Dal nostro inviato Paolo Dallimonti…

Soul (Pete Docter). Un po’ sulle orme di Inside out (e questo forse potrebbe essere l’unico difetto), il nuovo film della Disney Pixar, diretto dallo stesso regista, è stato chiamato ad aprire questa edizione della Festa del Cinema di Roma sotto il segno del Covid-19, che ha visto meno accrediti rilasciati, ma pare non abbia spaventato il pubblico. La storia è quella di Joe (voce originale di Jamie Foxx), un insegnante di musica, di colore, che non prende bene la sua assunzione a tempo indeterminato perché… la sua passione è la musica… jazz! Ma appena sembra aver svoltato per essere stato scelto da una famosissima musicista per esibirsi con lei… cade in un tombino. La sua anima si ritrova in “The great beyond”, un aldilà molto poco rassicurante in cui la sua unica via di salvezza sarà spacciarsi per mentore di un’anima, detta “22”, che da millenni non riesce ad essere pronta per andare ad occupare un posto sulla terra. I due, a cavallo tra il nostro e l’altro mondo, ne combineranno di mille colori per realizzare i loro scopi: Joe, quello di rientrare nel proprio corpo per coronare il suo sogno; 22, quello di ritardare il più possibile la sua… nascita. Molto divertente e perciò poco spoilerabile, Soul non è un film sul jazz, come si potrebbe credere, o almeno non solo, ma sulla vita e la morte e sulla complessità del nostro universo. “La vita è quella cosa che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti”, diceva John Lennon e Pete Docter sembra averlo preso alla lettera nell’ennesimo suo capolavoro. Selezione ufficiale. Voto: 8 e ½

After love (Aleem Khan). Un uomo e una donna, sposati da anni. Entrambi usulmani, lui pakistano, lei convertitasi all’epoca del matrimonio per amore. Subito dopo le prime immagini che li presentano, lui muore. La moglie scopre attraverso il suo portafoglio e il telefono che il marito aveva una relazione con un’altra donna. Non solo, anche un figlio ormai adolescente. Si presenta così a casa dell’altra e per un equivoco viene scambiata per la donna delle pulizie, entrando così per alcuni giorni in casa. Si rende conto che la seconda famiglia, pur sapendo dell’esistenza di lei, non ha appreso ancora della morte dell’uomo…
Semplice ed essenziale, il film traccia un plot avvincente, rivelando segreti uno dietro l’altro come fossero caramelle da scartare, man mano che una entra nella vita dell’altra. I mille dubbi che un tradimento innesca sono ben raccontati attraverso le due donne, entrambe in qualche modo ingannate. Alla fine anche qui, come in True mothers, due madri non saranno affatto troppe. Selezione ufficiale. Voto: 8

Cosa sarà (Francesco Bruni). Il regista Bruno Salvati (Kim Rossi Stuart) un giorno, in seguito ad un banale incidente, riceve dalla professoressa Bonetti (Raffaella Lebboroni) la diagnosi di Mielodisplasia, per la quale dovrà sottoporsi a chemioterapia e ad un trapianto di midollo osseo. Anche in crisi con la moglie, cercherà il donatore nei due figli, Tito e Adele, che però si riveleranno incandidabili. Finché l’anziano padre Umberto non gli farà una rivelazione impensabile…
Prima del Covid-19 si sarebbe dovuto intitolare Andrà tutto bene, ma il titolo fu cambiato a scanso di equivoci. Ispirato alla recente esperienza di malattia dello stesso regista, il film riesce ad affrontare un argomento serio come una grave malattia in maniera assolutamente ironica e improntata ai migliori esempi della nostra commedia all‘italiana, con degli ottimi sviluppi di sceneggiatura. Si ride spesso in Cosa sarà e di gusto, senza mai dimenticare l’entità della tragedia narrata. Lunghi applausi in sala, scatenati, ma non solo, dalla dedica finale a Mattia Torre, collega che in una lotta simile non ce l’ha fatta. Eventi speciali. Voto: 8

Mi chiamo Francesco Totti (Alex Infascelli). Vita, morte e miracoli, almeno calcisticamente parlando, di Francesco Totti, uno dei pochi giocatori che ha indossato la maglia di un solo club per l’intera sua casrriera, quella della Roma. Tutto gira intorno e mira al 28 maggio 2017, giorno in cui gioco la sua ultima partita in campo, contro il Genoa. Mentre sullo schermo scorrono le immagioni del calciatore fina da bambino, tutte vere a parte qualche minimo inserto di docufiction, Francesco Totti commenta anche in maniera meta-cinematografica, chiedendo a volte di riavvolgere il nastro per sottolineare alcuni particolari momenti. Il film di Alex Infascelli, destinato a conquistare anche i tifosi di altre squadre come anche persone totalmente disinteressate al calcio – chi scrive, ad esempio, brucerebbe tranquillamente tutti gli stadi – ricerca sovente l’agiografia senza però riuscire nell’intento, regalandoci il ritratto sincero di quello che, prima di qualsiasi cosa, è un uomo, con i suoi pregi e i suoi difetti, questi ultimi mai nascosti. Eventi speciali. Voto: 8

