Secondo anno per la gestione Farinelli/Malanga che, dopo le corse dello scorso anno, ha avuto più tempo per prepararsi, anche se quest’anno la Festa sembra in tono decisamente minore. Pochi “filmoni” attesi, poca internazionalità, anche se non mancheranno i “best of” da altri festival e i red carpet non resteranno di certo sguarniti. Film senz’altro di qualità, ma sicuramente di scarso appeal. Apre Paola Cortellesi con C’è ancora domani, suo debutto alla regia nel lungometraggio di finzione e non sarà l’unica attrice a debuttare dietro la macchina da presa in questa festa. La manifestazione parallela “Alice nella città” promette anch’essa pellicole di alto livello, anche se non riserva particolari sorprese, eccezion fatta per l’anteprima de Il ragazzo e l’airone di Miyazaki e per qualche pellicola di genere italiana. Staremo a vedere…

Profondo rosso (Dario Argento). A quasi cinquant’anni di distanza rimane quello che è: la cima più elevata del lavoro di Dario Argento, il suo punto di non ritorno in cui il regista romano, all’epoca poco più che trentenne, mescola visionarietà, riferimenti pittorici e cura maniacale del dettaglio ad una trama gialla accattivante e perfettamente equilibrata, nonché credibile. Rubando intelligentemente il protagonista David Hemmings all’Antonioni di Blow-up, lo mette al centro di un enigma che anche qui ha per oggetto qualcosa di visto e non visto. Argento non si fa problemi inoltre a condurre al macello il meglio del teatro italiano, da Glauco Mauri a Giuliana Calandra passando per Gabriele Lavia, riservando un preziosissimo cameo a Clara Calamai, cosa, quest’ultima, che verrà poi copiata e ricopiata negli anni a venire. La villa del bambino urlante, una colonna sonora da brividi, un modo di dire entrato nel linguaggio comune. Che altro?! Capolavoro. Storia del cinema. Voto: 10

Peluri – Kuolema on elävien ongelma/Death is a problem for the living (Teemu Nikki). Mettete insieme un’impresario delle pompe funebri non proprio cristallino e dedito al gioco d’azzardo, un quarantenne in apparente buona salute che per caso scopre di avere solo un residuo di materia celebrale e una roulette russa clandestina. Il risultato è il nuovo film del regista de Il cieco che non voleva vedere Titanic: un concentrato di umorismo nerissimo e di follia narrativa scatenata. Un’opera imprevedibile che potrebbe prendere mille strade di racconto e scieglie le più strambe e divertenti. Una pellicola nella quale si piange e si ride allo stesso tempo, con numerose battute ciniche e fulminanti. Un’autentica sorpresa dalla Finlandia. Irriverente. Concorso Progressive cinema. Voto: 8 e ½

Anatomie d’une chute/Anatomia di una caduta (Justin Triet). Un uomo viene trovato morto dal figlio undicenne ipovedente. Si è tolto la vita lanciandosi nel vuoto o è stata la moglie scrittrice nell’ennesimo litigio tra i due? Assistiamo per due ore e mezza al processo nel quale l’unico testimone è proprio il ragazzino e la madre la principale indiziata. Justine Triet affronta il crollo di una coppia attraverso i meccanismi giudiziari umani, quasi come metafora. Le indagini e il processo servono a sviscerare la crisi all’interno della famiglia ed a metterla davanti al figlio. La verità non è assoluta, ma solo un approdo in mancanza di prove certe. Via via lungo il dibattimento processuale compaiono prove in un senso o nell’altro. Il film nella sua semplicità e schiettezza avvince, grazie alla recitazione degli attori, primo fra tutti il piccolo Milo Machado Graner. Analitico. Best of 2023. Voto: 8

Comme un fils (Nicolas Boukhrief). Jacques (Vincent Lindon), un insegnante che si è preso una pausa dopo un episodio di violenza nella sua scuola, durante una rapina in un supermercato blocca e fa arrestare il piccolo Victor (Stefan Virgil Stoica), mezzo rom e mezzo rumeno. Ma, ritrovandoselo in casa dopo poco tempo, decide di aiutarlo insegnandogli a leggere e scrivere. In cambio gli darà i soldi che lo zio gli chiede ogni sera, pena le botte. Non sarà facile per nessuno… Film di analisi e critica sociale profondissime e raffinatissime che affronta i problemi sotto più punti di vista, non risultando mai banale. Come il suo protagonista Jacques, vola sempre basso e non cerca mai lo scontro. Anti-indulgente. Concorso Progressive cinema. Voto: 8

