La bolognese “ITC Movie” continua a percorrere le strade del “carino” puntando sulla verve di comici di estrazione televisiva (ancora una volta le “Iene” Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu) e cercando un punto di incontro tra risate e sentire contemporaneo. Tra i lungometraggi prodotti dalla giovane casa di produzione, “E allora mambo!” resta l’opera più riuscita. “Tandem” aveva comunque qualcosa da dire e “Come se fosse amore” tentava strade nuove, mentre il debutto di Luciana Littizzetto con “Ravanello Pallido” non funzionava granché; un po’ meglio, ma senza strafare, “Se devo essere sincera”. Il nuovo “…e se domani”, ispirato a una storia vera già messa su carta da Armando Cirillario ne “Il caso Gargano”, delude invece su tutti i fronti. Il racconto di un uomo, spinto da un rifiuto affettivo e dal fallimento economico a prendere in ostaggio dipendenti e clienti di una banca, non trova nel debuttante Giovanni La Pàrola la giusta misura per disancorarsi dalla commedia e provare a dire altro. Per cui i momenti drammatici si traducono in inutile mestizia, il thriller sbraca nel grottesco, la critica sociale (la spietatezza degli istituti di credito) non arriva, la storia d’amore è noia allo stato puro e il presunto divertimento sfuma in gag mosce che non fanno ridere. Per tacere dell’inaffrontabile finale buonista che, tra l’altro, tarda sterilmente ad arrivare. La colpa non è solo di una regia che abusa di primi e primissimi piani (forse per nascondere i limiti del budget puntando tutto sugli attori?) e di angolature particolari senza riuscire ad allinearsi ai tempi comici delle battute, ma anche di una sceneggiatura piatta, eccessivamente lineare e priva di mordente. I personaggi si muovono infatti seguendo dinamiche emotive superficiali e aggrappandosi a pochi aggettivi (sulla tirchieria dell’avvocato si giocano troppe, flaccidissime, gag). La cosa più grave, però, è che non sprizzano la simpatia a cui ambiscono. Quanto ai comprimari – il commissario di polizia, la direttrice della banca, lo stilista dal braccio d’oro (sic!), la vecchietta in ostaggio – sono vere e proprie caricature, in costante disarmonia con il ricercato realismo delle situazioni messe in scena. Inutili gli sforzi del cast di ravvivare personaggi inerti e ridicoli (perché, ad esempio, costringere Luca Bizzarri a parlare con un improbabile accento siculo?). Ad affondare il progetto contribuiscono anche la fotografia livida, tutta sgranature e controluce, di Michele D’Attanasio e la povertà di scenografie e costumi. L’unica cosa bella è la canzone che dà il titolo al film cantata da Mina. Ma questo lo sapevamo già.
Luca Baroncini de gli spietati