Recensione n.1

Raccontare l’amore con pochi dialoghi è un privilegio che pochi registi possono permettersi. Wong Kar-Way ha fatto innamorare il mondo intero con il suo In the mood for love, un capolavoro dove i due protagonisti vivevano la propria storia d’amore scambiandosi pochissime parole. E questo va sicuramente in collisione con la tendenza generale dei registi occidentali di raccontare rapporti d’amore con un utilizzo eccessivo di parole e conversazioni, quasi come a dire che si è innamorati solo quando è impossibile riuscire a non parlarsi. Invece in La casa vuota di Kim Ku Duk (Bad Boy) accade esattamente il contrario, i due protagonisti non si dicono mai niente, tranne le due parole che valgono più di intere conversazioni: ti amo. Il loro non è un rapporto platonico, Tae-suk e Sun-hwa sono uniti tramite l’anima, due metà divise che ritrovano la gioia anche solo stando l’uno accanto all’altro. Vivono felici il loro rapporto sentimentale senza bisogno di niente, assaporando i dolci momenti di silenzio e parlandosi con sguardi romantici e dolcissimi.
Il film racconta la storia di Tae-suk, un ragazzo che vive una (non) vita sempre sull’orlo dell’invisibilità, abitando case vuote fino al ritorno dei proprietari e non lasciando mai nessuna traccia di sé. Fino a che non incontra Sun-hwa e l’amore per lei non lo costringe a trovare un modo incredibilmente romantico per starle vicino, nonostante il marito: Tae-suk diventa un uomo-ombra, invisibile agli occhi degli altri e presente solo negli occhi amorevoli della sua amata. L’amore diventa per lui la fonte della sua vita, sceglie di vivere un’esistenza nascosta, all’ombra di qualcun altro, pur di restare vicino a colei che lo rende felice.
Un amore magico e splendido, proprio come il film diretto da Kim Ku Duk:un racconto per immagini, che mai annoia ma che anzi, cattura lo spettatore con estrema semplicità e bravura nel donare ad ogni singola inquadratura infinite variazioni di lettura e contenuto. Personaggi insoliti in situazioni altrettanto insolite, una storia che alterna con assoluta leggerezza e intensità momenti di puro humour ad altri incredibilmente romantici, fino a leggeri tocchi di mistero e thriller. La casa vuota è davvero un film meraviglioso, sarcastico e divertente, poetico e romantico, parla all’anima dello spettatore e riempie di splendore i suoi occhi. L’amore perfetto, il film perfetto. Voto: 9

Claudia Scopino

Recensione n.2

Ferro 3, è la mazza da golf preferita dal protagonista, che ha come principale attività quella di introdursi nelle case altrui. Senza rubare nulla. Addirittura aggiustando gli oggetti rotti. L’idillio si interrompe quando incontra una ragazza maltrattata dal compagno…Grande film di Kim Ki Duk, con pochissimi dialoghi, e senza parole del protagonista. Di una leggerezza e squisitezza rare.
8 ½
VC

Recensione n.3

IL CAPOLAVORO DELL’ULTIMO FESTIVAL DI VENEZIA

Il nuovo film del regista koreano Kim Ku Duk arrivò all’ultimo Festival di Venezia proprio come un colpo di fulmine. Non era in programma, in effetti il direttore Marco Muller lo mise in cartellone come “film sorpresa”. Già in patria Kim non è molto celebre, figuriamoci in Italia dove l’unico orientale che si possa definire “famoso” è un certo Takeshi Kitano, così nessuno sapeva a cosa andava incontro vedendo questo “film sorpresa”, nonostante alcuni abbiano sentito parlare del regista per il precedente Primavera, Estate, Autunno, Inverno, e ancora Primavera.
Quella sera è stata la più magica dell’ultimo Festival di Venezia, si è instaurato un magico rapporto tra il film ed il pubblico, la sala era circondata da un’aura di magnetismo inarrestabile che incollava cuore e mente degli spettatori con le immagini filmiche. Quella sera, il pubblico veneziano composto da critici e cinefili non erano in quella sala, o meglio, erano in quella sala ma solo fisicamente, spiritualmente eravamo tutti nella casa vuota.
La casa vuota del titolo è emblematica. Il protagonista Tae Suk è alla ricerca di case vuote dove passare le sue giornate, la protagonista Sun-Hwa invece, vive in una casa vuota (emotivamente vuota) e vuole fuggire.
Più che di casa vuota però, il tutto è più come solo “vuoto”, è evidente che Kim voglia focalizzare nell’indagine spirituale dei suoi 2 personaggi, entrambi con un vuoto interiore: uno vaga sempre da solo nelle strade come un vagabondo, l’altra sta con un uomo che non ama e si sente prigioniera. L’incontro tra i due colmerà il vuoto di entrambi.
E Kim non ha bisogno di intripparsi in discorsi come Woody Allen, né ha bisogno delle parole sciogli-cuori di Baz Luhrmann, anzi, non ha proprio bisogno delle parole, in quanto La casa vuota è un film che parla con le immagini.
I gesti dei personaggi, la loro espressività, e i loro sguardi comunicano più di un’intera sceneggiatura basata su dialoghi, la linea diretta comunicativa va dal cuore dell’opera al cuore dello spettatore in via spirituale emotiva.
Le immagini, accompagnate dalle dolci note della colonna sonora, catturano lo spettatore dentro il film e oltre, fino al metafilmico, tra sogno e fantasia.
Tra le poche battute presenti, un “Ti amo” struggente, pronunciato in un contesto di una dolcezza inimitabile e un’immagine fresca destinata a rimanere per sempre nella propria memoria cinematografica.