Druk/Another round (Thomas Vinterberg). Quattro professori di liceo, amici da una vita, ormai stanchi dei propri ruoli, decidono di verificare una teoria, tirata in ballo da uno di loro, secondo la quale l’uomo avrebbe un deficit di tasso alcolemico dello 0,05% che basterebbe colmare bevendo alcolici in maniera costante dalle 8 alle 20. Se dapprima ricevono un beneficio anche nella loro carriera, presto si lasceranno prendere la mano perdendo il controllo dell’intera situazione. Benché il movimento Dogma sia finito da un pezzo, in quel di Danimarca non sono però finiti gli esperimenti. Così girando un film a tesi con l’eccezionale Mads Mikkelsen, il Viggo Mortensen scandinavo, Vinterberg colpisce nel segno realizzando una divertente commedia nerastra che finirà per sfociare inevitabilmente in tragedia. Senza smarrire l’ironia, la pellicola mette in discussione l’intera società danese, denunciandone le contraddizioni: a scuola non si può bere, ma appena fuori i riti goliardici sono a base di alcol al 100%. Un film per tutti, non solo per alcolisti anonimi. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½.

El olvido que seremos (Fernando Trueba). Saga famigliare dagli anni settanta agli anni ottanta tratta dal romanzo dello scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince che racconta la storia della sua famiglia e in particolare quella di suo padre, Héctor Abad Gómez, personaggio storico della Colombia, medico e benefattore, assassinato dagli squadroni della morte nel 1987. Partendo da un presente in bianco e nero, al quale poi tornerà nella parte finale, Fernando Trueba racconta invece il passato a colori, girando quello che per Alfonso Cuarón è stato il suo Roma. Se della bravura di José Cámara, nel ruolo del protagonista, non si scriverà mai a sufficienza, non possiamo negare come la pellicola del regista de La Niña dei tuoi sogni sia un omaggio profondo ad un paese troppo a lungo martoriato e ricordato troppo spesso soltanto per il traffico di droga, ma che qualcuno, pur senza riuscirci, provò a cambiare dall’interno, anche a prezzo della propria vita. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

Fortuna (Nicolangelo Gelormini). Nel Parco Verde di Caivano, a Napoli, il 24 giugno del 2014, la piccola Fortuna Loffredo precipita dall’ottavo piano del suo stabile dopo aver subito violenze sessuali. Il film di Gelormino, esordiente nel lungometraggio ne ricostruisce la vicenda, come si dice in alta culcina, “in maniera scomposta”. Favola sospesa trai toni horror, narrata in pratica in due versioni – la realtà e una sua possibile alternativa migliore – la pellicola stupisce per essere un elemento anomalo nel panorama italiano, per il coraggio e per la scrittura e la regia che raccontano una vicenda in apparenza poco comprensibile, ma disseminando gli indizi per la sua risoluzione, risoluzione che sarà possibile solo quando saremo riusciti a possederli tutti. Sconvolgent. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

Herself-La vita che verrà (Phyllida Lloyd). Una giovane donna, Sandra (Claire Dunne), con due figlie, si trova a fuggire dal marito che l’ha picchiata senza pietà. In giro tra un albergo e un altro, avrebbe bisogno di una casa, che dai servizi sociali tarda ad arrivare. Finché non incappa in un bizzarro progetto su internet, quello di una autocostruzione al prezzo irrisorio di 35.000 sterline. Avrà però bisogno di grande aiuto, ma la solidarietà non tarderà ad arrivare…
Commovent e sempre ironico, il film della regista di Mamma mia! si rivela una commedia sincera, co-sceneggiata dalla stessa protagonista Claire Dunne, una storia di rinascita tutta al femminile, un inno non violento, una grande commedia che nasce da una grande tragedia. Da non perdere. In coproduzione con Alice nella città. Voto: 7 e ½

Le discours (Laurent Tirard). Dal regista de Il piccolo Nicolas e i suoi genitori e relativo seguito, un film, di breve durata e tratto dal romanzo del fumettista Fabcaro, da godersi tutto d’un fiato. Un giovane uomo (un effervescente Benjamin Lavernhe), poco dopo essere stato lasciato dalla sua fidanzata, riceve l’incarico da suo cognato di pronunciare un discorso al matrimonio della sorella. A partire dai titoli di testa, declamati dal protagonista, in un gioco metacinematografico senza soluzione di continuità – i suoi interlocutori siamo noi spettatori – una serie di trovate narrative e visive tengono alto il ritmo di quello che, pur essendo poco più di un divertissement, ci fa riflettere sulle nevrosi e le convenzioni della nostra società. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

