E.T. è un film che punta ad un alto coinvolgimento dello spettatore. I due elementi che favoriscono questa strategia sono, da una parte, la colonna sonora, un’autentica sinfonia che accompagna quasi ogni scena e dall’altra una sceneggiatura che costruisce nettissimi rapporti di opposizione e di solidarietà fra i personaggi. È nella costruzione di questa opposizione che però Spielberg compie qualche errore. Innanzitutto la caratterizzazione di Elliot come bambino debole, sottoposto alle angherie del fratello e degli amici, è fin troppo scoperta ed esplicita. Ancora più smaccata è l’introduzione, sempre nella prima scena di interni, del tema della separazione dei genitori:
– Telefona a tuo padre!
– Come faccio che è in Messico con Daisy?!
Si vogliono porre qui le basi dell’amicizia fra Elliot ed E.T., ma tutto è fatto con gran fretta e senza smussature. La prima scena, con l’arrivo dell’astronave e la fuga di E.T., introduce l’elemento fiabesco che dominerà tutta la pellicola. La scena si basa sull’uso del dettaglio, sulla scelta di far vedere la parte per il tutto: le pile, le scarpe degli uomini, le chiavi. È quest’ultimo elemento che però diventa debordante, presentato continuamente e in modo esplicito. Ma qual è il senso di questa scelta? Le chiavi sono un segno, il suo significante è il mazzo di chiavi nella sua materialità, ma il significato? Sembra che sia nell’area semantica del potere, del potere di catturare e imprigionare, ma perché soffermarsi su questo segno? Perché ripeterlo una decina di volte?
L’amicizia fra Elliot ed E.T., anche se preparata un po’ troppo esplicitamente da questi dispositivi di sceneggiatura, è costruita in modo straordinario: dalla comunicazione simbolica delle caramelle lasciate nel parco, ai primi tentativi di comunicazione verbale, fino alla capacità di E.T. di esprimere il suo desiderio di avere un contatto con il suo pianeta. È un’amicizia che diventa empatia totale: sentono le stesse emozioni e pensano gli stessi pensieri. Ma è anche un’amicizia che sembra promettere protezione e la prospettiva di un futuro insieme. Elliot dice infatti ad E.T.:
– Non devi avere paura, ti proteggerò io, cresceremo insieme!
È l’intervento della polizia, a rompere l’ambiente fiabesco nel quale nasce e si sviluppa questa amicizia: si passa dal fiabesco alla fantascienza, per poi concentrarsi sulla relazione empatica che sembra trascinare nella morte lo stesso Elliot.
Qui si inserisce un elemento di rottura nel dualismo che percorre tutto il film tra il caldo mondo dell’infanzia e il freddo cinismo degli adulti ed in particolare della polizia e degli scienziati. Uno di questi ultimi, dice infatti ad Elliot:
– Ho aspettato questo momento fin da quando avevo dieci anni.
Si svela qui un figura mediatrice, quasi a rompere lo scarto fra Elliot e tutti gli uomini ostili a E.T..
Ma l’empatia finisce, E.T. sta per morire e Elliot si riprende, ma ora l’empatia si ristabilisce sotto il segno della vita: E.T. sta meglio e si ritorna al fiabesco, gli amici accompagnano Elliot e il fratello in uno straordinario inseguimento che si conclude nella foresta, in un’improvvisa oscurità che accompagnerà E.T. alla sua astronave con un’uscita di scena lenta e dilatata, nella quale il nostro scienziato mediatore sarà spettatore silenzioso della partenza dell’extraterrestre.
Enkidu (da IAC)