Pierre Hombrebueno

Recensione n.4

“DALLA COREA CON ECCESSIVO CLAMORE”
Dopo i fasti veneziani, e grazie al premio alla regia conquistato, arriva nelle sale l’ultimo film di Kim Ki-duk, autore coreano molto amato nei festival internazionali (suo anche l’Orso d’Argento a Berlino per “Samaritan Girl”) e solo negli ultimi tempi distribuito in Italia. La violenza, spesso gratuita, degli esordi (“L’isola”, “Address unknown”) si e’ evoluta in uno stile piu’ morbido, ma resta elemento centrale della sua visione e percorre trasversalmente anche l’ultima opera, insieme a un pessimismo ingentilito da una tenera storia d’amore. L’aspetto piu’ irritante di “Ferro 3”, gia’ presente anche in “Primavera, Estate, Autunno, Inverno … e ancora primavera” e’ la forte connotazione morale del racconto, con il bene e il male chiaramente distinti e riconoscibili, nonostante qualche macchia (l’omicidio involontario con l’inseparabile mazza da golf) che pero’ non lascia traccia. I due protagonisti, infatti, vengono subito connotati come vittime di una societa’ malata e incapace di comunicare e il loro mutismo, affascinante ma forzato, appare come un disperato tentativo di tornare all’essenza delle cose abbandonando la vacuita’ delle sovrastrutture, un ultimo baluardo per fronteggiare la grettezza del mondo. Ma l’approccio giudicante del regista banalizza i personaggi e sfora nella retorica; ad esempio nel rifiuto parziale della tecnologia (la lavatrice) per ritornare ai “bei tempi” in cui si lavava a mano. Il punto di vista di Kim Ki-duk, drastico e non per forza condivisibile, non disdegna virate surreali (imbarazzanti le incursioni della guardia nella cella e le discutibili capacita’ mimetiche del protagonista) e passa attraverso siparietti didascalici non cosi’ illuminanti, in cui i personaggi vengono piegati al messaggio da veicolare. Si incontrano cosi’ famiglie litigiose in cui i bambini giocano con pistole, fotografi marpioni e mariti caricaturali di rara cattiveria. Il tutto mentre si consuma un amore puro e, ovviamente, incompreso, che cerca la poesia ma inciampa in eccessivi schematismi. La discontinuita’ di certe soluzioni narrative e’, pero’, sostenuta da un apprezzabile andamento stilistico e da alcune belle idee: il vuoto di case temporaneamente disabitate riempito da un silenzio garbato, la semplicita’ di gesti e sguardi empatici a dare voce al linguaggio del cuore, la scorrevolezza con cui il racconto si lascia seguire, il superamento degli argini di qualsiasi “genere” e una intensa sequenza conclusiva. La necessita’ di una didascalia finale (“non e’ dato sapere se il mondo in cui viviamo e’ sogno o realta’”), per spiegare la possibile coesistenza di diversi livelli narrativi, non depone a favore della tesi sposata dal film: e’ infatti la parola (scritta, ma pur sempre parola) a dover chiarire cio’ che le immagini, evidentemente, non sostanziano a sufficienza. Perfetto suggello di un film decisamente sopravvalutato in cui idee interessanti, ingenuita’ e un piglio arrogante travestito da pacatezza convivono in equilibrio precario. VOTO: 6

Luca Baroncini de Gli Spietati