Listen (Ana Rocha De Sousa). Bela e Jota sono due immigrati portoghesi in Inghilterra con tre figli, di cui una affetta da sordità. Se la passano male e, non riuscendo neanche ad acquistare un nuovo apparecchio acustico per la figlia, chiedono aiuto ai servizi sociali. In cambio, poiché proprio la stessa bimbi ha dei lividi sospetti sul corpo, si vedono portare via l’intera prole. Si impegneranno in una battaglia dalle prospettive incerte per riavere i propri bambini.
Duro attacco ai servizi sociali britannici da parte di una regista portoghese che smonta tutte le assurdità di un sistema troppo rigido e autreferenziale, alludendo blandamente alla possibilità di un sistema malato e viziato. Alla fine nessuno vuole adottare la bambina sorda, ma i suoi genitori la desiderano eccome, mentre il più grande riesce a fuggire, a contattare i genitori e a nascondersi ai servizi che ufficialmente se lo sono perso. Non riusciranno a recuperare la più piccola per il momento, ma avranno vinto 2 a 1. Film scritto in maniera superlativa e altrettanto ben diretto e interpretato. Alice nella Città/Sintonie. Voto: 7 e ½

Marino y Esmeralda (Luis Garza). Marino (lo stesso regista), uno studente di cinema diciottenne, incontra Esmeralda (Stephanie Rose), ventenne studentessa e pittrice. Se pure tra i due non nascerà un amore, egli scoprirà cosa sia veramente per lui la ragazza: la sua musa. Il film è realizzato à la maniere de la Nouvelle Vague con uso di numerosissime fotografie e filmati “antichizzati”, un po’ come La jetée di Chris Marker,  e commentato dalla costante voce del regista/protagonista. Dolente, con un retrogusto amaro ed estremamente poetica, la pellicola va oltre il mero esercizio di stile, incuriosendo lo spettatore e trascinandolo nelle divagazioni malinconiche. Un film per l’arte, sull’arte e con l’arte, non solo cinematogragica. Da riscoprire. Riflessi. Voto: 7 e ½

Small axe – Mangrove (Steve McQueen). Primo episodio di una serie antologica di cinque, girata per Amazon Studios dal regista di Hunger, che racconta avvenimenti reali della comunità afro a Londra tra gli anni sessanta e gli ottanta. Questo Mangrove è la storia dell’omonimo locale e della “lista dei nove”, processati ingiustamente per una manifestazione contro una polizia violenta e corrotta. Il film è un robusto legal thriller in cui alcuni dei neri accusati decideranno di difendersi da soli in tribunale, dando prova di grande coraggio e riuscendo alla fine a cavarsela e ad imporre, anche se non immediatamente, la propria giustizia. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

The reason I jump (Jerry Rothwell). Basandosi sul libro autobiografico di Naoki Higashida, che ha squarciato un velo di silenzio sulla reale condizione delle persone autistiche, il documentario di Jerry Rothwell, nel 2006 coautore con Louise Osmond del magistrale Deep water, racconta in giro per il mondo le esperienze di altri ragazzi e ragazze che, comunicando attraverso una “tastiera di cartone”, sono riusciti a disvelare al prossimo il proprio mondo fin lì nascosto. The reason I jump, il motivo per cui salto, è il racconto illustrato, con immagini vere in movimento di quella che è stata una pietra miliare per la scoperta dell’universo autistico. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

True mothers (Naomi Kawase). Una giovane coppia e un bellissimo bambino. Scopriamo però che i due hanno adottato il proprio figlio a causa di un problema di lui. Lo hanno fatto grazie ad una associazione, Baby Baton, che offre assistenza alle madri che non possono tenere la sua prole e aiuta i genitori ad accoglierla come propria. Un giorno però l’incanto si spezza quando vengono contattati da una ragazza che afferma di essere la madre del loro bambino e di volerlo indietro o almeno di volere del denaro…
L’intenso e lungo dramma nipponico coinvolge emotivamente svolgendo prima tutta la narrazione della storia dei genitori e poi, una volta approdati all’adozione, quella dell’adolescente, spiegando come fosse arrivata a restare incinta e poi come fosse scappata di casa fino a ridursi a compiere quel brutto gesto. Attori perfetti e la semplicità del racconto aiutano lo spettatore a calarsi empaticamente nei personaggi mostrati e ad emozionarsi con loro fino all’inevitabile, ma perfetto happy ending: due mamme non sono poi troppe. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½

