Recensione n.1

Un film di Brian De Palma e’ sempre un’esperienza cinematografica tra la tecnica piu’ sofisticata e la cura per la messa in scena. Questa volta, pero’, il grande creatore di atmosfere in cui perdersi abbandonando la razionalita’, resta imbrigliato in un copione sconclusionato (di cui lui stesso e’ autore) che ribalta piu’ volte le carte in gioco senza suscitare troppa fascinazione. Anche la scelta degli interpreti non aiuta: non basta agghindare una giraffona (bella, per carita’!) con occhialone scuro e dettagli in pelle per farne una dark lady e pure Banderas, nella trita versione truzzo-latina, ha ormai esaurito le sue cartucce di macho da esportazione. Il piu’ in parte finisce con l’essere il sempre piatto Peter Coyote. Prevale l’intenzione sul risultato, il virtuosismo sulla sostanza, l’artifizio sul mistero.
Il De Palma’s touch si riconosce nell’utilizzo dello split-screen, nei rallenty prolungati, nelle lunghe sequenze prive di dialogo, nel gusto per la composizione delle immagini e, in generale, nella pressocche’ perfetta cura formale, ma sembra piu’ il ripetersi di un cliche’ che l’espressione di uno stile personale. Anche la musica di Sakamoto, con un ossessivo semi Bolero ad accompagnare gran parte degli eventi, assume sfumature quasi ipnotiche che diventano un di piu’ non sempre comunicativo e talvolta ridondante. Probabilmente un approccio razionale non e’ il modo migliore per gustarsi il raffinato e cinefilo viaggio di De Palma, ma il regista non riesce a creare quell’empatia onirica che il fluire delle immagini dovrebbe suggerire e si perde in un freddo gioco di citazioni e scherzi del destino. Forse e’ proprio la gratuita’ il maggior difetto del film, un succedersi di belle sequenze il cui ribaltamento pare piu’ un pretesto formale che una necessita’ narrativa.
Il ricordo di Barbara Stanwyck, con cui si apre il film, stimola paragoni imbarazzanti: il suggerito, le frasi allusive e soprattutto la crudelta’, l’avidita’ e il carisma di una delle dark-lady piu’ famose del cinema, perdono, nella versione aggiornata ai tempi, gran parte della loro efficacia. Anche se lo strip-tease della bella Rebecca Romijn-Stamos resta uno dei momenti piu’ caldi e coinvolgenti del film.