Dream scenario (Kristoffer Borgli). Paul Matthews (Nicolas Cage), frustrato, ma mite professore universitario, vede la sua ordinaria vita scongolgersi quando milioni di persone iniziano a sognarlo. Le sue apparizioni sono molto remissive, al confine con l’ignavia, ma, dopo che l’assistente di un’agenzia che sta cercando di fruttarne la popolarità, gli rivela di fare dei sogni erotici con lui e tenta un fallimentare approccio, le apparizioni nei sogni altrui iniziano a farsi aggressive, trasformandosi in veri e propri incubi. Sarà l’inizio di un incubo anche per Paul e la sua famiglia… Film divertentissimo ed estremamente ironico che si giova di un ottimo protagonista condotto in situazioni estreme e diabolicamente kafkiane. Un’autentica sorpresa! Grand public. Voto: 8

Past lives (Celine Song). Un uomo e una donna orientali parlano al bancone di un bar, mentre accanto a loro un occidentale li osserva. Due voci fuori campo ipotizzano chi possano essere i tre e quali legami li uniscano. Questo è l’inizio dello struggente film di Celine Song. Nora e Hung Hae Sung a dodici anni si vogliono bene, ma si separano perché lei parte dalla Corea verso gli stati uniti con la famiglia. A ventiquattro anni si mettono in contatto tramite Skype, ma la lontananza rovina tutto. A trentasei finalmente si incontrano, a New York. Ma la vita per entrambi è andata avanti… Rimpianti, sliding doors teoriche e desideri non coincidenti ci accompagnano in questa pellicola mai sdolcinata, ma solo dolceamara come la vita, in cui non si sa davvero per chi “fare il tifo” e dagli interpreti straordinari. Ritornante. Best of 2023. Voto: 8

Posso entrare? An ode to Naples (Trudie Styler). Un ritratto inedito di Napoli, sorprendentemente in punta di piedi – come suggerisce il titolo Posso entrare? – lontano dal folklore e anche a suo modo dalla malavita, affrontata solo tangenzialmente. Introdotto da Clementino che col suo brano “Neapolis” già fa un rapidissimo excursus storico sulla città, il film ci fa conoscere don Antonio Loffredo, un sacerdote che affronta i numerosi problemi da punti di vista inusuali, per poi arrivare a Francesco Di Leva che, uscito dalle periferie, cerca di far uscire ancora altri ragazzi. Insomma, numerosissime testimonianze per una Napoli che può e sa essere diversa. E pure se, tra gli altri, c’è “il solito” Saviano, è intervistato in relazione a che cosa ne pensi di lui la gente delle periferie, nel bene o nel male. Insolito. Freestyle. Voto: 8

C’è ancora domani (Paola Cortellesi). Delia (Paola Cortellesi), un’umile popolana, vive nella Roma del 1946 col rude marito Ivano (Valerio Mastandrea), i tre figli e il burbero suocero Ottorino (Giorgio Colangeli). Disprezzata dal consorte, si arrabbatta ogni giorno per portare qualche lira in più a casa. A confortarla non bastano il rimpianto di un vecchio amore o l’apparente interesse di un soldato americano di colore o ancora le chiacchiere con l’amica Marisa (Emanuela Fanelli). Ma un giorno Delia riceve una misteriosa lettera che riaccende le sue speranze… Sorprendente esordio alla regia di un’attrice onnipresente nel nostro cinema, in commedie disimpegnate o latrici un impegno sociale poco credibile o di facciata e sovente dipendente dalla direzione del suo compagno Riccardo Milani, la quale qui fa davvero un notevole passo in avanti nella propria carriera. La pellicola, ben scritta, meglio interpretata e ancor meglio girata – in biancoenero ed in un iniziale formato 4:3 che già nei titoli di testa si allarga per dare più respiro alla storia – fa un notevole uso di brani musicali, a volte anacronistici come “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla e “A bocca chiusa” di Daniele Silvestri, ma anche di motivi d’epoca, quali “Nessuno”, “Perdoniamoci” e “Aprite le finestre”. Un film politico, femminista, ma ancor prima civile, come i doveri di ogni italiano che si rispetti, ognuno uguale all’altro, indipendentemente dal ceto sociale. Sincero. Concorso Progressive Cinema/Film d’apertura. Voto: 7 e ½

En dag kommer allt det här bli ditt/One day all this will be yours (Andreas Öhman). La disegnatrice e scrittrice di successo Lisa è convocata insieme al fratello e alla sorella dagli anziani genitori presso la fattoria di famiglia. Pur ancora in discreta salute, i due vogliono che decidano chi di loro tre si prenderà totalmente carico della foresta, passata fin lì di generazione in generazione… Divertente e commosso ritratto di una famiglia che ancora non ha elaborato una perdita che apparirà evidente lungo lo sviluppo del racconto, ma che è ancora in tempo per farlo. Tra approfondimento psicologico e musical (forse superfluo) – a Lisa, da brava fumettista, gli oggetti in determinate occasioni parlano, anzi… cantano! – la pellicola diverte e coinvolge. Dolente. Concorso Progressive cinema. Voto: 7 e ½

