Regia: Daniele Costantini
Soggetto e sceneggiatura: Daniele Costantini
Anno: 2005 Nazione: Italia
Data uscita in Italia: 27 maggio 2005 Genere: drammatico
Distribuzione: Istituto Luce
Cast: Leo Gullotta
Fanny Cadeo
Francesco Pannofino
Francesco Dominerò
Tommaso Capogreco
Roberto Brunetti

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“Era cominciata come una storia di esclusività e solidarietà ed è finita come una storia di chiacchiere e sangue”, così uno dei componenti della banda, l’”accattone”, commenta con questa frase l’excursus di questa che, per alcuni versi, è singolare storia di criminalità.
Il film è tratto da un dramma teatrale dello stesso Costantini, e rivela il suo limite nella trasposizione cinematografica dovuta a due circostanze: il budget fin troppo risicato e l’impianto teatrale e verboso del film, che descrive a parole più che farci vedere fatti e circostanze. Certo, i pochi soldi a disposizioni certamente non sono stati d’aiuto ad uscire da un impianto di fruizione teatrale del film, con tanto di proscenio per i componenti della banda vivi e morti che stanno su un palco-aula bunker, di fronte al giudice che è poi il punto di vista dello spettatore in sala.
Il film vede i personaggi che litigano e si confrontano sui vari fatti interpolati da diversi insert che ci mostrano qualche colpo di pistola (cioè delitto), qualche donna nuda vista a “fuoco tondo” (cioè sfocato), qualche luculliana mangiata contornata da sesso (solo alluso), alcool e cocaina.
Sembrerebbe quasi un docu-drama, ma non lo è, piuttosto resta sospeso tra rigore di cronaca e storia raccontata a parole e con l’espressività-gestualità degli attori piuttosto che con i fatti e i caratteri filmati.
Limiti di budget, di linguaggio espressivo (più teatro e monologhi che cinema), ma anche di sceneggiatura. Forse lo stesso Costantini avrebbe fatto bene ad avvalersi di qualche collaborazione per riuscire a fare con poco ancora di più, ovvero di necessità virtù, mentre i “Fatti” questa banda della Magliana ce ne mostra ben pochi, ma ce li narra con l’istrionismo degli attori. E’ chiaro l’intento di arrangiarsi, ma si poteva fare anche di più.
Gli attori sono bravi e le ambientazioni povere e risicate ma coerenti alla storia, all’epoca recente ed ai personaggi.
Non si può dire che sia un brutto film, si lascia vedere soprattutto perché animati dalla curiosità di cogliere gli aspetti peculiari e coerenti a questa storia criminale che, tra la fine degli anni 60 e gli anni 80, è stata protagonista di una buona fetta dei principali avvenimenti criminosi di Roma.
La Banda della Magliana controllava le corse ippiche, il reperimento delle partite di droga e il suo smercio, oltre che realizzare affari nel mondo immobiliare e degli esercizi. Niente politica anche se fu presente una componente eversiva allo Stato. L’obiettivo è il guadagno di soldi. Si differenzia dalle altre organizzazioni criminali per una esclusiva radicalità nel territorio romano, per una struttura non piramidale ma divisa fra i vari membri (i “testaccini”, quelli di Acilia e della Magliana), per un atteggiamento polemico, ciarliero ma in fin dei conti solidale e affidabile (nei primi anni) fra i vari componenti.
In effetti per chi non conosce questa fetta di storia criminale è l’occasione buona per saperne qualcosa di più e per uscire un po’ dai soliti stereotipi di “film di mafia”. I capi della banda della Magliana, che poi integreranno molti altri proseliti, sembrano essere anche lontani e antropologici parenti di quei protagonisti un po’ briganteschi della Roma papalina e ottocentesca, veloci di lingua e di coltello.
Questi nipotini cattivi dei borgatari di Pasolini sono un contributo al comprendere ed al sentire un certo immaginario italiano dei decenni recenti, inoltre questa opera ha il non trascurabile pregio di essere umile nel suo genere e di non volersi appiattire agli stereotipi della fiction televisiva, ciò rende onore al regista, ma il cinema può e deve essere qualcosa di più.

Gino Pitaro