Scheda Film
Regia: Guillermo del Toro
Sceneggiatura: Guillermo Del Toro, Matthew Robbins
Fotografia: Dan Laustsen
Montaggio: Bernat Vilaplana
Scenografia: Thomas E. Sanders
Costumi: Kate Hawley
Musiche: Fernando Velasquez
USA, 2015 – Horror – Durata: 118′
Cast: Mia Wasikowska, Tom Hiddleston, Jessica Chastain, Charlie Hunnam, Jim Beaver
Distribuzione: Universal Pictures
Uscita: 22 ottobre 2014
La giovane Edith Cushing, figlia unica di un facoltoso costruttore americano, si invaghisce di Sir Thomas Sharpe, baronetto inglese recatosi oltreoceano per raccogliere fondi allo scopo di finanziare una sua invenzione. Malgrado la morte improvvisa del padre, Edith deciderà di sposare Sir Thomas e di partire con lui per l’Inghilterra, ma si accorgerà che la dimora degli Sharpe nasconde presenze vendicative.
In ogni “ghost story” che si rispetti la “casa” è importante, cifra essenziale dell’approccio al genere, segno forte che indirizza la narrazione. Ebbene, più che alla Hill House di Shirley Jackson o alla casa Usher di Poe, la gotica magione immaginata da Guillermo Del Toro riporta alla mente il castello di Dragonwyck di Mankiewicz e la Manderley di Rebecca, la prima moglie, chiarendo sin dall’inizio riferimenti e intenzioni del regista. La protagonista, l’aspirante scrittrice Edith Cushing (nomen est omen), ambirebbe infatti a diventare una novella Mary Shelley piuttosto che una Jane Austen, ma si ritroverà invece ad assomigliare a una qualunque Daphne Du Maurier.
Crimson Peak segna il ritorno in gran spolvero del “gothic romance”, fatto di uomini fatali e tormentati e damigelle in ambasce, riportato in vita dalla vena affabulatoria e dal talento combinatorio del regista messicano. E poco importa che la succitata Jane Austen avesse già messo alla berlina il genere ne “L’Abbazia di Northanger” già nel 1798, ché Del Toro ne compila un brillante regesto, che mescola con disinvoltura Martin Scorsese con Sir Alfred Hitchcock; tematiche care ad Henry James, ovvero la corruzione europea contrapposta all’innocenza americana, con, appunto, i languori gotici di Daphne du Maurier; l’atmosfera plumbea e soffocante da Hammer Film con il deliquio cromatico di Powell & Pressburger.
In accordo al ben noto adagio secondo il quale non si dà più invenzione, ma al massimo ricombinazione di forme già note, Del Toro riverisce il genere un po’ come aveva omaggiato il “kaiju eiga” in Pacific Rim (2013), con affetto sincero e senza sparigliare troppo le carte. La rivisitazione non offre dunque soverchianti sorprese, nè audaci stravolgimenti di campo. Edith Cushing, scrittrice alle prime armi in un’epoca nella quale molte autrici erano costrette a celarsi dietro uno pseudonimo maschile, vive nel guscio dorato che può offrirgli un padre appartenente alla buona borghesia newyorkese. L’arrivo dell’aristocratico Sir Thomas (un eccellente Tom Hiddleston), pur se troppo nevrotico per incarnare il prototipo dell’uomo byroniano, le fa scoprire l’amore e, tra pettegolezzi e valzer pressoché obbligatori, ella decide di sposarlo. E se nel prologo ci aggiriamo dalle parti de L’età dell’innocenza o L’ereditiera, con l’arrivo di Edith nell’esiziale dimora degli Sharpe precipitiamo di colpo nella favola gotica.
Il côté fiabesco è però nettamente prevalente, anche grazie al contributo della fotografia ipersatura di Dan Laustsen, che impasta il blu e l’oro di un dipinto di Whistler con lo scarlatto dell’argilla e del sangue, mentre le scenografie imponenti e sontuose di Thomas E. Sanders completano l’opera. Crimson Peak sancisce infatti la prevalenza del décor sugli attori: Allerdale Hall, tetto lesionato e fondamenta in procinto di sprofondare nell’argilla, è naturalmente emblema della follia che alberga tra le sue mura, ma è anche un segno prevaricante rispetto a qualsivoglia relazione malata esista tra i suoi sventurati abitanti. La fuga prospettica di un corridoio, un sotterraneo o un ascensore traballante, insomma, acquistano maggiore pregnanza rispetto alle psicologie dei personaggi o alle pur notevoli performance attoriali. Ne consegue che gli accesi cromatismi e l’opulenza scenografica facciano sì che la “decadenza” messa in scena da Del Toro abbia poco del morboso e molto del disneyano.
Mia Wasikowska, costretta negli elaborati costumi di Kate Hawley, quasi un’ornata camicia di forza “fin de siècle”, non è però la Jane Eyre della situazione, bensì un’eroina protofemminista in grado di tenere testa alla sua antagonista. E Jessica Chastain, nel ruolo di Lady Lucille Sharpe, si dimostra memore della terribile governante interpretata da Judith Anderson in Rebecca, dando l’occasione a Del Toro di concedersi qualche vezzo hitchcockiano (la tazza di tè, la chiave), prima che il regista decida di ribaltare le convenzioni azzoppando il presunto deus ex machina, il dottor Alan McMichael, e precipitarsi a rotta di collo verso il “redde rationem” conclusivo.
Guillermo Del Toro conferma la propria amorevole fascinazione per il diverso, e basterebbe a dimostrarlo il progetto di un Frankenstein o l’adattamento da Lovecraft da tempo accarezzati, ma questa volta, per dirla con Poe, l’arabesco la vince sul grottesco, e di gran lunga.
Voto: 6 e ½
Nicola Picchi