La guerra del Tiburtino III (Luna Gualano). C’è del marcio al Tiburtino terzo, popoloso quartiere popolare della capitale. C’è del marcio soprattutto nella testa di molti abitanti nei quali stanno entrando dei vermoni fosforescenti venuti dallo spazio. Iniziano così a tirare su delle barricate proibendo agli estranei di entrare. Riusciranno alcuni dei giovani abitanti, insieme ad una youtuber di Roma Nord infiltratasi in cerca di facili like, a salvare il quartiere, l’Italia e il mondo intero?!… Grande riscatto della regista Luna Gualano dopo il dimenticabile esordio, benché osannato in diversi festival tematici, Go home-A casa loro, grazie anche alla produzione dei Manetti Bros. Il film, una sorta di “Invasione degli ultracorpi de noantri”, è un gioiellino di umorismo, disgusto e soprattutto critica sociale, con la metafora dei “grandi” che vogliono “chiudere”, perché in tutti i sensi “alienati” e i “piccoli” che invece danno una speranza al mondo e lo salvano opponendosi a tutto ciò. La fantascienza non è mai stata così divertente! Una domanda: dopo zombi ed extraterrestri, Luna per il futuro ci stupirà con vampiri e lupi mannari?! Alienato. Alice nella città – Panorama Italia. Voto: 7 e ½

Hypnosen/The Hypnosis (Ernst De Geer). Vera (Asta Kamma August), in procinto di presentare una start-up insieme al compagno André (Herbert Nordrum) di fronte ad una platea di potenziali investitori all’interno di una rassegna, si sottopone ad una seduta di ipnosi per smettere di fumare. Ma il trattamento risveglia inaspettatamente in lei un istinto animalesco che mal si concilierà con i falsi buoni costumi del gruppo. Sarà però anche l’occasione per rimettere diversi puntini sulle i… Grottesco e surreale, il debutto di Ernst De Geer, co-prodotto tra Norvegia e Svezia, gioca molto su e con i canoni del perbenismo e delle regole sociali, finendo per risultare divertentissimo dall’inizio alla fine. Con una Vera più vera che mai! Cristallino. Concorso Progressive cinema. Voto: 7 e ½

Jules (Marc Turtletaub). L’anziano Milton vive una vita tranquilla e monotona in una cittadina della Pennsylvania occidentale. Tutto cambia quando un disco volante e il suo occupante extraterrestre si schiantano nel suo giardino. Dopo vari tentativi di avvisare le autorità, caduti nel vuoto, l’uomo si prende cura dell’incidentato. La faccenda si complica quando Sandy e Joyce, sue amiche, si uniscono a lui nel far compagnia allo sventurato alieno… Il quasi ottantenne Marc Turtletaub, con alle spalle una carriera di produttore, dirige il pressoché coetaneo Ben Kingsley in una deliziosa, divertente e commovente commedia sulla terza età… con alieno incluso. A metà tra E.T. Cocoon, il film ha il pregio di mantenere sempre i toni delicati della favola, facendoci riflettere sulle difficoltà di invecchiare da soli, ma anche facendoci ridere di gusto. Il che, alla soglia degli ottant’anni, non è poco. Giovanile. Grand public. Voto: 7 e ½

Kimitachi wa dô ikiru ka/The boy and the heron/Il ragazzo e l’airone (Hayao Miyazaki). Il dodicenne Mahito, dopo la morte della madre durante la guerra, si trasferisce in una antica residenza di famiglia col padre e la sua nuova compagna. Ma, spinto dal desiderio di rivedere sua madre, si avventura in un regno abitato dai vivi e dai morti. Un luogo fantastico dove la morte finisce e la vita trova un nuovo inizio… Una storia sul mistero della vita e sulla creazione, lungo oltre due ore, in cui il Maestro giapponese dell’animazione ci conduce alla scoperta di creature fantastiche al confine con un’altra dimensione, compreso l’airone cinerino del titolo che svelerà una doppia natura. Fantasia come sempre al potere per l’ennesimo capolavoro dell’ormai ottantenne regista… Grand public. Voto: 7 e ½

