Regia: Damien O’Donnel. Sceneggiatura: Ayub Khan-Din.
Fotografia: Brian Tufano. Montaggio: Michael Parker.
Musica: Deborah Mollison. Scenografia: Tom Conroy.
Costumi: Lorna Marie Mugan. Produzione: Leslee Udwin per Assassins Films/Film Four.
Origine: Gran Bretagna 1999. Durata: 96’.
Distribuzione: Euroacademy. Interpreti: Om Puri (George Khan), Linda Bassett (Ella Khan), Jordan Routledge (Saijd Khan).

Nella Manchester degli anni settanta, tra moschea e discomusic, la famiglia di George Khan simboleggia di una integrazione etnica e razziale abbastanza diffusa. Pakistano immigrato da tempo nel regno unito e sposato ad una inglese cristiana molto paradossalmente “ortodossa”, tenta di imporre la cultura islamica ai suoi figli (sei maschi e una femmina) nei modi più rozzi e pieni di becera retorica. Il fallimento di un tentativo impositorio di un matrimonio combinato aprirà spiragli ragionevoli nella sua coscienza e cambierà la direzione patriarcale assunta sin dall’inizio.

Tutto giocato sullo scontro fra due culture, il film è una vera e propria farsa, nell’accezione più peggiorativa del termine, un santuario commediaccesco assolutamente inutile e retrò. Sarà poi che all’esile impianto sceneggiativo si aggiunge un involucro filmico degno dei più orrorifici television-format, non resta che la speranza (che diverrà presto certezza) che il futuro ci riservi “visioni migliori” e che da Cannes qualcuno, un giorno, si decida a distribuire finalmente dei film o comunque qualcosa che vagamente gli possa somigliare.

Gianluca Mattei