Luca Baroncini

Recensione n.2

La prima immagine dell’ultima pellicola di De Palma è l’inquadratura di una tv che proietta la Fiamma del Peccato di Billy Wilder, un omaggio al noir d’epoca e una dichiarazione d’intenti. Si prosegue poi con una rapina di un gioiello d’inestimabile valore, orchestrata durante una proiezione del festival di Cannes. Questo inizio mette subito le cose in chiaro, ancora una volta assisteremo ad un film metacinematografico, un film che nell’omaggiare Hitchcock racconterà il rapporto fra l’immagine e lo sguardo. Ritroviamo tutte le ossessioni più care al regista americano, ma in Femme Fatale, De Palma è troppo preoccupato a essere De Palma al 100%.
Rischiando il kitch, reinterpreta per l’ennesima volta lo script della donna che visse due volte, inserisce la figura di un Banderas fotografo anticonformista (un personaggio davvero sfuocato) che fotografa dal suo studio gli eventi principali (la finestra sul cortile), si concede un flashforward onirico della durata di almeno 40 minuti. Siamo abituati alla scarsa credibilità delle sue pellicole, che peccano sovente di una sceneggiatura sfilacciata e irrisolta (quelle del grande Hitchcock erano granitiche!) ma questa volta la banalità dell’espediente del sogno della protagonista, che offre a De Palma la possibilità di raccontare la storia due volte (creando un’altra immagine doppia) è sospetta. Credo che dopo l’insuccesso di Mission to Mars il regista si sia preoccupato di strizzare l’occhio alla critica francese, da sempre più sensibile alla sua barocca e densa sintassi cinematografica. Ecco allora il De Palma DOC che ti aspetti e che vorresti, ma stavolta così eccessivo da rompere il giocattolo dall’interno. Citazionismo esasperato e autoreferenzialità eccessiva sono i limiti della pellicola. Certo la destrutturazione dei fotogrammi è affascinante , così come lo sono i soliti movimenti sensuali della macchina da presa, acrobazie visive che irridono il primato della narrazione orale, ristabilendo la centralità dello sguardo. In ogni caso il ricorso allo split-screen che sdoppia la narrazione (dividendo lo schermo in due) , concede eccessiva libertà formale mandando fuori controllo il regista, rapito dal suo narcisismo.
In fondo, sembra dire l’autore, niente di ciò che vediamo e vero, l’unicità dello sguardo è impossibile e intollerabile, tutto è doppio, ambivalente. Lo svolgimento dell’intreccio non appartiene al regista ma direttamente ai protagonisti che attraverso le loro scelte possono mutare persino il finale. Per una pellicola così teorica che vuole essere una dottrina sulla manipolazione dello sguardo, De Palma avrebbe fatto bene a spingere di più sull’acceleratore del surreale. Un esasperazione dell’insolito e dell’inconscio, avrebbe potuto avvicinarlo alla poetica di David Lynch, evitando così le banali e ridicole cadute della narrazione gialla. Lo spettatore non si sarebbe sentito preso in giro e manipolato.
Così non è stato e Femme Fatale appartiene alle opere meno riuscite del talentuoso regista americano. Rimangono le stupefacenti acrobazie visive e una Rebecca Romijn-Stamos che mostrando il suo statuario corpo ha nella pellicola il trampolino di lancio per una brillante carriera ad Hollywood.

Paolo Bronzetti

Recensione n.3

-La bionda Laura Ash, sex symbol amato indistintamente da donne e uomini, usa e abusa del proprio fascino per accumulare fortune in diamanti e cash, ben consapevole che il mondo è una giungla, in cui sopravvive solo chi ha rinunciato a scrupoli e rimorsi. Poco importa se ad avere la peggio saranno complici altrettanto spietati, un marito affettuoso e sollecito, un amante appassionato e geloso. Vivere “alla grande”, rincorrendo lusso e piacere, è l’unico obiettivo da perseguire con coerenza.
Ma, ad un certo punto della frenetica rincorsa all’edonismo più sfrenato, unito alla violenza come unico strumento di difesa/offesa nei confronti dell’esterno, si insinua una possibilità diversa, una sliding door che lascia intravedere una vita parallela, più sicura e forse anche più etica. Quasi a intendere che l’homo è sempre faber e cioé artefice del proprio destino, anche quando questo sembra in qualche modo già segnato.
Brian De Palma è e rimane Brian De Palma. Bella e perfettamente ritmata la prima scena del furto dei gioielli, coinvolgente lo striptease sul tavolo da biliardo, spiazzante il finale a sorpresa. Forse dispiacerà al pubblico femminile che il bel Banderas rimanga sempre castigatissimo, che non si mostri neppure una volta a torso nudo. Ma tant’è. Il divertimento è comunque assicurato. Ecco, un divertissement del grande regista che si distingue però da tanta mediocrità in circolazione.

