qualcosa a cui ti costringe l’arte. Se uno fa tutto pensando alla regia, corre il rischio di anticipare i tempi e di perdere tutte le inceretezze, i dubbi e le congetture, che per un regista sono la cosa più divertente. Credo che sia…

Jean-Pierre Bacri, lei ha seguito tutte le fasi del film dopo che è stato scritto?

J.P.B.: No…

A.J.: Sì certo. Gli chiedo sempre il suo parere, specialmente durante le riprese.

J.P.B.: E’ vero sono passato al montaggio, solo per dare un’occhiata, una mezza dozzina di volte e,quando Agnès me l’ ha chiesto, ho detto quello che pensavo.

Come è stato il montaggio?

A.J.: La sceneggiatura era molto lunga, ma non potevamo tagliarla. Durante il montaggio l’abbiamo fatto. Per la prima volta, il film non è l’esatta copia della sceneggiatura, ma devo dire che alla fine le scene che non ci sono più non mi mancano. Anche se è anche la storia di Pierre, Etienne, Sébastien e Karine, a un certo punto il film si concentra di nuovo, in modo del tutto naturale, su Sylvia e Lolita.

Così fan tutti sembra un film più triste de Il gusto degli altri. Lì erano le barriere socio-culturali a separare le persone. In Così fan tutti la solitudine sembra intrinseca alla natura umana…

A.J.: Da quando abbiamo cominciato a parlare del potere, sapevamo che poteva non essere così divertente. Le persone spesso ci dicono che i nostri film parlano della solitudine e del non ascoltare. Io penso che siano semplicemente dei film sulle persone e sui rapporti.

Lolita

Marilou BERRY

Sylvia

Agnès JAOUI

Etienne

Jean-Pierre BACRI

Pierre

Laurent GREVILL

Karine

Virginie DESARNAUTS

Sébastien

Keine BOUHIZA

Vincent

Grégoire OESTERMANN

Félix

Serge RIABOUKINE

Edith

Michèle MORETTI

Regia

Agnès JAOUI

Sceneggiatura

Jean-Pierre BACRI e

Agnès JAOUI

Fotografia

Stéphane FONTAINE

Suono

Jean-Pierre DURET

Costumi

Jackie BUDIN

Scenografie

Olivier JACQUET

Montaggio

François GEDIGIER

Musiche

Philippe ROMBI

Produttori

Jean-Philippe ANDRACA

Christian BÉRARD

Produzione

Les Films A4

Coprodotto da

Andrea OCCHIPINTI

per Eyescreen

Distribuzione

LUCKY RED

www.luckyred.it

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