Ammonite (Francis Lee). Negli anni intorno al 1840 in Inghilterra, la paleontologa realmente esistita Mary Anning (Kate Winslet) riceve in affidamento la giovane Charlotte Murchison (Saoirse Ronan), mandata in convalescenza lungo le coste marine da lei frequentate per il suo lavoro. Tra le due donne nascerà una relazione assai intensa, che il mondo non è ancora in grado di capire, ma che sconvolgerà le loro vite. La pellicola, in odore di Oscar, almeno per le due attrici protagoniste e per la tematica ormai politically-correct, si apre e si chiude in maniera circolare, sempre sul celebre teschio di ittiosauro ritrovato dalla scienziata. Le “Ammoniti” del titolo sono mollusci cefalopodi estinti, fossili incastrati nella roccia, così come le due protagoniste sono ingabbiate nei propri ruoli nella società e nella loro, segreta diversità. Selezione ufficiale. Voto: 7

Eté 85 (François Ozon). Ispirandosi al romanzo “Dance on my grave” di Aidan Chambers, il regista francese, con una fotografia mozzafiato di Hichame Alaouie, racconta gli amori pansessuali dell’appena diciottenne David (Benjamin Voisin), del più giovane Alexis (Félix Lefebvre) e dell’inglesina Kate (Philippine Velge). Una storia di amore e morte ambientata appunto nell’estate del 1985 in cui Ozon, che qui riecheggia molto con i suoi personaggi il collega Xavier Dolan, gioca con lo spettatore mischiando e truccando più volte le carte, concedendosi perfino una citazione de Il tempo delle mele. Mega applauso a Valeria Bruni-Tedeschi, madre distratta, che qui, forse grazie proprio alla lingua francese, regala un’interpretazione memorabile, una delle sue migliori. Selezione ufficiale. Voto: 7

Felicità (Bruno Merle). La piccola Tommy (la stupefacente e vera figlia del regista, Rita) vive in una famiglia alquanto inusuale, che cerca di vivere alla giornata, anche perché il padre è fuggito di prigione e potrebbe farvi ritorno in qualsisasi momento. Si può in una siffatta famiglia trovare la “Felicità” del titolo e dell’omonima canzone di Albano e Romina che, almeno una volta si sente nella pellicola? La risposta è sì, perché il film e i suoi protagonisti, cercando in ogni fotogramma di ridefinire il concetto di normalità, dimostrano come essa sia nelle piccole cose e anche in scelte fuori dagli schemi. Un film brioso e sincero, dove il dramma è in costante agguato, ma viene sempre stemperato e allontanato da una risata liberatoria. Alice nella Città/Concorso. Voto: 7

Fuori era primavera: Viaggio nell’Italia del lockdown (Gabriele Salvatores). Dal 10 marzo al 4 maggio 2020 l’Italia è stata ingabbiata in un lockdown nazionale che ha visto la chiusura di numerosissime attività commerciali e non e il blocco degli spostamenti all’interno del paese al fine di contenere l’epidemia da Covid-19. All’alba di quello che rischia di essere un nuovo blocco della nostra nazione, dati i numeri dei contagi in rapida risalita, il documentario di Gabriele Salvatores, che fa il pari con Italy in a day del 2014, è un’opera imperdibile e di grande attualità. Riassumendo in poco più di un’ora l’enorme quantità di materiale filmato inviatogli dai nostri connazionali, il regista milanese riesce a dare una fotografia molto lucida e realista del nostro paese. Per rifletere. Eventi speciali. Voto: 7

Gagarine (Fanny Liatard e Jérémy Trouilh). Yuri (Alseni Bathily) cerca di salvare dall’abbattimento il suo ormai fatiscente quartiere popolare, fatto di palazzoni e intitolato appunto al celebre astronauta sovietico, con cui condivide il nome. Tra sogno e realtà, con un costante parallelismo alle imprese spaziali, i due registi raccontano le vicende di questo ragazzo che ha trovato nell’enorme edificio dal destino segnato la sua ragione di vita. Molto bella la messa in scena, sospesa in una dimensione spesso onirica cui contribuisce i commento musicale ipnotico di Evgueni e Sacha Galperine. Curioso. Alice nella Città/Concorso. Voto: 7