Mariella Minna

Recensione n.4

****
spoiler alert: level 1
Bellissimo!!! Maaa… ma non so se consigliarvi di andarlo a vedere… E questo perché so per certo che “Femme fatale” farà letteralmente schifo ad almeno otto persone su dieci. Per quale motivo? Perché, signore e signori, De Palma è tornato, ed è tornato da indipendente! Mi rendo conto di rischiare di passare per spocchioso e snob, ma è presto detto: da De Palma si compra sempre a scatola chiusa, altrimenti ci si rivolge a qualcun altro (di registi talentuosi ne è pieno il mondo, ma di autori così viscerali no). In questi anni ha realizzato di tutto: da thriller raffinatissimi a quelli più kitsch, da blockbuster su commissione a film dove la regia è stata accettata poco prima dell’inizio delle riprese… Insomma, De Palma farebbe qualsiasi cosa pur di “girare”, anche farsi produrre i film dai francesi (che lo amano da sempre, anche perché incompreso in patria, solito vecchio discorso…). E così è stato. Questo lavoro rappresenta IL cinema di questo autore, nel bene e nel male: dalle suadenti soluzioni registiche alla sceneggiatura che sembra scritta su dei tovaglioli di carta (ma il soggetto no, è davvero bello!), dalle innumerevoli citazioni “depalmiane”, e quindi inevitabilmente “hitchcockiane”, alla traballante direzione degli attori. De Palma è un bambinone che si, e ci, diverte con il giocattolo cinema. Lunghissimi silenzi, donne dalla dubbia identità e moralità, rovesciamenti di ruoli, e via filmando. Ma mi fermo qua: con un solo suo film uno ci potrebbe fare una tesi e non vorrei tediarvi con cose dette e stradette (meglio) da altri.
Vorrei tanto che questo grandissimo regista (lo ammetto, è uno dei miei preferiti da sempre) riuscisse a riscuotere anche con questa sua ultima pellicola il successo che ebbe con “filmoni” tipo “Gli Intoccabili” o “Mission Impossible”, ma sarà davvero difficile. Se lo amate, o se almeno provate un po’ di simpatia nei suoi confronti, non vi deluderà. Altrimenti troverete “Femme fatale” solo un filmetto stupido ed inutilmente voyeuristico (sic!).

DA TENERE: De Palma che ritorna al thriller. Cos’altro aggiungere?
DA TENERE 2: Come dite?? La bellezza di Rebecca Romijn-Stamos?? Certo, ed è pure bravina!
DA BUTTARE: Ma sì, De Palma sa bene che il cinema non deve per forza essere fatto di parole, ma almeno quelle poche che vengono pronunciate le potrebbe scrivere (qui è anche sceneggiatore) un po’ meglio…
NOTA DI MERITO: Con i primi mesi dell’anno vedremo il nostro regista gironzolare per Venezia per le location del suo prossimo film, un horror. Ditemi con chi mi devo prostituire per riuscire ALMENO a sbirciare il set!!!
NOTA DI DEMERITO: Eh, Banderas quando fa il truzzo è proprio truzzo! Però è sempre stupidamente simpatico…
SITO UFFICIALE: http://www.femmefatalethemovie.com/

Ben, aspirante Supergiovane

Recensione n.5

Trash al quadrato, che sia volontario o meno non importa. Si salva solo il primo quarto d’ora, quello del furto dei gioielli (seppur narrativamente risibile), poi si degenera in ellissi incomprensibili, vezzi depalmiani mal riusciti, situazioni assolutamente trash. Un film marcio per cinefili marci,che vanno in visibilio allo split screen depalmiano e altre cose simili. De Palma avra’ pure fatto un film piccolo, in esilio, per lasciare briglia sciolta alla fantasia dopo le costrizioni dei recenti blockbuster su commissione, e di certo questo Femme Fatale si inserisce nel filone del suo cinema piu’ personale. Ma e’ comunque un’operazione che nasce gia’ vecchia, casualmente superata sulle sue stesse tematiche da un regista ben piu’ avanti come Lynch (Mulholland Drive, di cui Femme Fatale sembra la pallida fotocopia), sintomo di un regista giunto al capolinea che non e’ piu’ in grado di guardare con chiarezza al presente. E la sua, spiace dirlo, e’ un’operazione che puo’ essere apprezzata e digerita esclusivamente da un pubblico di cinefili anni 80: per tutto il resto del pubblico e’ una pellicola irritante, noiosa, drammaticamente brutta e ridicola, che denota un vuoto spaventoso di senso: cosa significa ‘sto film?, viene naturale chiedersi all’uscita. Si puo’ spiegare giusto nell’ottica di un Nonhosonno depalmiano, ovvero una antologia riassuntiva, e allo stesso tempo sbiadita, del suo cinema che fu, ma purtroppo oggi assolutamente incomprensibile al di fuori della cerchia di fan. Una debacle senza appello.
Voto: 4

Kaplan