Sorrentino va alla svolta intimistica con un’opera che rimanda alla sua giovinezza e alla sua storia famigliare ma riesce a darle un afflato universale che l’ha fatta apprezzare a una buona parte della critica mondiale. Il tema è anche il calcio dell’amato Maradona, un evento storico per Napoli praticamente irripetibile. L’unico momento della storia in cui il Napoli ha vinto trofei su trofei di ogni genere, in italia e anche in europa.
Sarebbe forse corretto dire che l’opera di Sorrentino esplora il rapporto tra sacro e profano, ma una formulazione così tiepida non riesce a catturare il massimalismo di molti suoi film. Nel mondo di Sorrentino, sacro e profano si intrecciano ed esauriscono a vicenda cosi tanto che smettiamo di cercare di capirne il senso. Nel bene e nel male, il suo cinema è opera di qualcuno che sa che la vita non è nettamente divisa in santo ed eretico. Lo stile di Sorrentino si rafforza man mano che il film diventa più surreale, e raggiunge il culmine con una sottotrama in cui Fabietto fa amicizia con il mentore di Sorrentino, il focoso regista Antonio Capuano. Ascoltando questo stupido idiota lamentarsi di Napoli come un luogo dove non succede nulla, Capuano risponde: “Sai quante storie ci sono in questa città!?”Alla fine si renderà conto che sua zia che prendeva il sole nuda sul ponte della barca di famiglia era una storia, e anche i suoi genitori si fischiettavano il loro amore mentre il loro matrimonio era marcito dal profondo era una storia. “La mano di Dio” non sempre trova il modo più chiaro per legare insieme queste varie storie, e la seconda metà del film sembra anche lasciare un certo numero di personaggi importanti un po’ sospesi. Ma il film punta piu sulle atmosfere e le suggestioni, rispetto alla coerenza narrativa rigorosa o allo sviluppo perfetto dei personaggi, e in questo centra perfettamente l’obiettivo. Anche la delicata inquadratura finale non consente al film di risolversi del tutto e definitivamente.  Forse lo farà un giorno in un lontano futuro. «Voglio una vita immaginaria», dichiara Fabietto qualche tempo dopo la morte dei genitori, «proprio come quella che avevo prima». Quando questo film tremante e personale volge al termine, Sorrentino ci ha mostrato come ha trasformato quella vita nella sua realtà, in una sorta di gioco filmico che è anche catartico e terapeutico per il regista. E che grazie alla sua capacità di plasmare messaggi universali, diventa un messaggio catartico per tutti noi.

Voto 6,5

VC