Regia: Thomas Vinterberg
Sceneggiatura: Lars von Trier
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Musiche: Benjamin Wallfisch
Montaggio: Mikkel E.G. Nielsen
Anno: 2005
Nazione: Danimarca / Francia / Germania / Gran Bretagna
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 101′
Data uscita in Italia: 23 settembre 2005
Genere: drammatico-surreale
Sebastian Danso Gordon
Krugsby Bill Pullman
Freddie Michael Angarano
Dick Jamie Bell

Una sceneggiatura di Lars Von Trier, una regia di Vinterberg, piuttosto funzionale, ed ecco un bel risultato, in linea con il cinema danese degli ultimi quindici anni.
L’idea è decisamente buona: un gruppo di ragazzi americani emarginati e pacifisti, scopre che il conoscere e l’usare le armi senza nuocere a nessuno rafforza le proprie sicurezze e rende se stessi più risoluti nella vita quotidiana, ma poi capitano nuove cose e tutto si complica…
L’idea è affascinante. Si sa, per esempio, che le arti marziali danno forza interiore a chi le pratica, liberandole da paranoie, isterismi e aggressività gratuite. In una qualsiasi provincia americana, costruita volutamente su stereotipi western e iconografici degli anni 60, un po’ surreali, ma attualizzati al mondo di oggi, un gruppo di ragazzi comincia a costruire un “credo” basato sulla “forza delle armi” come propellente per sentirsi uomini e donne più forti e positivi. Cominciano quindi ad avere un rapporto morboso e personale con questi strumenti letali, finalizzato a migliorare se stessi; iniziano ad ispirarsi a modelli eroici del passato americano o a battaglie epiche. Guardano documentari sugli effetti delle pallottole sul corpo, studiano in modo spasmodico armi, criminologia, balistica, ecc.

La loro comunità, che si riunisce al “Tempio”, una fabbrica chiusa, diventa una sorta di società segreta senza tempo, dove ognuno sceglie i suoi costumi ed i suoi totem. Sembra in qualche modo che si ritorni ad un’epopea neowestern.
Si chiamano “Dandies”, e il garantire la forza dei “Dandies”, cioè “il lato positivo della forza”, si direbbe, porterà comunque a delle conseguenze estreme, cioè allo sforzo per una tutela di una comunità che vuole garantire la civiltà e l’aggregazione dei suoi stessi valori, a dispetto di condizioni avverse, e quindi che accetta la possibilità dello scontro.
E’ un dilemma fondamentale, ma poco analizzato in Italia. Essere pacifici o pacifisti? Sono due cose diverse. Essere pacifici pone delle condizioni, ovvero il necessario rispetto delle regole di una società, mentre il pacifismo crede in una specie di anarchia gioiosa, dove comunque tutti sono buoni e bravi.
Usando una metafora americana, anche gli eroi di guerre stellari credono nella pace, ma non nel pacifismo. La cultura del pacifismo comunque è cresciuta in una cultura considerata nel bene e nel male “aggressiva”, cioè quella Yankee.
Domande.
Si potrebbe essere pacifisti se l’emarginazione e il degrado non costringessero le persone a costruire delle difese e un modo di “pensarsi” comunità? E’ possibile pensare un mondo cosi? O il pacifismo è solo utopia?
Il pacifismo crede che la violenza nel mondo esista solo come risposta a circostanze avverse. Ma è davvero così? O la violenza è comunque connaturata nell’uomo, e per credere in un mondo migliore bisogna comunque prenderne atto?
E poi, dall’uso o dalla proprietà delle armi alla fin fine può venire veramente qualcosa di buono?
Il film e i protagonisti trattano le armi come se avessero un anima. L’ambizione delle armi è quella di essere usate come strumento di morte, e il proprietario che le ha deve saper “cavalcare” e canalizzare l’energia di queste stesse verso obiettivi positivi.
I protagonisti sono emarginati o intimamente inadeguati alla realtà che li circonda, ma proprio loro rappresentano l’anima antica degli Stati Uniti; chi ha cercato il nuovo mondo sopportando lotte e sacrifici può essere solo chi in quello di origine non ha trovato quel che cercava ed ambisce ad altro. I ragazzi di Dear Wendy (questo è il nome della pistola del protagonista) sono americani fin nel midollo…meditare…
Certo, comunque si può e si deve pensare concretamente ad un mondo migliore, ed è ancora più certo che i modi possono essere molti!
Forse la risposta viene dallo sceriffo del villaggio che, in uno scenario western, si rivolge ai ragazzi, riequilibrando e facendo luce parzialmente su questa complessa realtà: “…io sono l’unico a pensare che questa città sia stata costruita da gente come voi…”.
Film consigliato!

Gino Pitaro newfilm@interfree.it