Scheda film
Regia: Marco Bellocchio
Soggetto: Marco Bellocchio e Stefano Bises
Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino
Fotografia: Francesco Di Giacomo
Montaggio: Francesca Calvelli
Scenografie: Andrea Castorina
Costumi: Daria Calvelli
Musiche: Fabio Massimo Capogrosso
Suono: Gaetano Carito
Italia/Francia, 2022 – Storico/Drammatico/Grottesco – Durata: 330′
Cast: Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Daniela Marra, Gabriel Montesi, Paolo Pierobon
Uscita in sala: 18 maggio (1^ parte) e 9 giugno (2^ parte) 2022
Distribuzione: Lucky Red
Aldo tradimento
Anche Marco Bellocchio è tornato sul luogo del delitto. A quasi vent’anni da Buongiorno, notte il regista de I pugni in tasca si lascia tentare dal mondo della serialità, come sempre più numerosi registi italiani, per approcciare nuovamente l’affair Moro. Lo fa dall’alto dei suoi ottant’anni suonati, di una filmografia vasta e variegata, nonché altalenante, ma affronta il tutto da gigante qual è.
L’inizio è già spiazzante: l’allora Presidente della Democrazia Cristiana, con voce fuori campo, da un letto d’ospedale ringrazia le Brigate Rosse per averlo liberato e ricusa carriera politica e partito, mentre davanti ha un Giulio Andreotti, un Francesco Cossiga e un Benigno Zaccagnini non esattamente felici di rivederlo. Come se il Moro/Herlitzka del film precedente fosse effettivamente riuscito a fuggire dal covo brigatista secondo l’immaginazione della sua carceriera Chiara, in una sorta di anello di congiunzione tra le due opere. Come dire: vengo anch’io, per vedere (di nascosto) l’effetto che fa.
La notte che veniva omaggiata nel titolo, citando un verso di Emily Dickinson, e che fa riferimento anche al buio in cui il paese calò durante e dopo i cinquantacinque giorni del sequestro Moro, qua viene catalogata come un “esterno”, poiché il racconto verrà condotto secondo i punti di vista di più personaggi di quel teatrino, ovviamente fuori dal covo.
Cinque ore e mezza di materiale narrativo, diviso in due parti per il cinema, in uscita il 18 maggio e il 9 giugno, strutturate in un totale di sei capitoli che diventeranno altrettante puntate previste per il palinsesto autunnale di RaiUno.
Se nel primo episodio il protagonista è lo stesso Aldo Moro, reso più che umano in tutte le sue manie da un camaleontico Fabrizio Gifuni (che ne aveva data una versione ancor più dolente e disincantata, benché troppo debitrice del “senno di poi”, in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana), che domina fino all’uscita di scena nel momento del suo rapimento, sulle note beffarde di “Porque te vas” di Jeannette, uno scampolo d’epoca, nel secondo vedremo le vicende dei cinquantacinque giorni attraverso gli occhi di un Francesco Cossiga grottesco e tragicomico nella versione di Fausto Russo Alesi, mentre nel terzo lo sguardo sarà quello di Paolo VI, qui malato, fragile e visionario, ma disposto a tutto pur di liberare il fraterno amico. Nel quarto il taglio è quello dei rapitori, in particolare di Adriana Faranda, del suo partner Mario Morucci e di Mario Moretti, mentre nel quinto sarà la moglie Eleonora (una grandissima Margherita Buy) a fare da filtro, infine nell’ultimo episodio torneremo nel covo per rivedere Moro, un’ultima volta, con gli eventi che si raccorderanno con l’ucronico, spiazzante inizio.
Una sorta di Rashomon in grande stile per affrontare ancora una volta uno dei momenti più bui della nostra nazione, con piglio oltremodo visionario, senza voler essere in alcun modo esaustivi, ma puntando ad emozioni e sensazioni, anche se mai al sensazionalismo.
Ce n’era davvero bisogno? Stando al risultato sullo schermo, decisamente sì! Con buona pace dei famigliari di politici ormai morti e sepolti che grideranno allo scandalo e all’oltraggio alla memoria nei confronti dei propri cari, perché questo o quello non sarà stato “ben trattato” sullo schermo, come se Aldo Moro all’epoca fosse stato “ben trattato” nella realtà, tra accuse di pazzia e di Sindrome di Stoccolma, pur di screditare un pericoloso ostaggio in mano al nemico e mantenere apparente stabilità nel paese. Tra un Giulio Andreotti, che in prima battuta si vomita addosso in bagno e poi è ritratto sempre seraficamente dormiente nel suo letto, e un Francesco Cossiga che già (pre)vede il fallimento di una carriera politica e non solo, pieno di macchie sulla coscienza e sulla pelle e anche altrove, fino ad un Benigno Zaccagnini (un insospettabilmente sontuoso Gigio Alberti) tra l’incapace e l’impotente e ancora ad un Paolo VI ferito nel corpo e nell’animo, ma ancora vulcanico, forse il più interessato alla vita dello statista rapito.
Ma, come dice lo stesso protagonista, “che cosa c’è di folle nel non voler morire?”, quindi nel voler sopravvivere a tutti i costi? Nelle quasi sei ore di racconto si consuma una tragedia di stato, un tutti-contro-tutti in cui, come sappiamo nessuno vincerà o perderà realmente, tranne Aldo Moro che perse quanto di più prezioso ci sia al mondo, ossia la propria vita.
Un’opera completa e parziale allo stesso tempo, (en)ciclop(ed)ica, poiché raccoglie infinite suggestioni, omettendo e romanzando anche parte dei fatti reali, volendo però fornire una sua personalissima visione di una vicenda che cambiò per sempre le sorti del paese e sulla quale, dopo oltre quarant’anni, c’è ancora molto da dire.
Voto: 8
Paolo Dallimonti