Kripton (Francesco Munzi). Il film nasce da progressivi avvicinamenti all’interno di due strutture psichiatriche della ASL RM-1, ad alcuni ragazzi e ragazze affetti da malattie psichiatriche. Sei giovani che hanno deciso di ricoverarsi volontariamente all’interno della comunità e che lottano con disturbi diversi. Munzi pedina i protagonisti e porta “in scena” anche i loro famigliari in percorsi apparentemente buffi, sicuramente eccentrici e diversi, ma dai quali trapela tanta solitudine. La malattia psichiatrica ci confronta con la nostra apparente normalità, come un metro di paragone e un “memento mori”. Le didascalie finali aggiungono che dopo la pandemia da Covid-19 le patologie psichiatriche sono aumentate del 30%, soprattutto nei giovani, e che i finanziamenti alle strutture pubbliche di cura – come le comunità mostrate nel documentario – sono stati ridotti. C’è da impazzire. Special screenings. Voto: 7 e ½

Palazzina LAF (Michele Riondino). Uno dei primi casi di mobbing in Italia, all’ILVA di Taranto, raccontato dall’attore Michele Riondino col mestiere di Francesco Rosi ed Elio Petri, mettendosi anche davanti alla macchina da presa in un ruolo sgradevole per dare ancora più forza alla pellicola. Alcuni dipendenti, tra i più sindacalizzati, negli anni novanta vengono trasferiti in una palazzina in cui sono costretti a non fare nulla, solo perché avevano rifiutato mansioni inferiori. Si circonda di attori del calibro di Elio Germano e di Paolo Pierobon, nel ruolo dei cattivi, e di Vanessa Scalera e Domenico Fortunato in quelli di alcune delle vittime. Film a tratti surreale, nella follia che racconta pedissequamente, ma ben piantato nella realtà. Uno di quei film da esportare all’estero, per non lavare sempre i panni sporchi in casa. Manifestante. Grand public. Voto: 7 e ½ 

Quattro quinti (Stefano Urbanetti). Il documentario racconta della squadra di calcetto della Roma in cui militano giocatori ipo- o non-vedenti. Sono appunto i quattro quinti della compagine, perché il portiere invece è normo-dotato. Dagli spogliatoi al campo, dalla panchina al pulmino della trasferta, gli atleti si raccontano, come calciatori e come esseri umani, con le loro debolezze e con i loro “superpoteri” che la perdita di un senso importante ha regalato loro. Lacrime e risate si alternano di fronte a questo racconto appassionato e partecipato, nel quale giovani e meno giovani manifestano la passione per uno sport nazionale qui ancora più “sentito”. Diverso. Special screenings. Voto: 7 e ½

The monk and the gun (Pawo Choyning Dorji). Nel 2008 in Bhutan si sono svolte le prime elezioni democratiche, dopo secoli di monarchia assoluta. Molti volontari si sono recati nelle campagne a simulare in prima battuta le elezioni per far votare gente che non lo aveva mai fatto prima. Su questo scenario un monaco, su richiesta del suo maestro, va alla ricerca di un fucile perché il momento lo richiede. Allo stesso tempo un mercante d’armi antiche si aggira per il Paese alla ricerca di un antico fucile… Film co-prodotto tra Bhutan, Taiwan, Francia e USA, molto curato e divertente, che gioca con lo spettatore e i suoi personaggi conducendo tutti su false piste, fino alla rivelazione finale, un po’ come la pellicola di Paola Cortellesi. Coloratissimo, The monk and the gun diverte e fa riflettere.. Pacifista. Concorso Progressive cinema. Voto: 7 e ½

The zone of interest (Jonathan Glazer). Il comandante di Auschwitz, Rudolf Höss Christian Friedel), e sua moglie Hedwig (Sandra Hüller), si sforzano di costruire una vita da sogno per la loro famiglia in una casa e in un giardino vicino al campo. Ignorando decisamente le urla, gli spari e l’abbaiare dei caniche provengono da fuori… Ispirato molto liberamente al romanzo omonimo di Martin Amis il film è stato girato con numerose macchine da presa controllate da remoto per lasciare agli attori la massima libertà e spontaneità possibile, rendendo ancora più agghiacciante la serena esistenza della famiglia Höss. Poi, quando il film sta giungendo alla fine, il protagonista ha una specie di rigetto e vomita, prima di inabissarsi nell’oscurità. E lì, stacco, vediamo Auschwitz oggi, con le donne delle pulizie che normalmente spolverano il campo-museo, mentre vediamo le centinaia di oggetti che anni prima moglie e amiche si godevano e quasi contendevano. Glazer, anche con elementi quasi da video-arte  ci dona un ritratto freddo, non lineare, indiretto, ma efficacissimo di quello che fu l’Olocausto. Raggelante. Best of 2023. Voto: 7 e ½

