Scheda film

Regia: Malgoska (Malgorzata) Szumowska
Soggetto e Sceneggiatura: Tyne Byrckel, Malgoska (Malgorzata) Szumowska
Fotografia: Michal Englert
Montaggio: Jacek Drosio, Françoise Tourmen
Scenografie: Pauline Bourdon
Costumi: Katarzyna Lewinska
Musiche: Pawel Mykietyn
Francia/Polonia/Germania, 2011 – Drammatico – Durata: 99′
Cast: Juliette Binoche, Anaïs Demoustier, Joanna Kulig, Louis-Do de Lencquesaing, Krystyna Janda, Andrzej Chyra, Ali Marhyar
Uscita: 28 settembre 2012
Distribuzione:Officine Ubu

Sale: 39

 Oggi non smetto!

In Francia secondo un rapporto del sindacato SUR ogni anno 40.000 tra ragazzi e ragazze si prostituiscono per pagarsi gli studi. È da questa statistica e dal bisogno di approfondire il fenomeno che ne scaturisce che nasce Elles, quarta pellicola firmata da Malgoska Szumowska, nelle sale italiane a partire dal 28 settembre con Officine Ubu dopo la presentazione alla 62esima edizione della Berlinale nella sezione “Panorama”. La regista di Cracovia, formatasi nella prestigiosa Lodz Film School che ha consegnato alla Settima Arte pezzi da novanta come Polanski, Skolimowski, Wajda, Zanussi, Rybczynski e Kieslowski, ci porta al seguito di Ann, una giornalista affermata di un periodico femminile che vive con la sua famiglia in una bella casa parigina. Per un’inchiesta sulla prostituzione tra le giovani studentesse si trova ad incontrare Alicja e Charlotte; le ragazze sono in realtà molto orgogliose di praticare questo “mestiere” e felici dell’indipendenza che ne ricavano. Gli incontri tra Ann e le due prostitute sono profondi e destabilizzanti e la inducono a interrogarsi in modo nuovo sulle sue più intime convinzioni riguardanti famiglia, sesso, denaro, mettendo in discussione profondamente le sue certezze.
Sinossi e tema affrontato dalla Szumowska nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa (la quinta se si conta anche il bel cortometraggio del 1999 dal titolo The Silence) in attesa della prossima Murder of Priest Adam, arrivata a distanza di tre anni dal Pardo d’Argento ottenuto a Locarno con 33 Scenes from Life e a undici dal promettente esordio di Happy Man, ritornano, seppur con traiettorie e dinamiche drammaturgiche diverse, su ciò che Emmanuelle Bercot ha provato a raccontare con esiti senza alcun dubbio più soddisfacenti in Student Services. Anche se la materia e il punto di vista esclusivamente femminile (non femminista) sono i medesimi, la sostanziale differenza risiede nell’approccio narrativo alla materia stessa e al messaggio di fondo che le due pellicole vogliono trasmettere allo spettatore. Da una parte troviamo una Bercot che attraverso l’adattamento dello scottante bestseller “Mes chères études” di Laura D., parte dalla storia vera della sua autrice per provare solamente ad aprire gli occhi sul delicato e controverso tema della prostituzione giovanile durante il periodo studentesco, dall’altra la collega polacca sottopone il film, sin dalle prime scene, a un evidente vizio di forma. In Elles, infatti, la Szumowska prova chiaramente a imbastire una sorta di indagine o studio sul fenomeno sotto forma di fiction, ma il risultato, al contrario di quanto portato sullo schermo dalla regista transalpina, è più uno sguardo di tipo “antropologico” di natura voyeuristica che emette giudizi e una scialba morale. In tal senso, ciò che emerge in maniera piuttosto evidente è un’incapacità dell’autrice di portare a temine e sostenere la sua dichiarazione d’intenti, ossia quella di non prendere una posizione netta sull’argomento, mantenendo dunque il distacco necessario da esso, tanto da permettere a chi osserva la sua opera di stabile se ciò di cui si parla sia giusto oppure sbagliato, Ne emerge, invece, esattamente il contrario, con una pellicola che lancia il sasso per poi ritirare la mano. Lo fa attraverso un film morboso che spia e non osserva, con uno sguardo sui corpi che alla lunga stanca e perde di consistenza figurativa. Ci troviamo così al cospetto di un racconto infarcito di cliché non solo nel racconto, ma anche nella sua trasposizione in immagine, con i soliti dettagli insistiti sui corpi durante gli amplessi e sui giochi di riflesso negli onnipresenti specchi che dovrebbero restituire la sporcizia dell’anima e dell’involucro di carne e ossa che la contiene.
Sia in Elles che in Student Services viene mostrato senza alcuna reticenza il lato perverso e violento dell’atto sessuale, ma con la differenza che il primo prova a stabilire un ponte empatico, non solo con la parte femminile, ma anche con gli annoiati clienti che lo richiedono. Nel film della Bercot l’esperienza sessuale passa unicamente attraverso le vicissitudini della protagonista, costretta a ricorrere alla prostituzione per poter pagare la retta universitaria, l’affitto e le bollette. Inizia così una pericolosa routine tra appartamenti lussuosi, squallide camere d’albergo, club privati e parcheggi, che porta la ragazza a vendere il proprio corpo in cambio di guadagni facili, che lasceranno però il segno a causa dei vizi e delle perversioni sessuali dei suoi maturi clienti. In quello della Szumowska l’esperienza non è diretta, ma filtrata attraverso gli incontri che il personaggio di Ann ha con le due giovani prostitute, queste prestate al mestiere più antico del mondo, non più per esigenze di istruzione. Si tratta dunque di una scelta e non più di questione di sopravvivenza.
Il tallone d’Achille di Elles è che non emerge mai quale sia il suo vero obiettivo. Mentre lo scopo di Student Services era quello di segnalare all’opinione pubblica un problema che si sta tramutando sempre di più in una piaga sociale, quello del film della regista polacca non è mai chiaro. In quest’ultimo l’attenzione si sposta inspiegabilmente, con un palleggio didascalico tra i piani spazio-temporali, dal fenomeno della prostituzione studentesca in Francia alle difficoltà familiari della protagonista (l’interpretazione della Binoche è la nota positiva da salvare nell’intera operazione). Quando decide, invece, di soffermarsi sul tema specifico, ciò che ne scaturisce è una irritante moralità a buon mercato, figlia di un trattato filmico sull’aneddotica della prostituzione e non su un più complicato dibattito sull’uso del corpo della donna. Questo contribuisce ulteriormente ad alimentare quel vizio di forma di cui si parlava in precedenza e che finisce con il pesare come un macigno sull’intero progetto. Il tutto si trasferisce di conseguenza dalla carta scritta alla sua messa in quadro, con una regia priva di iniziative che non va oltre il pedinamento e la camera a mano.
RARO perché… è un film morbo e voyeuristico, per niente riuscito.

Voto: *½

Francesco Del Grosso