Due angeli, cacciati da Dio per l’eternità nel Wisconsin, trovano un espediente per riuscire a tornare in Paradiso grazie ad un vescovo del New Jersey, che promette indulgenza a chi varcherà la soglia della propria chiesa.
Unico problema: “Ciò che riterrai giusto in Terra io lo riterrò giusto in Paradiso” fu detto a Pietro. Ergo, se gli angeli si conquisteranno il diritto al Paradiso senza il volere di Dio, tutto il creato si squaglierà sotto il peso di una contraddizione insanabile.
Bethany, viene così incaricata fermare i due angeli in viaggio verso il New Jersey e salvare così il mondo dalla catastrofe. A farle da guida saranno due profeti. Due strani profeti…

Mette le mani avanti sin dall’inizio, nonostante l’eloquenza del suo titolo, questo Dogma, il nuovo film di Kevin Smith, confezionato 4 anni or sono e solo ora sbarcato in Italia a causa delle solite critiche bacchettone.
Mette le mani avanti, si diceva, spiegando che è tutto un gioco, non bisogna prendersela, tanto meno gridare allo scandalo. “Dio ha il senso dell’umorismo”, nicchia all’avvio.
E allora parte il leitmotiv di Kevin Smith: divertirsi, divertirsi, divertirsi. Alle spalle della Bibbia, naturalmente; e di quei Numi che ci stanno dietro.
Il plot è banale, l’espediente del viaggio è il più facile motore narrativo dai tempi dell’Odissea, i personaggi passano più tempo a spiegare cosa sta succedendo che a svolgere il proprio ruolo, ma tutto diviene il pretesto in ragione di una sana voglia di divertirsi, che grazie alla mano di Kevin Smith, lì dietro battere il tempo giusto, fanno di Dogma un film assolutamente godibile.
Ogni metafisica viene imprigionata e ridotta alle strette leggi della natura, cosicché assistiamo ad angeli che puniscono i peccatori con le pistole, divinità super potenti affrontate a mani nude e che si spostano in autobus. Nemmeno Dio (che è donna) può liberarsi dalla prigionia del corpo di un umano, finché questi non muore.
Possiamo allora deliziarci fino in fondo degli spassosi Profeti (i grandissimi Jay e Silent Bob), le colonne portanti scurrili e beote della comicità di Kevin Smith, combinate con un tredicesimo apostolo (Chris Rock), che manifesta contro la censura razzista delle Sacre Scritture, e un campionario di irriverenze blasfeme da Guinnes dei primati, senza il peso che qualche divinità scenda dal cielo tra fulmini e saette, ricordandoci che sono solo idiozie.
Idiozie orchestrate con intelligenza, perché il regista sa il fatto suo, sapendo rendere soffice come il cotone un film che solo nella parte finale si appesantisce nello sforzo di tirare le fila del discorso.
Ridendo e scherzando, la voglia di parlare della chiesa americana c’è e si sente: si nasconde e fa capolino tra le battute e le macchiette create, lasciando il sapore dell’amarezza raccontata col sorriso.
Del resto, il messaggio più perentorio è nel titolo, e chi ha orecchie per intendere, avrà certamente inteso.
Si parte da un Dio paninaro che strizza l’occhio, per far divertire i fedeli annoiati da riti sempre uguali, e si arriva a un Dio donna che sorride e fa le capriole ammirando i fiori. Nel mezzo, una lieve e greve e divertente e sottile analisi dei rapporti tra giovani uomini e giovani donne americani con la religione, un rapporto in crisi, ma letto con affetto.

Francesco Rivelli