Il camorrista – La serie (Giuseppe Tornatore). Dal dimenticatoio della Titanus Film, recentemente rimessa in carreggiata da Guido Lombardo, figlio del mitico Goffredo, riemerge questa serie girata nel 1985 da un’esordiente Giuseppe Tornatore che, per esigenze produttive accettò di girare il soggetto tratto dal libro di Giuseppe “Joe” Marrazzo ed ispirato a Raffaele Cutolo, boss della nuova camorra organizzata, sia in versione cinematografica che in versione televisiva. Poiché il film ebbe noie legali ed ebbe scarso risconto al botteghino, la serie non andò mai in onda e fu dimenticata. Ritrovata e restaurata, sottoposta ad una accurata color-corretcion, ad un aggiornamento del suono  da mono a 5.1 e del formato da 1:66 a 16:9, è stata presentata parzialmente alla Festa di Roma, limitatamente al primo e quarto episodio. Il camorrista – La serie non pare aver sofferto i segni del tempo e sembra girata ai giorni nostri, restando un prodotto molto valido anche a quasi quarant’anni di distanza… Absolute beginners. Voto. 7

Catching fire: The story of Anita Pallenberg (Alexis Bloom e Svetlana Zill). Anita Pallenberg è stata la donna dei Rolling Stones per eccellenza: dopo il fidanzamento con Brian Jones, il fondatore, si mise con Keith Richards, dal quale ebbe tre figli, dei quali uno morto prematuramente, e non ha nascosto di aver flirtato anche con Mick Jagger sul set di un film. Alla morte viene ritrovato un manoscritto inedito, la storia della sua vita, che fornisce, letto da Scarlett Johansson, il materiale per questo interessante documentario. Una vita di eccessi, di droghe, ma anche di talento, poiché Anita è stata anche un’ottima attrice, tra Vadim, Ferreri e, quasi ultimo, Korine. Una donna elegantissima che non si è fermata mai davanti a niente. Determinante. Best of 2023. Voto: 7

Enigma Rol (Anselma Dell’Olio). Gustavo Adolfo Rol (1903-1994) è stato uno dei più noti quanto controversi sensitivi italiano e mondiali. Da Mussolini a De Gaulle, da Einstein, a Federico Fellini, da Franco Zeffirelli a Vittorio Gassman, passando per Marcello Mastroianni, Cesare Romiti e la stessa famiglia Agnelli, non si contano i personaggi celeberrimi e storici che si siano avvalsi dei suoi servigi o possano aver vantato la sua amicizia. Anselma Dell’Olio con questa docu-fiction, che alterna anche dei gustosi momenti di finzione, cerca di ricostruirne vita, opere e, appunto, miracoli. Il ritratto che ne esce è molto obiettivo, mai agiografico e senza giudizio: tante e così diversificate sono le opinioni che lo spettatore alla fine può portarsi a casa la sua personale versione di Rol. Si sorride spesso, razionalmente, ma ci si pongono anche domande. Vero medium? Abilissimo prestigiatore? Raffinato illusionista? Forse la verità sta nel mezzo. O forse no. Enigmatico. Special screenings. Voto: 7

Gonzo girl (Patricia Arquette). Nel 1992 un’aspirante scrittrice squattrinata accetta di lavorare come assistente di un notissimo scrittore con fama di folle… Debutto alla regia nel lungometraggio di finzione per Patricia Arquette ed ispirato all’omonimo romanzo di Cheryl Della Pietra, il film nasconde dietro il personaggio di Walker Reade nientepopodimeno che Hunter Stockton Thompson, padre del “gonzo journalism”, e dietro alla protagonista Alley Russo cela la stessa autrice dell’opera letteraria. Un film fatto di eccessi, una sorta di appendice a Paura e delirio a Las Vegas, pieno di invenzioni creative e dotato di un pizzico di follia… Ribelle. Grand public. Voto: 7

Holiday (Edoardo Gabbriellini). L’irrisolta Veronica torna a casa dopo due anni di prigione, assolta per l’omicidio della madre e dell’amante. Ricominciare a vivere è difficile, per tutti, ma lei sembra portarsi qualcosa dentro che non riesce a tirare fuori… I film di Edoardo Gabbriellini, riusciti o no che siano, colpiscono sempre per gli argomenti trattati e per come essi vengano trattati. L’ex-attore di Ovosodo sembra sempre prendere le giuste distanze dai suoi protagonisti, conferendo al racconto un’asetticità che lo rende universale. La storia atroce e agghiacciante di Holiday potrebbe essere successa mille volte con infinite variazioni o potrebbe star per succedere tra poco. Attenzione… Concorso Progressive cinema. Voto: 7

How to have sex (Molly Manning Walker). Tre ragazze adolescenti britanniche vanno in vacanza a Malia, in Grecia bevendo, andando in discoteca e rimorchiando, in quella che dovrebbe essere la migliore estate della loro vita. Ma una di loro, Tara (Mia McKenna Bruce), è ancora vergine… Autentico e convincente ritratto della generazione Z, dove la meno attraente delle tre ragazze è anche quella che non ha ancora un destino segnato ed è forse la migliore del terzetto, perché non ha superato l’ammissione all’università e può ancora plasmare il suo destino. L’amore e il sesso, come averli e perché averli. La confusione di una generazione che confonde la violenza con l’amore e non ha neanche il coraggio di confessarlo. Lucido. Alice nella città – Concorso. Voto: 7