Home (Franka Potente). Esordio nel lungometraggio dell’attrice tedesca, il film racconta la storia di un uomo appena uscito di prigione dopo diciassette anni che si deve confrontare con i demoni del suo passato, a partire dal motivo che l’ha condotto in galera e che lo rende inviso alla sua piccola cittadina. Cercando inizialmente di rinconciliarsi con la madre Bernadette (una sempre straordinaria Kathy Bates), malata terminale, troverà l’amicizia della giovane Delta, senza sapere che è la nipote della donna che aveva ucciso…
Semplice, schietto e senza fronzoli, il film è un quasi western contemporaneo, sostenuto da robuste interpretazioni, che si interroga su quali siano i fini e i limiti della giustizia terrena. Selezione ufficiale. Voto: 7

I carry you with me (Heidi Ewing). Un giovane aspirante chef messicano, Iván, ad inizio anni novanta decide di emigrare clandestinamente alla volta degli Stati Uniti lasciando in patria il proprio compagno Gerardo che, dopo alcuni vani tentativi legali, si convincerà a seguirlo infrangendo anche lui la legge. Anche se all’inizio sarà dura, la coppia arriverà ad affermarsi e ad essere imprenditrice di se stessa. Ma i rimorsi cominceranno ad affiorare – Iván ha lasciato in patria un figlio, nato da una precedente relazione – e sarà impossibile rinunciare ai richiami del proprio sangue, a qualsiasi costo…
La documentarista Heidi Ewing, nota per Jesus camp in co-regia con Rachel Grady nel 2006, filma una docu-fiction che alterna la parte di fiction riguardante il passato ai veri protagonisti al giorno d’oggi. Un’opera potente sull’ambizione, l’amore (“coniugale” e filiale), le occasioni colte e perdute e i rimpianti. La scene “dal vero” e quelle “di finzione” si rafforzano l’un l’altra – cosa rarissima! – e, appena si capisce il gioco, vanno dritte dritte a colpire il cuore dello spettatore. Selezione ufficiale. Voto: 7

Palm Springs (Max Barbakow). Nyles (il comico americano Andy Samberg) ormai da tempo imprecisato rivive in continuazione il matrimonio degli amici Abe e Tala dopo essere entrato in una misteriosa caverna nelle vicinanze, tanto da presentarsi ormai in tenuta più che sportiva. Una sera, mentre sta abbordandola, nella grotta ci finisce anche Sarah, sorella della sposa. Da quel momento i due si trovano a trascorrere insieme la stessa esperienza, scoprendo anche di non essere soli e cercando un modo per uscirne. Versione attuale e “in acido” di Ricomincio da capo di Harold Ramis e, diciamolo, anche molto più divertente, il film, concepito per la piattaforma Hulu, offre un’ora e mezza di sano e intelligente divertimento all’insegna dell’anticonformismo e di sonore risate di pancia. Tutti ne parlano. Voto: 7

Romulus, ep. I e II (Matteo Rovere). Dopo Il primo re, Matteo Rovere narra le vicende di Yemos e Enitos, raccontando a suo modo la genesi della leggenda di Romolo e Remo. Si tratta di una serie televisiva prodotta da Sky, da lui sceneggiata insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano e di cui dirige questi primi due episodi, affidando gli altri otto a Michele Alhaique e Enrico Maria Artale. Alto budget ed anche alcuni attori di pregio, tra cui Yorgo Voyagis e Marianna Fontana, per un prodotto televisivo che si preannuncia nei suoi episodi iniziali avvincente ed emozionante. Girata in protolatino e sottotitolata, racconta una storia nota ai più, ma di cui non tutti conoscono i dettagli. Eventi speciali. Voto: 7

Small axe – Red, white and blue (Steve McQueen). Ultimo episodio di una serie antologica di cinque, girata per Amazon Studios dal regista di Hunger, che racconta avvenimenti reali della comunità afro a Londra tra gli anni sessanta e gli ottanta. Narra la vera storia di Leroy Logan (John Boyega), giovane di colore che in gioventù vide il porprio padre picchiato ingiustamente da poliziotti bianchi e che volle arruolarsi nella polizia metropolitana proprio per cambiare il sistema dall’interno. Incontrerà difficoltà enormi e la collaborazione solo di pochi colleghi di origine straniera come lui. Prevedibile fin dall’inizio, ma non per questo meno interessante, il film è molto politico e cerca di entrare nell’ossessione di Logan, analizzandole in tutte le sue sfaccettature così come solo McQueen sa fare. Selezione ufficiale. Voto: 7

