L’espressione artistica merita sempre rispetto perche’ e’ un mettersi a nudo davanti a una folla giudicante che da una comoda poltrona puo’ decidere “questo si’!” oppure “questo no!”, annullando con un cenno di dissenso le fatiche di mesi di ricerche e duro lavoro. E’ anche vero, pero’, che esporsi comporta il rischio di non piacere, perche’ e’ totalmente lecito, oltre che giusto, che il confronto con un percorso creativo provochi emozioni non per forza allineate. Lo scambio reciproco dovrebbe essere il costruttivo punto di incontro. Sta di fatto che il debutto alla regia di Valeria Bruni Tedeschi convince a meta’. Se da un lato e’ ammirevole la capacita’ dell’attrice di buttarsi senza rete in una storia autobiografica e con tutta probabilita’ dolorosa, dall’altro, proprio questo vissuto personale e intimo finisce per permeare il film di un egocentrismo tutt’altro che necessario. Come dire, non si sentiva certo la mancanza di un bio-pic su Valeria Bruni Tedeschi. Eppure il film, dopo una prima parte claudicante, riesce a rendere universale il percorso di crescita della protagonista e il suo disagio esce da un utilizzo sfacciatamente terapeutico della macchina da presa. E’ la discontinuita’, quindi, il filo rosso che lega le varie sequenze che compongono il lungometraggio. Nel senso che momenti riusciti si affiancano ad altri (la maggior parte, purtroppo) ridondanti, falsi e di maniera. Insopportabili, ad esempio, le lezioni di ballo che scandiscono il racconto, poco riusciti alcuni personaggi (il prete confidente), ridicolo il fidanzato che canta l’Internazionale in un grottesco crescendo. Molto divertente, invece, la riunione familiare in cui la madre (Marysa Borini, vera madre della Bruni Tedeschi e convincente attrice al suo debutto), mostrando i tesori di famiglia, affianca un Rubens alla foto del figlio vestito da Zorro. E riuscito, nella sua rappresentazione della fantasia come rifugio dagli eventi reali, il rapimento concluso con un pranzo tra famiglia e brigatisti cantando tutti insieme “El pueblo unido jamás será vencido!”. La regista, nonostante un’uniformita’ stilistica tra realta’ e immaginazione che confonde i diversi piani narrativi, e’ comunque meglio dell’interprete, ormai abbonata a ruoli di fragile ed eterea che rischiano di imprigionarla a vita (mentre sembra mostrare un talento naturale per i tempi comici). Brava Chiara Mastroianni, si lascia apprezzare il carisma di Roberto Herlizka, anche se farebbe piacere ritrovarlo in ruoli piu’ vitali (dopo la difficile prova in “Buongiorno, notte” e’ qui un patito malato terminale). In un cameo anche Emmanuelle Devos (“Sulle mie labbra”), moglie dell’amante della protagonista, ma il quadretto di cui e’ fugace interprete stride e non convince.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)