Io e il secco (Gianluca Santoni). Il piccolo Denni (Francesco Lombardo), dieci anni, ha un padre violento e una madre vittima di abusi. Il ragazzo sogna di salvare sua madre e, quando l’amica Eva gli racconta che un suo cugino è un sicario, crede di aver trovato la soluzione ideale. Ma “il Secco” (Andrea Lattanzi) in realtà è solo un piccolo malvivente dal cuore d’oro, che però si prenderà cura del ragazzino più di chiunque altro… Soprprendente esordio nel lungometraggio di finzione per Gianluca Santoni, che dimostra una notevole sensibilità nella costruzione del racconto e dei dialoghi e nella direzione degli attori, potendosi permettere anche un cast di lusso, con Barbara Ronchi e i due Andrea, Sartoretti e Lattanzi, per un delicato film sugli abusi in famiglia, non privo di una certa perfidia infantile e anche di una discreta inventiva registica. Puerile. Alice nella città – Concorso. Voto: 7

La erección de Toribio Bardelli (Adrián Saba). Toribio Bardelli insieme ai suoi figli forma una famiglia alquanto disfunzionale. Vicino ai 7o anni e da poco vedovo, ha un unico obiettivo nella sua mediocre vita, per il quale è disposto a tutto: avere ancora un’erezione… Film metaforico e poetico sull’elaborazione del lutto e sullo scorrere del tempo, La erección de Toribio Bardelli, coprodotto tra Perù e Brasile, offre una riflessione contemporanea e in acido su temi risaputi. Duro. Concorso Progressive cinema. Voto: 7

Mi fanno male i capelli (Roberta Torre). Una donna di nome Monica (Alba Rohrwacher), mentre il marito Edoardo (Filippo Timi) fronteggia difficoltà economiche, inizia a perdere la memoria ed i suoi ricordi cominciano a confondersi con quelli dell’attrice Monica Vitti, cui somiglia moltissimo… Non un biopic sulla celebre attrice romana, ma sicuramente un sentito omaggio alla sua arte, ai suoi costumi, ai suoi film. Viene omaggiata la Monica “alta”, quella de La notte e L’eclisse di Antonioni, ma anche quella “bassa” di A mezzanotte va la ronda del piacere di Marcello Fondato o di Polvere di stelle di Alberto Sordi, che riceve anch’egli un gustoso ossequio. La somiglianza di Alba Rohrwacher con colei che all’anagrafe fu Luisa Maria Ceciarelli è strabiliante e regala un divertente e commosso cortocircuito. Memorabile. Progressive cinema concorso. Voto: 7

Mur (Kasia Smutniak). L’attrice ed ora regista Kasia Smutniak si avventura nella sua Polonia accompagnandoci nella proibitissima “Zona rossa” per fare luce sulle crescenti restrizioni ai confini della nazione – chilometri di filo spinato che stanno progressivamente trasformandosi in vere e proprie mura – e sulla drammatica situazione dei rifugiati nell’Unione europea. Coraggioso ed inatteso esperimento di un’attrice che – come Paola Cortellesi, vedi sopra – ha frequentato perlopiù (ma non solo) commedie – la quale questa volta ci porta in mezzo a disperate e precarie missioni di salvataggio nel cuore dei boschi polacchi e che fa anche un feroce parallelo con i ghetti ebraici nell’Europa nazista. Audace. Special Screenings. Voto: 7

Un silence (Joachim Lafosse). L’avvocato François Schaar (Daniel Auteuil) ha difeso per cinque lunghi anni un caso difficile riguardante l’abuso di due ragazzine. Ma egli nasconde un segreto agghiacciante, che sua moglie Astrid (Emmanuelle Devos) ha contribuito a tenere sotto silenzio, ma che suo genero vuole portare alla luce denunciandolo. Il figlio Raphaël (Matthieu Galoux), all’oscuro di tutto, rischia di finirne schiacciato… Tesissimo thriller che per i primi minuti risulta indigesto e incomprensibile – per una serie di personaggi nominati, ma non ancora mostrati – ma che poi scopre bene le carte in tavole, svelando anche il mistero legato al protagonista. Interpreti impeccabili per un film che pone tante domande (e regala poche risposte). Inquietante. Concorso Progressive cinema. Voto: 7

