Recensione n.1

Il peggior horror di sempre?

Nel precedente film di Balagueró, Nameless, una setta di squilibrati satanisti tentava di produrre su questa Terra l’essenza del male allo stato puro, incarnato nel corpo di una bambina. L’idea torna prepotentemente (e spudoratamente, si direbbe…) in questo nuovo film del regista spagnolo.

Esseri immondi che strisciano nell’ombra, ectoplasmi sfaccendati che gironzolano per una lugubre villa, bambini che entrano in contatto con entità sconosciute, complicatissimi riti esoterici, figure paterne che Jack Torrance pare uno scioperato, in confronto: in Darkness c’è tutto questo e anche di più. Ovvero una tale quantità di luoghi comuni e cliché dell’immaginario horror da rendere inutile la stessa caccia alla citazione (esercizio che molti considerano –con una buona dose di ragione – piuttosto sterile).
In realtà la forza del film sta proprio nel rielaborare questi cliché con uno stile che trascende le debolezze della trama, concentrandosi sulla ricerca del massimo effetto attraverso le immagini disturbanti, il montaggio rapido, una notevole fotografia e una ben curata colonna sonora (rumori e musiche).
E qui, per fortuna, il gioco risulta quantomeno divertente e la sospensione della credulità richiesta massicciamente dalle convenzioni del fantastico cinematografico, alla fin fine, è più digeribile di quanto ci si aspetterebbe. Anche se il senso di dejà vu ci assale ad ogni snodo della storia e non mancano vere e proprie cadute di tono, le atmosfere sospese e angoscianti, insieme a qualche sano brivido, possono ripagare lo spettatore più smaliziato.
D’altro canto Darkness, nella sua sfacciata mancanza di originalità, non soffre delle forzature tipiche dell’ultimo Shaymalan, in cui il pretesto del fantastico sembra necessariamente doversi far carico di qualche istanza metafisica, per poi risolversi in una consolatoria dichiarazione d’ottimismo. Qui l’horror è horror, sufficientemente negativo e disturbante, con un finale che non delude, adeguandosi al tono malsano dell’intera pellicola. E senza nemmeno il fastidioso ingombro dell’ammiccamento metalinguistico post-scream…
Occhio al produttore: è Brian Yuzna, maestro riconosciuto dell’horror cinematografico contemporaneo.
Da notare, infine, come il gioco delle citazioni e dei prestiti sia ormai esteso al territorio più recentemente conquistato dall’immaginario dell’orrore, cioè quello dei videogiochi. Come si può non pensare a quel capolavoro (in assoluto uno delle esperienze horror più terrorizzanti di sempre) che è Silent Hill, osservando le pareti viscide di sangue della casa di Darkness?

Sasha Di Donato

Recensione n.2

Periodicamente le intramontabili case stregate tornano ad abitare incubi e sale cinematografiche. Difficile aggiungere nuova linfa a un luogo orrorifico cosi’ ampiamente visitato, ma lo spagnolo Jaume Balaguero’ ci riprova. Il risultato lascia perplessi perche’, se da un lato si riscontra il tentativo di creare un’atmosfera di attesa e di imbastire una storia dai risvolti inquietanti, dall’altro la cornice prevale sul quadro, con una regia prevalentemente sensazionalistica. In questo senso Balaguero’ amplifica i difetti del precedente “Nameless”, confinando i momenti di tensione a effetti sonori e stacchi di montaggio perlopiu’ gratuiti. La sceneggiatura prevede vari colpi di scena che sortiscono l’effetto di disorientare e il regista riesce con furbizia ad assecondarli catturando l’attenzione dello spettatore. La maggior parte degli eventi, pero’, analizzata alla luce della razionalita’, perde gran parte del suo significato.
Cio’ di cui si sente maggiormente la mancanza e’ quindi una motivazione nei personaggi in grado di renderli autonomi dal gioco causa ed effetto attraverso cui i fatti si succedono. La concatenazione funziona nell’immediato, ma pare avere unicamente lo scopo di distrarre lo spettatore dai tanti buchi del racconto. I personaggi, poi, sono abbozzati senza lesinare sulla grossolanita’. La madre ha unicamente battute tipo “Tranquilli va tutto bene!” o “Sono esausta!”, quando la narrazione suggerisce con evidenza il contrario, il padre abusa delle espressioni di follia del poco rassicurante Iain Glein, il bambino ha una funzione mistificatoria della verita’ e non si capisce (tra le altre cose) per quale motivo la giovane protagonista resti inizialmente immune dal maleficio casalingo. A una prima parte fin troppo preparatoria, segue la cupa resa dei conti. Niente mostri inprimo piano o sangue a fiotti, come la produzione di Brian Yuzna (suo il cult “Society – the horror”) lascierebbe intendere. Balaguero’, infatti, suggerisce anziché mostrare. Ma la scelta, sulla carta coraggiosa e controcorrente, e’ minata da espedienti fini a se stessi che rivelano presto l’inconsistenza del progetto.

Luca Baroncini