Supernova (Harry Macqueen). Sam (Colin Firth) e Tusker (Stanley Tucci) sono una coppia omosessuale di mezz’età che sta viaggiando lungo l’Inghilterra a bordo di un loro vecchio camper facendo visita ad amici e parenti e puntando, come ultima tappa, ad un concerto di Sam, noto pianista. Due anni prima a Tusker è stata diagnosticata una forma di demenza e, visto che sta perdendo il controllo di se stesso, vorrebbe farla finita, mentre il compagno vorrebbe stargli accanto fino all’ultimo, anche nei momenti peggiori della malattia. Duetto magistrale di attori per un solido film inglese dove ogni cosa è al suo posto e la regia gioca con abili accostamenti mettendosi al servizio dei due mattatori. “Il cervello è più grande del cielo”, affermava il celebre neurochirurgo Giulo Maira nel libro da lui scritto e il paragone tra stelle e neuroni è sempre in agguato, così come la metafora della supernova, esplosione siderale breve, ma intensa. Quando il dolore viene mostrato senza pudori e senza retorica. Selezione ufficiale. Voto: 7

The jump (Giedrė Žickytė). È il giorno del ringraziamento del 1970, la guardia costiera americana incontra di proposito una nave sovietica al largo del Martha’s Vineyard. Proprio in quella giornata è fissata una conferenza tra le due potenze per i diritti di pesca nell’Oceano Atlantico. Durante i colloqui, il marinaio lituano Simas Kudirka a sorpresa salta sull’imbarcazione statunitense in cerca di asilo politico. Verrà subito riaffidato alle autorità del suo paese che lo condanneranno ad anni di galera. Però lo strano e scorretto comportamento degli americani scatenerà polemiche a livello internazionale che presto porteranno alla liberazione di Kudirka poiché in mezzo ad una complicata serie di eventi – che non vi anticipiamo – egli risulterà essere cittadino americano. Quello che oggi è uno splendido novantenne, riportato sui luoghi degli accadimenti, ci racconta la sua odissea con l’aiuto anche di filmati d’epoca. Su di lui nel 1978 venne girato da David Lowell Rich un TV movie The defection of Simas Kudirka con Alan Arkin come protagonista. Ritmato, intrigante e coinvolgente, il documentario si lascia vedere nella sua quasi ora e mezza di durata. Un episodio della nostra storia recente sconosciuto ai più e che merita di essere scoperto e approfondito. Selezione ufficiale. Voto: 7

Tigers (Ronnie Sandahl). Il giovanissimo calciatore svedese Martin Bengtsson (Erik Enke) viene convocato dall’Inter per un contratto. Determinato ed estremamente metodico, il ragazzo dovrà vedersela con la lontananza da casa, le invidie dei compagni e un principio di instabilità mentale personale che comprometterà pesantemente il proprio successo. Basato sull’autoiografia dello stesso giocatore, ormai scrittore di successo in patria, e scritto e diretto dallo sceneggiatore di Borg/McEnroe, il film apre uno squarcio sul mondo del calcio ed in particolare su quello delle squadre giovanili in cui l’unico reale interesse sembra essere il denaro. E su quello della malattia mentale che, in ambito sportivo, non viene considerato affatto come un requisito essenziae della salute di un calciatore, qualunque sia la sua età. In coproduzione con Alice nella Città. Voto: 7

Demain est à nous (Gilles De Maistre). Dopo Mia e il leone bianco, il regista francese torna alla Festa del Cinema di Roma con questo documentario molto in linea coi tempi. Seguendo le orme di José, un bambino peruviano che ha creato un sistema bancario esclusivamente dedicato ai suoi coetanei, il film ci conduce per mano a conoscere altri giovanissimi che si sono presi a cuore il futuro del nostro pianeta, partendo dal rispetto dei diritti, soprattutto dei minori, che non sono rispettati ugualmente in tutte le parti del mondo. Didattica ed anche un po’ didascalica, la pellicola vale innanzitutto per i buoni propositi, un po’ meno per i risultati, restando poco più di un buon servizio di una trasmissione televisiva d’attualità. Alice nella città. Voto: 6 e ½

Hasta el cielo (Daniel Calparsorso). Uno dei protagonisti de La casa di carta, Miguel Herran, interprete del ruolo di Rio, è protagonista di questo action thriller spagnolo diretto da un regista già autore di pellicole simili. Il giovane Ángel si lascia irretire dal balordo Poli per partecipare ad una serie di rapine. Ma quando deciderà di mettersi in proprio, la sua escalation al crimine sarà inarrestabile, fino a sposare la figlia del boss Rogelio (Luis Tosar), pur esssendo innamorato di un’altra. Finirà presto per perdere il controllo… Teso e ben diretto, soprattutto nelle scene d’azione, Hasta el cielo, scritto da Jorge Guerricahechevarría, sceneggiatore di fiducia di Alex De La Iglesia, finisce però per dilungarsi troppo, mettere eccessiva carne al fuoco e perdersi per strada, annacquando anche quei pochi abbozzi di critica sociale. Riflessi. Voto: 6 e ½