Cento domeniche (Antonio Albanese). Antonio Riva (Albanese) è un operaio specializzato in pensione che frequenta ancora il cantiere navale per arrotondare e per insegnare il mestiere alle nuove leve. Separato dalla moglie, intrattiene una relazione sessuale con una sciura del paese e accudisce l’anziana madre. Il suo grande amore è la figlia Emilia, che, un giorno, gli annuncia di volersi sposare. Nella banca del paese Antonio ha accumulato una discreta fortuna e vorrebbe farla felice organizzandole un matrimonio da sogno. Ma per l’istituto di credito i tempi non sono buoni e i sogni rischiano di scontrarsi con la dura realtà. Film forse neccssario, ma realizzato in maniera fin troppo convenzionale e con pochissima ironia, se non all’inizio, cosa che ad un comico difficilmente si perdona. Ottime le premesse e santa la causa imbracciata, ma i risultati non sono confortanti. Deludente. Grand public. Voto: 6 e ½

Desiré (Mario Vezza). La sedicenne di origini nigeriane Desiré finisce nel carcere minorile di Nisida per spaccio. Qui fa conoscenza con diverse amiche e scopre anche il teatro, nella persona di un benevolo insegnante (Enrico Lo Verso) che la aiuta a scegliere ciò che nella vita vuole veramente… Prodotto RaiCom destinato al mercato televisivo, benché girato in un ottimo formato panoramico, il film vive più di difetti che di pregi: dialetto campano strettissimo, salvato in corner dai sottotitoli in inglese (!), sceneggiatura troppo semplicistica e semplificata che abbozza troppe situazioni e troppi personaggi. Bravi gli interpreti, ma l’occasione resta sprecata. Semplicistico. Alice nella città – Panorama Italia. Voto: 6 e ½

Diabolik – Chi sei? (Manetti bros.). Una pericolosa e spietata gang criminale imperversa a Clerville disturbando anche i piani di Eva e Diabolik. Lui insieme a Ginko finirà perfino nelle loro mani. Toccherà alle loro donne unire le forze per salvarli e liberarli… Ultimo capitolo per la saga cinematografica dell’eroe nero creato dalle sorelle Giussani e secondo ad avere come protgonista il non eccelso, ma perfetto nel ruolo, Giacomo Gianniotti. Il film diverte, ma ha problemi di ritmo, come molte delle pellicole dei Manetti ed a tratti tende a dilungarsi troppo ed è anche questa volta funestato dalla presenza di Monica Bellucci che, sforzandosi di simulare l’accento straniero, peggiora se possibile le cose. Bella e divertente l’idea di far raccontare a Diabolik durante la prigionia le proprie origini, in rigoroso biancoenero con la sola eccezione del rosso del rubino e del sangue. La pellicola chiude il cerchio col recupero di un anello comparso nel primo episodio. Clerville è sempre splendidamenterestituita, tra Lazio ed Emilia Romagna. Criminoso. Grand public. Voto: 6 e ½

Io, noi e Gaber (Riccardo Milani). Giorgio Gaberščik, in arte Gaber, viene raccontato in questo documentarione di oltre due ore dal regista Riccardo Milani. A parlarcene in maniera teoricamente esaustiva sono le personalità più disparate del nostro paese: la figlia Dalia, Ricky Gianco, Claudio Bisio, Paolo Jannacci, Gianni Morandi, Vincenzo Mollica e perfino Mario Capanna e Pierluigi Bersani cercano di ricostruire come in un grande puzzle chi fu Gaber oltre anche a giudicarlo. Alternandosi agli esilaranti spezzoni dei suoi show televisivi e dei suoi spettacoli teatrali, ne creano un ritratto talmente completo da confondere spesso le idee sul personaggio e la figura storica. E su tutti aleggia Ombretta Colli, ombra – in nomen omen – silenziosa che non si pronuncia. Confuso, ma felice. Special screenings. Voto: 6 e ½

Profondo Argento (Giancarlo Rolandi e Steve Della Casa). L’ennesimo ritratto di Dario Argento – un altro, Panico di Simone Scafidi, è passato anche all’ultima Mostra del Cinema di Venezia – stavolta per aree tematiche ed associazioni di idee in cui l’ultra-ottantenne regista romano, insieme alle persone a lui più care o da lui stesso affascinate e a fidati e storici collaboratori che ci illustrano il suo lavoro, racconta la sua più che cinquantennale carriera. Dallo studio fotografico Luxardo di proprietà dei suoi nonni in cui faceva anch’egli capolino, fino agli ultimi film, tra incubi, sogni, sangue e tanto, tanto cinema. Affettuoso. Storia del cinema. Voto: 6 e ½

