Scheda film

Regia: Daniele Ciprì
Soggetto: Roberto Alajmo, Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì
Sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Daniele Ciprì, con la collaborazione di Miriam Rizzo
Fotografia: Daniele Ciprì, con la collaborazione di Mimmo Caiuli
Montaggio: Francesca Calvelli, con la collaborazione di Alfredo Alvigini
Scenografie: Marco Dentici
Costumi: Grazia Colombini
Musiche: Carlo Crivelli
Suono: Angelo Bonanni
Italia, 2011 – Grottesco – Durata: 90′
Cast: Toni Servillo, Gisella Volodi, Alfredo Castro, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi, Benedetto Raneli, Piero Misurace
Uscita: 14 settembre 2012
Distribuzione: Fandango

 Il mito del macchinone

Da una storia vera. Un uomo, tra il catatonico e l’esterrefatto (Alfredo Castro), in un ufficio postale racconta l’amara storia della famiglia Ciraulo. Meno che proletari, negli anni ottanta vivevano in Sicilia del solo lavoro del capofamiglia Nicola (Toni Servillo), che si arrabbattava rivendendo il ferro vecchio delle navi in disarmo, cercando così di sfamare gli altri cinque abitanti la casa. Quando un giorno la piccola Serenella viene colpita a morte da un proiettile vagante nel corso di un regolamento di conti mafioso, paradossalmente la fortuna, sotto forma di tragedia, bussa finalmente alla loro porta: una legge prevede il risarcimento in denaro dei parenti dei morti per mafia. Dopo mille trafile burocratiche, avvocati e debiti contratti presso strozzini per affacciarsi quanto prima nella nuova vita che li attende, i Ciraulo finalmente riscuotono la cifra pattuita, ammontante a diverse centinaia di milioni di lire. Tra svariate proposte circa la gestione di una tale cifra, Nicola lancia la sua: comprare un Mercedes! Ma l’ingresso in famiglia del costoso e lussuoso autoveicolo di fabbricazione tedesca, a fronte di una fugace dignità restituita, sarà l’inizio della rovina per tutti…
Primo assolo dell’autore, insieme a Franco Maresco, dei filmati di Cinico TV e di provocatori lungometraggi, È stato il figlio colpisce per l’abilità del regista e sceneggiatore di mantenere per tutta la durata del film quel tono grottesco ed efficace che fu la fortuna di un Ferreri ed in parte di Pasolini. Con una fotografia fredda e slavata, quasi a voler prendere le distanze, ma ricca di chiaroscuri nonostante il colore, la pellicola non rinuncia a quel circo di freaks di cui Ciprì e l’ex collega si sono sempre contornati nelle loro opere, affidando a quelle facce quasi felliniane alcuni importanti ruoli di contorno. I personaggi di È stato il figlio riescono a radunare un vero e proprio campionario di quella “sicilianità” e mediocre italianità che sono stati da sempre tutto meno che il vanto del paese: la ricerca spasmodica del benessere a tutti i costi, l’arte di arrangiarsi, il mito del macchinone, l’omertà, la legge del più forte (ossia della pistola) che come un pratico “fai-da-te” vuole sostituirsi a quella dello Stato.
Con un tono spesso disincantato – impeccabili i quadretti a sfondo musicale, come il relativamente pericoloso gioco di bimbi dell’inizio sulle note di Nino D’Angelo o la sfavillante e sfacciata sfilata in Mercedes di Nicola al suono di “È impossibile” di Massimo Greco con dietro tutti i luoghi comuni di una Palermo volutamente da cartolina – mentre in altri punti decisamente crudele, le disavventure dei Ciraulo assurgono a favola nera nel racconto del povero Busu che, da quanto capiremo alla fine, ne avrà saputo molto più di quel che avremmo potuto immaginare fin lì. Ciò che nel sangue comincia nel sangue non può che finire, sembra suggerirci Ciprì, come testimonia l’ultima scena in cui la pozza versata dalla piccola vittima suggella quello appena sparso suo malgradodal malcapitato Nicola.
Fondamentale in questa storia realmente accaduta, già filtrata dagli occhi letterari di Roberto Alajmo nell’omonimo romanzo, è l’apporto degli attori, da un Toni Servillo come sempre istrionico e perfettamente credibile in un ruolo sopra le righe – come tutti d’altronde – al cileno Alfredo Castro (lo ricordate, già non poco allucinato, in Tony Manero e Post Mortem del connazionale Pablo Larraín?), distaccato narratore che però nasconde un segreto, fino ancora ad Aurora Quattrocchi, impagabile nei panni di Nonna Rosa, quasi strega ed ottima stratega, che attinge a tutto il suo essere siciliana quei brividi lungo la schiena che soprattutto nel finale ci lascia scorrere.

Voto: * * *½

Paolo Dallimonti