Dal soggetto e dall’ambientazione scelti dal regista canadese (ma di origine armena), Egoyan, mi aspettavo un gran film noir. E invece.
I protagonisti della storia sono Lenny Morris e Vince Collins. Lenny e Vince sono, negli anni cinquanta, una coppia di comici al vertice di Hollywood. Poi qualcosa si spezza e nel 1958 decidono di separarsi. Dietro di loro lasciano il mistero della morte di Maureen, una cameriera/studentessa universitaria ritrovata deceduta nella vasca da bagno della suite della coppia nel 1958.
Quindici anni dopo la separazione del duo comico, Karen, giovane giornalista arrivista e agguerrita, convince un editore a finanziare il suo libro inchiesta sulla coppia Lenny-Vince.
Attraverso i racconti e i silenzi dei due protagonisti, Karen comincia la sua ricostruzione, mentre la narrazione di quegli avvenimenti del 1958 prende vita grazia alla voce fuori campo della stessa Karen e per alcuni tratti di Lenny.
Con i troppi e sconclusionati flash-back tra il 1972 e il 1958, che lasciano per la prima ora lo spettatore confuso, si scoprono le personalità contorte dei due divi: Lenny è il divo bello e sfrontato; Vince, al contrario, l’uomo serio e senza sbavature. Sul palco le loro due personalità opposte creano un sodalizio bilanciato e spettacolare. Fuori dagli studi tv, però, i due condividono una vita d’eccessi con droghe festini erotici e amicizie al limite della legalità.
Karen arriverà alla scoperta tanto cercata e scoprirà quanto la verità di entrambi sia stata falsata nel tempo. Maureen è stata uccisa per aver visto qualcosa che mai avrebbe dovuto essere scoperto, un amore proibito per quel tempo.
Nel film le allusioni sono molte, i fatti pochi. Il confine tra vittima e suo carnefice è molto sottile lungo tutta la pellicola. Troppo spesso e troppo in fretta la vittima, infatti, per Engoyan, diventa il carnefice per colui o colei che fino a pochi minuti prima poteva annientarlo.
Carnefici non tanto dal punto di vista fisico, ma bensì psicologico.
Sì perché tutto è giocato sul filo delle intuizioni della mente, in particolare su quelle dell’intraprendente reporter, che in completa solitudine e senza prove tangibili, scopre la verità.
Karen deve cominciare e concludere anche un percorso estremamente intimo, che la porterà a valicare molti limiti; il confine tra oggettività e soggettività , essenziale per una giornalista imparziale, viene valicato a suo piacimento con molto consapevolezza, e infine strumentalizzato per ottenere le informazioni volute.
La Lohman convince poco nella parte della donna aggressiva e sicura di se, troppo sbavature; niente a che vedere con la sua interpretazione della ragazza ribelle post trauma di “White Oleander”. La scelta poi di dare al lei il ruolo di narratore fuori campo è poco incisiva, a volte mielosa, non coinvolgente.
La colonna sonora lascia l’amaro in bocca, poca attinenza alla storia, forse troppo lenta anche nei momenti di maggiore intensità investigativa. Anche se possiamo certo parlare di genere noir, che c’è e si sente, non si riesce a percepire l’ansia e la suspance come d’obbligo.
Le scene, patinate e rarefatte ricreano bene, anche nei colori, le atmosfere del tempo (soprattutto quelle che riguardano gli anni ’50), e la società di quegli anni, in cui Hollywood era il sogno americano e la ricerca buonista di eroi o modelli di vita dilagavano in tv e al cinema.
Sono, comunque, i due attori protagonisti che salvano il film dalla mediocrità. Kevin Bacon è, come al solito, l’uomo che fa il film, che fa la differenza; doppio e malizioso, il suo personaggio viene alla luce con sorrisi solo accennati, utilizzando la platealità e la sfacciataggine come maschera.
Il ruolo di Vince, interpretato da Colin Firth, rende l’effetto ricercato: un uomo mai scomposto, con i capelli sempre in ordine, impassibile, poco trascinato dai sentimenti. Ma è forse il personaggio più complesso della storia; fino all’ultimo sembra che i rimorsi non facciano parte della sua natura,ed invece il peso di quello che era successo materiale lo aveva condotto all’estremo ripudio di se stesso.

I dialoghi tra i due protagonisti sono troppo spesso celati. Il regista ha preferito sguardi e ammiccamenti in cui sia lo spettatore a dover dare corpo al rapporto ambiguo tra i due. Inutilmente però ha basato la conoscenza delle loro vita sregolata solo su scene erotiche, lunghe ed ininfluenti sulla storia.. Il loro rapporto viscerale, di complicità assoluta non è stato approfondito nel suo lato tenebroso, in cui viene svelata la sua ambiguità e l’omertà silenziosa dettata dall’amore reciproco.
Il film continua a ripeterci di come a volte sia meglio dimenticare che esita una verità universale, oggettiva, per dare invece peso alle verità soggettive, rivisitate personalmente.
Il lato oscuro, che Egoyan ci indica come presente, ma celato in ognuno di noi, viene più o meno tardi allo scoperto…c’è chi scoprendolo ci convive, e chi lo rifiuta.
Nonostante il soggetto sia interessante, Egoyan non riesce purtroppo a lasciare il segno; il film rimane sterile e superficiale; le relazioni tra i protagonisti troppo studiate, e gli spunti interessanti purtroppo abbandonati senza rendersene conto. Deludente su molti aspetti.


Laura Novak