Ironbark/The courier/L’ombra delle spie (Dominic Cooke). Agli inizi degli anni sessanta, l’uomo d’affari internazionali Greville Wynne (Benedict Cumberbatch) viene convinto dai servizi segreti britannici e statunitensi a prestarsi come corriere per le preziose informazioni che una talpa ha intenzione di inviare dall’Unione Sovietica. Al verificarsi della crisi dei missili a Cuba, il suo ruolo sarà determinante per la risoluzione dell’incidente diplomatico. Non tutto però andrà come previsto…
Molto “british” e piuttosto serrato nel ritmo, il film racconta una vicenda realmanete accaduta. Purtroppo non rifugge da schemi tipici degli spy-movies, ossia personaggi stereotipati e monodimensionali, come gli agenti, siano essi del KGB o “alleati”. L’istrionismo di Cumberbatch salva la pellicola soprattutto nella parte finale, quando la storia inizia ad andare per le lunghe e a girare un po’ troppo su se stessa. Selezione ufficiale. Voto: 6 e ½

Sul più bello (Alice Filippi). Marta (Ludovica Francesconi) è una ragazza bruttina e non troppo fortunata: orfana di entrambi i genitori fin dalla più tenera età a seguito di un incidente, è affetta da Mucoviscidosi o Fibrosi cistica che dir si voglia, anche in una fase molto avanzata. Un giorno si invaghisce del facoltoso Arturo (Giuseppe Maggio, il bel fiore di Baby), senza neanche conoscerlo. Da lì inizia a stalkerarlo finché il ragazzo, per togliersela di torno, la inviterà ad una agghiacciante cena di famiglia. Ma da quel momento inizierà anche ad apprezzarla, ignorando però il segreto che si porta dietro… Esordio sul grande schermo di una regista che vanta numerose collaborazioni su set internazionali, la pellicola, oltre ad essere una mezza versione tricolore di Colpa delle stelle, è una favola coloratissima e molto glamour. È proprio nella dimensione favolistica che il film, perfettino, politically-correct e fin troppo scritto a tavolino per piacere al maggior numero di persone – le adolescenti impazziranno! – riesce a trovare la sua ragione d’essere. Alice nella città/Eventi speciali. Voto: 6 e ½

The shift (Alessandro Tonda). Un ragazzo, inneggiando ad Allah, si fa esplodere in una scuola di Bruxelles dopo aver sparato a numerosi suoi compagni. Tra gl altri giunge sul posto un ambulanza, con un autista (Adamo Dionisi) e un paramedico donna (Clotilde Hesme) a fine turno, che prende a bordo il giovane Eden, miracolosamente scampato alla strage. Ma, mentre lo spogliano per soccorrerlo, i due si rendono conto che anche lui faceva parte dell’attentato, poiché ha addosso una bomba. In balìa del ragazzo, i due sanitari dovranno rapidamente decidere sul da farsi…
Brillantemente innescato, il plot del film cerca in tutti i modi di mantenere alta la tensione e l’attenzione dello spettatore, giocando pulito pulito, senza barare. Il risultato è un thriller teso che si segue tutto d’un fiato sino alla fine. Selezione ufficiale. Voto: 6 e ½

Under the Open Sky/Subarashikisekai (Miwa Nishikawa). Un uomo di mezza età, appartenuto in passato alla Yakuza, pur essendosi sempre professato un “lupo solitario”, esce di prigione dopo tredici anni, stanco e malato. Reinserirsi nella società è molto difficile e l’unica sua speranza sembra essere una troupe televisiva che si interessa alla sua storia e al suo desiderio di ritrovare la madre che lo abbandonò quando era bambino.
Sorta di western metropolitano in cui l’eroe (nero) triste e solitario ritorna nella città che lo ha dimenticato in cerca di un proprio passato, ma anche di un futuro, il film, diretto della regista di The long excuse/Nagai iiwake, cerca di trovare continuamente la sua strada, riuscendoci spesso. Una storia di (mancata) redenzione, ottimamente sostenuta dal suo protagonista Kôji Yakusho nel ruolo di Mikami.  Selezione ufficiale. Voto: 6 e ½

Maledetta primavera (Elisa Amoruso). Nina (Emma Fasano) è un’adolescente con una famiglia un po’ in crisi. Si sono dovuti trasferire tutti dalla nonna materna un più in periferia perché la banca ha portato loro via la casa per mancato pagamento del mutuo. Nella nuova scuola conosce la bella e ribelle Sirley (la bellissima Manon Bresch) con la quale, dopo iniziali dissapori, diventerà amica. E forse anche qualcosa di più…
Il primo film di finzione di Elisa Amoruso racconta una storia molto personale, quella della sua famiglia alquanto anomala e quella di un rito di passaggi obbligato: la fine dell’adolescenza. La pellicola, più che sincera nelle intenzioni, ha il problema di funzionare ad intermittenza, così come intermittente è il rapporto tra le due ragazze. Qualche simbolismo e citazionismo di troppo, come la processione della Madonna, non aiuta alla coesione dell’opera. Risultato: non bello, ma neanche brutto. Riflessi. Voto: 6

