Titolo Originale: Dopo Mezzanotte
Italia Drammatico/Romantico Durata: 1h30m

Regia: Davide Ferrario
Cast: Giorgio Pasotti, Francesca Inaudi, Fabio Troiano, Francesca Picozza

Produzione: Davide Ferrario
Distribuzione: Medusa Anno: 2003

Recensione n.1

Se volete entrare nel fantastico mondo del cinema, anzi del “cinematografo”, andate a vedere questo film!
Attraverso la straordinaria voce di Silvio Orlando, la storia narra di una ragazza che a un certo punto della sua vita, per puro caso, si trova a dover decidere fra due amori. Ma non ci troviamo di fronte alla classica “matematica dell’amore” (1+1=3), tutt’altro!! Davide Ferrario riesce a trasformare questo banale plot, in una storia d’amore degna di un libro di favole.
Una delle frasi, probabilmente tra le più significative del film è “forse sono i luoghi che raccontano le storie meglio dei personaggi”. Infatti il film, ambientato a Torino, è quasi tutto girato all’interno della Mole Antonelliana, dove risiede il Museo del Cinema. Questo ha dato vita a tutta una serie di citazioni che da tempo non vedevamo sugli schermi italiani.
I cinefili saranno sicuramente felici di rivedere le splendide immagini del treno dei Lumiere, di Cabiria di Giovanni Pastrone[1], del Il Vampiro di Murnau, ma soprattutto delle gag di Buster Keaton.
Il custode del museo, Martino (interpretato da Giorgio Pasotti), sembra appunto un piccolo Buster Keaton perché vive dentro a un mondo proprio, tutto fatto di film muti, di gag, di modi di vivere lo spazio come accade nelle comiche ecc..
In un’intervista Ferrario ha dichiarato che il personaggio di Martino è in parte autobiografico e che questo film rappresenta una riflessione sul cinema visto come strumento che riflette la realtà. Non è un caso che il film sia ispirato a Buster Keaton, il comico più “materialista” della storia del cinema; come non è un caso che Martino possegga una piccola cinepresa con la quale riprende il mondo che lo circonda.
A quanto pare l’autore di Guardami e di Tutti giù per terra, continua a seguire il suo stile giovane, fresco e originale, senza mai cadere nel didascalismo o nel film di genere: qualità che vanno apprezzate..

Giudichan (Giuditta Martucci)

[1] Regista e produttore cinematografico, attivo agli inizi del ‘900. Autore di Cabiria, uno dei primissimi colossal italiani.

Recensione n.2

E’ l’amore per il cinema ad illuminare l’ultima fatica di Davide Ferrario. Fatica perche’ le difficolta’ produttive hanno spinto il regista ad autofinanziarsi e a girare a budget limitato sfruttando l’agilita’ del supporto digitale. E amore perche’ tutto il film, al di la’ della storiellina che lo tiene precariamente in piedi, e’ un omaggio sentito e convincente alla Settima Arte. Un po’ come il Bertolucci di “The Dreamers”, Ferrario non si accontenta di infarcire la sua opera di immagini del passato, ma si preoccupa di rendere le citazioni vive e comunicative. Non una mera operazione nostalgica, quindi, nessuno scontato piangersi addosso, ma un vero e proprio atto d’amore nei confronti di quel luogo in cui tutto e’ possibile pur restando seduti: la sala cinematografica. Il protagonista si costruisce il suo cinema personale nei locali suggestivi della Mole Antonelliana, prestigiosa sede del Museo dl Cinema. E’ il custode notturno e quando calano le tenebre, mentre tutti la’ fuori si dimenano intorno ad un perche’, trova rifugio nei film, che proietta per se stesso, unico spettatore della sua solitudine e del suo sogno. E’ questa idea romantica a sostenere il film, ma nonostante una piacevole grazia d’insieme si sente la mancanza di una visione armonica, in grado di conciliare l’incanto delle intenzioni con la concretezza delle situazioni messe in scena. Situazioni che il piu’ delle volte si risolvono nella superficialita’ senza accendere la favola fino in fondo. Alcune trovate funzionano (davvero riuscito il cortometraggio girato dal protagonista), altre stridono (le gag fisiche alla Buster Keaton), altre ancora banalizzano (la geometria affettiva) o risultano inutili (la vincita alla Lotteria). Discorso a parte per la voce fuori campo di Silvio Orlando: inizia conferendo verve e simpatia al racconto, ma finisce per sostituirsi alle immagini esplicitando cio’ che la successione dei fotogrammi e’ gia’ in grado di esprimere. Tra dialoghi spigliati, personaggi un po’ schematici, psicologie embrionali, sequenze irresistibili (le pillole di saggezza del cugino), attori che stanno al gioco e una Torino inconsueta nel fulgore delle luci di Natale, il film scivola leggero seguendo il percorso ad ostacoli della sgangherata sceneggiatura e conquistando il pubblico, pur nel suo disequilibrio, grazie a una dote non comune: il tocco gentile.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)

