Scheda film
Regia: Matteo Garrone
Soggetto e Sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Matteo Garrone
Fotografia: Nicolaj Bruel
Montaggio: Marco Spoletini
Scenografie: Dimitri Capuani
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Musiche: Michele Braga
Suono: Maricetta Lombardo
Italia/Francia, 2018 – Drammatico – Durata: 102’
Cast: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli, Alida Calabria
Uscita: 17 maggio 2018
Distribuzione: 01 Distribution

Cani sciolti

In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Alida, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.

Dopo la lettura della sinossi di Dogman, ultima fatica dietro la macchina da presa di Matteo Garrone, è impossibile non riavvolgere le lancette dell’orologio sino al 18 febbraio del 1988 per ritornare con la mente al brutale omicidio dell’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci per mano di Pietro De Negri, noto alle cronache come “delitto del Canaro”. Oggi, a trent’anni esatti da quei fatti, che colpirono l’opinione pubblica per la sua particolare efferatezza, la Settima Arte ha deciso di riesumare dalle ceneri della cronaca nera quegli accadimenti con ben due pellicole, ossia Rabbia furiosa – Er Canaro e Dogman appunto. Ma se la prima, un dramma noir a tinte forti con una larga componente splatter firmato da Sergio Stivaletti, fatta eccezione per qualche variazione sul tema per inevitabili cause di forza maggiore [vedi il cambio dei nomi dei personaggi, della geolocalizzazione della storia da Via Della Magliana al Mandrione e lo spostamento temporale ai giorni nostri], si avvicina molto a quanto accaduto, la seconda, salvo analogie e riferimenti più o meno diretti all’evento che l’ha ispirata, ne prende le distanze narrative e dramamturgiche.

Per farlo, il cineasta romano ha fatto sua quella storia e le figure che l’hanno animata per plasmare il tutto a immagine e somiglianza del suo modo personale e riconoscibile di pensare e concepire la Settima Arte. Un modus operandi che ci riporta direttamente a L’imbalsamatore e a Primo amore, dove Garrone partiva dalla realtà per poi trasformarla in una fiaba nera asfissiante e senza speranza, di quelle che lasciano segni indelebili nella mente e nel cuore dello spettatore di turno. Gli stessi che sono destinati a sedimentare anche al termine di Dogman, nelle sale nostrane a partire dal 17 maggio dopo la fortunata anteprima nella competizione di Cannes 2018.

Dogman è in pochissime parole un film potente e stratificato, che prima di essere analizzato va letto attentamente fotogramma dopo fotogramma per arrivare alla sua essenza. Solo così se ne potrà capire l’effettivo spessore e il peso specifico di ciò che racconta. Garrone ci catapulta senza rete di protezione, se non il filtro dato dallo schermo, in un non luogo che restituisce la misura incolmabile di un microcosmo di puro degrado, dove vige la legge del più forte e i più deboli sono destinati a soccombere, o almeno sino a quando questi non liberano l’animale in gabbia sprigionando il lato oscuro che c’è in loro per diventare, essi stessi, dei carnefici. Esattamente come il protagonista Marcello (interpretato da un intenso Marcello Fonte), che Garrone ha disegnato come «un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente».

Ma al di là di quanto lo schermo si riveli straordinariamente capace di trasferire al fruitore, trasfigurandola, una materia così cupa e violenta, solo le parole di Garrone possono riassumere alla perfezione il cuore pulsante di quest’opera. E lo possono fare molto, ma molto meglio, di qualsiasi analisi critica, compresa la nostra. Di conseguenza, per questa volta, ci mettiamo da parte, allacciandoci direttamente alle note di regia che accompagnano la pellicola, riportandole in maniera fedele, nelle quali il regista romano ci spiega cosa Dogman non è, per poi aprire le porte alla sua mission: «Dogman non è soltanto un film di vendetta, anche se la vendetta (ma meglio sarebbe chiamarla riscatto) gioca un ruolo importante, così come non è soltanto una variazione sul tema (eterno) della lotta tra il debole e il forte. È invece un film che, seppure attraverso una storia “estrema”, ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì che diciamo e che ci portano a non poter più dire di no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere. In questo interrogarci nel profondo, nell’accostarsi alla perdita dell’innocenza di un uomo, credo sia un film universale, “etico” e non moralistico: anche per questo tengo molto a sottolineare la distanza dal fatto di cronaca che lo ha soltanto liberamente ispirato. Tutto, a cominciare dai luoghi, dai personaggi, dalle loro psicologie, è stato trasfigurato». Più chiari di così si muore.

Voto: 8

Francesco Del Grosso