Palazzo di giustizia (Chiara Bellosi). Come in una versione seria di Accadde al commissariato, passano sullo schermo alcuni personaggi all’interno della sede della Corte d’Assise. Salvo poi scoprirsi tutti legati tra di loro e protagonisti della stessa storia. Un benzinaio sospettato di omicidio volontario e sua figlia, l’autore di una rapina il cui socio è stato freddato dall’imputato, una mamma distratta con la propria bambina che risulteranno essere legate al delinquente superstite. La bellissima fotografia di Maurizio Calvesi, impregnata di chiaroscuri pur essendo a colori, è l’unica cosa memorabile di un film che vorrebbe affrontare il tema della difesa personale nel nostro paese, ma rimane freddo nella sua inerzia. Alice nella città. Voto: 6

Penisnula/Train to Busan 2 (Yeon Sang-ho). Quattro anni dopo il potente horror coreano Train to Busan, sia nella realtà che nella finzione, in un mondo invaso da zombi a seguito di un temibile virus, il suo regista ci racconta altre storie di altri eroi che cercano di sopravvivere in un paese ormai allo sbando. In particolare stavolta alcuni mercenari tentano una missione suicida per recuperare un camion pieno di dollari in una zona, la penisola del titolo, strapiena di morti viventi. Grosso passo indietro rispetto al precedente per un film che regala tanta azione ad alto tasso adrenalinico e anch un po’ di divertimento, ma che offre pochi brividi, ma che soprattutto presenta personaggi e situazioni fin troppo stereotipati e già frequentati in storie post-apocalittiche. Un pochino deludente. Tutti ne parlano. Voto: 6

The witches/Le streghe (Robert Zemeckis). Tratto dal libro omonimo di Roald Dahl, già portato sullo schermo con migliori risultati da Nicolas Roeg esattamente trent’anni prima, con effetti speciali più artigianali – firmati Jim Henson – questo nuovo film di Robert Zemeckis delude nonostante alcune peculiarità. La svolta “all black”, l’unhappy ending e gli effetti digitali, più qualche zampata d’autore come la pioggia che cadendo sulla finestra disegna forme via via diverse illustrando il racconto della nonna e le musiche di Alan Silvestri non bastano a riscattare un film banale, un ennesimo baraccone hollywoodiano che poco rispecchia la grande poesia dello scrittore britannico. Quando il troppo stroppia. Alice nella Città. Voto: 6

Ricochet (Rodrigo Fiallega). Messico, un uomo, Martijn (l’attore olandese Martijn Kuiper) che ha perso il figlio in un incidente, inizia a tramare vendetta contro il responsabile appena scopre che questi sta per essere scarcerato. Vuoi per la somiglianza del protagonista con Clint Eastwood, per l’ambientazione messicana e per la trama sospesa tra giustizia e vendetta, per l’uso del formato panoramico e di molti campi lunghi, il film, esordio nel lungometraggio di un esperto di effetti speciali hollywoodiano, si propone come un western contemporaneo. Il problema della pellicola è però quello di soffrire di tempi estremamente dilatati in cui l’azione diventa fin troppo rarefatta, fungendo da estenuante e lunghissima preparazione alla violenta esplosione finale, al momento della quale lo spettatore però sta già russando profondamente. Selezione ufficiale. Voto. 5 e ½

Stardust (Gabriel Range). Nel 1971, per cercare di piazzare l’ultimo album che non sta andando bene, David Bowie (Johnny Flynn) parte per una tournée negli USA. Purtroppo la casa discografica Mercury non crede in lui e ha speso pochissimi soldi per il suo viaggio, così il cantante si trova affidato al poco credibile Ron (Marc Maron). Sarà per lui l’occasione per riflettere sulla propria esistenza e per confrontarsi col tema della malattia mentale – suo fratello Terry entra ed esce dal manicomio. Al ritorno in patria sarà pronto per sfornare il personaggio di “Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”, destinato a sfondare… Pur se l’attore Johnny Flynn ricorda tantissimo il buon David, un film su un suo periodo di nullafacenza risulta davvero di scarso interesse, anche se fu da preludio ad una fase per lui estremamente creativa. Il fatto è proprio che la pellicola non riesce a mettere bene in relazione i due eventi. Un’occasione sprecata. Selezione ufficiale. Voto: 5