Recensione n.3

Dopo i “tre colori” pieni, rotondi, classici di Kieslowski ecco il film “virato”. Davide ferrario ripercorre le strade del metacinema smussando le antinomie tra gli elementi roteanti, perni di un congegno a scatti, della storia di quella “invenzione senza futuro”. Sposa la fotografia digitale, contrastata e variopinta, alla magia bianca e abulica di Torino, indagata dalla voce di Silvio Orlando. La storia di un triangolo amoroso, eternata da sostituzioni e accostamenti bizzarri con i fantasmi in carne ed ossa del cinema muto, viene estesa, deformata in in usuale quadrilatero, ridotta in cenere evanescente, come “tutte le storie”. Il narratore, menestrello assonnato ed epicamente dialettale, supplisce al mutismo del protagonista(Giorgio Pasotti), sagoma dello stupore incastonata nelle pellicole di cui si nutre. Martino, custode notturno del Museo del Cinema, si anima nell’irrealtà colorata e incessante di un’enorme edificio; crea lui stesso,fuori dal tempo, filmati in cui abbraccia estasiato la modernità trasfigurandola, rivivendone gli aspetti magici e accomunabili a quei film “primitivi”. Si innamora in modo “keatoniano” di una ragazza vivace(Francesca Inaudi),ciarliera e scattante, con la quale condivide in parte le movenze clownesche. Ne investe la vita, frantumandone la banale complessità. Ma non sarà lui a intagliare il finale della storia, triste e necessario, nell’oblò circolare che si stringe sull’ultima scena.

Chiara F

INCONTRO CON DAVIDE FERRARIO

“La via di mezzo” di Davide Ferrario

Film indipendenti o commerciali,

attrici alla Marini o alla Buy?

Per il regista di “Dopo Mezzanotte” esiste una terza via…

a cura di Cinzia Bovio

E’ uscito da poco nelle sale cinematografiche l’ultimo film di Davide Ferrario “Dopo mezzanotte” con Giorgio Pasotti, Francesca Inaudi, Fabio Troiano e Francesca Picozza. Tra la filmografia del regista anche “Anime fiammeggianti”, “Figli di Annibale”, “La fine della notte”, “Tuttti giù per terra”, “Guardami”, “Partigiani”.
Qui di seguito l’intervento di Ferrario alla presentazione del suo ultimo lavoro al cinema “Araldo” di Novara.

Forse inaspettatamente “Dopo mezzanotte” ha vinto il Berlinale 2004. Inaspettatamente perché?

Da film autoprodotto dalla “Rossofuoco”, alla major Medusa…

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Film indipendenti o film commerciali?

Secondo me esiste una via di mezzo tra le pellicole smaccatamente indipendenti e quelle commerciali. Nel mio film le immagini sono nitide, si può farlo anche con poco. Non mi piacciono quelle formule “sgranate” che subito identificano una pellicola “indipendente”.

Ma torniamo a “Dopo mezzanotte”…

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Ecco il rapporto tra cinema e realtà, da tutti i punti di vista…

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E che dire di Torino, città ispiratrice anche del film “Tutti giù per terra”?
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