Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Scenografie: J. Michael Riva
Costumi: Sharen Davis
Musiche (supervisione): Mary Ramos
USA, 2012 – Western – Durata: 165′
Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Kerry Washington, Samuel L. Jackson, Don Johnson, Amber Tamblyn
Uscita: 17 gennaio 2012
Distribuzione: Warner Bros Pictures
Come aveva promesso…
Come aveva promesso a Venezia, dopo il remake di Quel maledetto treno blindato di Castellari, Tarantino torna a omaggiare il cinema di genere italiano, con questo Django Unchained.
Stavolta trattasi dei mitici Spaghetti Western, e in particolare di due registi che forse più diversi non potrebbero essere, l’allegro Corbucci e l’altisonante Sergio Leone. Solo Quentin poteva osare tanto, mischiando quindi elemento di grande profondità come la lotta alla discriminazione, con elementi di pura ilarità, come tutti i richiami a Lo chiamavano Trinità .
Attendiamo quindi la conclusione della trilogia, anche se a questo punto non riusciamo a immaginare di cosa tratti il terzo film, dopo Bastardi senza Gloria e Django Unchained! Conclusa la trilogia, Tarantino si dedicherà (pare) al seguito di Kill Bill piu di 10 anni dopo (la bambina vendicativa dovrebbe avere l’età giusta….).
Tornando al pirotecnico Django, la trama di questo folgorante film è sintetizzabile cosi brevemente. Django (Jamie Foxx, il premio Oscar) è uno schiavo e viene liberato dal dottor King Schultz (C. Waltz, anche lui premio oscar con Tarantino), un dentista tedesco cacciatore di taglie, appassionato di Wagner come da tradizione.
Schultz è a caccia dei criminali più ricercati del Sud, con mandato del tribunale di Austin, e sceglie di avere Django al suo fianco. Django impara rapidamente i segreti del mestiere e decide che è giunto il momento di ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda, venduta al mercato degli schiavi anni prima. Il richiamo a Wagner e alla storia di Brunilde e Sigfrid non è nemmeno troppo velato…
E’ una sorta di liasion con il film precedente di Quentin, che ci aspettiamo sia presente anche nel prossimo capitolo della trilogia “Italian movies of 70ies”.
Aiutato anche da Schultz, l’uomo riesce a rintracciare la moglie che si trova a Candyland, una famigerata piantagione gestita da Calvin Candie, un Di Caprio in grandissima forma. Django dovrà quindi vedersela con Calvin e la sua banda di schiavisti senza scrupoli per liberare l’amata.
Favoloso doppio cameo di Franco Nero e del regista stesso. Nero si dimostra esperto di Mandinghi neri.
La genialità del regista si palesa rapidamente dalla forma perfetta e trasognata di ogni singola scena, girata con una perfezione a tratti quasi kubrickiana nella ricercatezza delle luci e delle location. Il film trasuda cinema e amore per il cinema ad ogni fotogramma in un crescendo wagneriano eccellente, sorretto da una colonna sonora come sempre pertinente, anche se assai impertinente nell’accostare brani nati per tutt’altro scopo a questo puro divertissment. Il film ha fatto parecchio infuriare Spike lee, un po’ come Bastardi senza gloria fece infuriare alcuni gruppi ebraici, perché a detta di Spike rappresenta in modo troppo superficiale “l’olocausto dei neri d’America”. Le stesse parole usate sostanzialmente contro il film precedente da gruppi ebraici: “il film ironizza sul dramma dell’olocausto”.
In verità non si ha mai l’impressione che il regista voglia mandare elaborati messaggi sociali, quanto piuttosto vuole semplicemente divertirsi e divertirci, in modo da far trascorrere le 2 ore e 45 minuti in maniera lieve. Risultato raggiunto anche se giunti nei pressi della metà, ci aspetta una mezz’ora finale di puro delirio citazionitico, in puro stile tarantiniano! Pare molto apprezzato dal pubblico USA, tanto che Django diventerà probabilmente il film con maggiori incassi della carriera di Quentin… Odore di Oscar anche per i protagonisti…
Dopo un simile spettacolo, difficilmente pareggiabile da altri film nel 2013, attendiamo con ansia il prossimo progetto del regista, ma soprattutto il sequel di uno dei film nati dal suo progetto “Grindhouse”, Machete 2!
Voto: * * * * *
Vito Casale
#IMG#Tarantino scatenato
È il 1858, due anni prima dello scoppio della Guerra Civile Americana. Nel Sud degli Stati Uniti lo schiavo negro Django (Jamie Foxx) viene acquistato e liberato dal dr. King Schultz (Christoph Waltz), ex dentista di origine tedesca che ha ormai abbracciato la professione di cacciatore di taglie. Lo scopo è quello di farsi aiutare a riconoscere una banda di criminali che sta cercando da tempo, i fratelli Brittle. Ma, una volta riacquistata la libertà, Django convincerà il neo-socio a dirigersi insieme a Candyland, la proprietà dello spietato negriero Calvin Candie (Leonardo DiCaprio), per recuperare la propria sposa Broomhilda (Kerry Fox). La vendetta, non priva di intoppi, sarà spietata…
Chi è Quentin Tarantino? Un giovanottone ormai quasi cinquantenne che negli anni ottanta grazie alla sua sterminata cultura cinematografica, considerata quasi maniacale e comprendente in particolare il cinema italiano di genere degli anni settanta, trovò lavoro presso un videonoleggio. È uno che ama i dialoghi, facendoli assurgere a fama proverbiale nei suoi film, scrivendone di memorabili e deliranti. È ancora uno che del copia/incolla ha fatto un’arte, creando un nuovo genere autoreferenziale e facendo proprio l’aforisma di Igor Stravinskij “I grandi artisti non copiano, rubano”. Ed è soprattutto un gran paraculo. Sì, perché ogni suo nuovo film non propone nulla di nuovo, ma spiazza per come lo presenta.
E così ha contaminato, in tutte le sue pellicole precedenti, i generi di volta in volta affrontati con quello più amato, ossia lo spaghetti-western: spesso presenti il triello (“mexican standoff”) a partire da Le iene e le musiche, di repertorio, del venerato Ennio Morricone. Ora, affrontando il western, lo sporca a sua volta con tutti gli altri generi: le zoomate brusche derivanti soprattutto (ma non solo) dai wuxia hongkonghesi, il rap, il grandguignol e le citazioni colte, come in questo caso la saga di Sigfrido e Brunilde.
Va da sé che Django unchained non è un vero western o, almeno, non appartiene al sottogenere degli “spaghetti” o “macaroni”, come li chiamano in Giappone. Fin dall’inizio spudorato ed irriverente con il brano “Django” (title track del film del 1966) cantato da Rocky Roberts, fino al finale con il leitmotiv de#Lo chiamavano Trinità, passando per il cameo di Franco Nero (il Django originale, per quei pochi che non lo ricordassero), è un omaggio al mito della frontiera e ad un paese (già) allora decadente – la guerra civile è ad un passo e gli WASP, che si consumano in stanche attività ricreative come i “mandingo fightings” sono destinati tutti ad una pirotecnica, brutta fine, mentre gli europei sono per contro dei gentleman – filtrato attraverso la blaxploitation e tutto il mondo di citazioni e riferimenti cari all’autore di Knoxville.
Va anche da sé che l’ultimo film di Tarantino dimentichi, se non rinneghi John Ford, irrida David L. W. Griffith con i goffi membri del Ku-Klux-Klan ed omaggi i due storici Sergio, Leone e Corbucci.
Critiche preventive e prevenute sono piovute sul film da parte di Spike Lee, che, pur senza averlo visto, lo ha accusato di essere razzista e di trattare in modo distorto la lotta degli schiavi afroamericani. Che dire? Lo schiavismo qui è semplicemente un pretesto narrativo e non è poi trattato proprio all’acqua di rose, tant’è che gli schiavi venivano liberati già in epoca romana, ma tacciarlo di qualsiasi faziosità o leggerezza è come accusare Kubrick di non essere riuscito a realizzare con 2001 un approfondito trattato di astronomia.
A mettere a tacere qualsiasi altra speculazione giungono lo strepitose interpretazioni degli attori: un bravissimo Foxx, che parla più con gli sguardi che con altro; una strepitosa Kerry Washington, fragile e dura allo stesso tempo; un mellifluo Christopher Waltz che, tutto sommato, replica il personaggio del colonnello Hans Landa di Bastardi senza gloria; mentre la vera sorpresa è Leonardo DiCaprio, mai così maturo, capace di rendere la follia e la dissolutezza umana con la semplicità di un sinistro sorriso.
Il Django scatenato, liberato come la Gerusalemme del Tasso o senza catene, come più v’aggrada, è il protagonista di un vitalissimo meltin’ pot, pieno zeppo dei pregi e dei difetti del suo autore, ma anche di un film godibilissimo che o si ama o si odia, senza mezzi termini. Certo, una sforbiciata, in particolare nell’ultima mezzora un po’ troppo dilatata, non avrebbe guastato, ma Quentin, si sa, è così: maledettamente eccessivo.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti
Alcuni materiali del film:
Featurette “Quentin Tarantino”
Featurette “Leonardo Di Caprio”