Scarrozzanti e spiritelli. 50 anni di vita del Teatro Franco Parenti (Michele Mally). Nel 1972 Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah, con Giovanni Testori, Dante Isella e Gian Maurizio Fercioni, fondano il Salone Pier Lombardo, che diventa immediatamente un punto di riferimento di vitalità artistica e culturale per Milano. Nel 1989 alla morte di Parenti il teatro assumerà il suo nome. In occasione del mezzo secolo della struttra Andrée Ruth ha riunito intorno ad un fuoco acceso all’interno gli amici, attori e non solo, che l’hanno affiancata per tutti quei lunghi anni. È l’occasione per rivivere e celebrare spettacoli storici e innovativi e per farli conoscere a chi ancora non c’era o non c’era mai stato. Come in un sontuoso filmino di famiglia. Caldo. Special screenings. Voto: 6 e ½

Volare (Margherita Buy). Anna B. (indovinate chi?) è un’attrice che ha ripetutamente danneggiato la propria carriera per la paura dell’aereo. Sfumata l’ennesima occasione di partecipare ad un film di più alto livello, rispetto alle convenzionali fiction TV che riesce a girare in Italia, si convince a partecipare ad un corso – realmente esistente – organizzato da ITA Airways per vincere la paura del volo. Troverà una serie di compagni d’avventura ancora più singolari di lei… Una delle attrici più fobiche (e più brave) del panorama italiano si confronta al debutto dietro la macchina da presa con una delle fobie più grandi e lo fa portandosi in scena alcuni tra gli attori più simili a lei che si conoscano: da Giulia Michelini a Pietro Ragusa, passando per Roberto De Francesco. Sulla carta un film notevole, che infatti parte in quarta pieno di trovate, per poi sgonfiarsi via via verso il finale. La classica occasione mancata. P.S.: Margherita, il critico cinematografico cattivo e antipatico anche no! Grand public. Voto: 6 e ½

Jeff Koons. Un ritratto privato (Pappi Corsicato). Uno dei registi italiani più ribelli di sempre dedica un “ritratto privato” ad un’artista altrettanto discusso: Jeffrey Koons. Famoso almeno in Italia anche per essere stato sposato per circa un anno con la pornostar Ilona “Cicciolina” Staller, con la quale condusse una dura battaglia legale per l’affidamento del figlio Ludwig, che si racconta nel film, è considerato l’erede di Andy Warhol e continuatore della Pop Art, oltre ad essere spesso associato a Marcel Duchamp, ma è pure un artista assai controverso e criticato. L’immagine che ne restituisce Corsicato è purtroppo molto di parte, quasi oltre i confini dell’agiografia, ascoltando solo “campane” a lui favorevoli, al punto da far pensare che sia stato commissionato. Acritico. Freestyle. Voto: 6

Nuovo Olimpo (Ferzan Ozpetek). Due ragazzi, uno aspirante regista, l’altro aspirante medico, si incontrano nella Roma di fine anni settanta nel cinema che dà il titolo al film. Ma per un incidente si perdono di vista. Riusciranno a rincontrarsi anni dopo?… Uno dei punti più bassi dell’ispirazione di Ferzan Ozpetek e targato Netflix. Melodramma neanche troppo originale e verosimilmente autobiografico che tocca punte di ridicolo involontario, soprattutto per la legnosità di alcuni interpreti. Che cosa salvare? La meravigliosa e quasi irriconoscibile Luisa Ranieri – una quasi-Mina – nei panni della cassiera del cinema, la sequenza concitata sulle note di Ornella Vanoni in cui i due si perderanno e la scena, puro Ozpetek, sotto ai titoli di coda, in cui assistiamo ad un “what if…”, un momento in realtà mai accaduto nella storia. Dimenticabile. Grand Public. Voto: 6

The end we start from (Mahalia Belo). Mentre una crisi ambientale attanaglia Londra (e non solo), una giovane donna insieme a suo figlio appena nato, dopo che il marito li ha abbandonati non sentendosi all’altezza ed essere finiti in un rifugio, cerca di ritrovare la via di casa… Film distopico di una regista che debutta nel lungometraggio di finzione girando però un film scialbo e che gira intorno a se stesso, senza elementi di novità e che non suonino come dejà-vu. Neanche le brevi apparizioni di Mark Strong e Benedict Cumberbatch riescono a risollevarlo. Distonico. Grand public. Voto: 6

CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA
– Miglior Film: PEDÁGIO (TOLL) di Carolina Markowicz
– Gran Premio della Giuria: UROTCITE NA BLAGA (BLAGA’S LESSONS) di Stephan Komandarev
– Miglior regia: JOACHIM LAFOSSE per Un silence (A Silence)
– Miglior attrice – Premio “Monica Vitti”: ALBA ROHRWACHER per Mi fanno male i capelli
– Miglior attore – Premio “Vittorio Gassman”: HERBERT NORDRUM per Hypnosen (The Hypnosis)
– Miglior sceneggiatura: ASLI ÖZGE per Black Box
– Premi speciali della Giuria (proposti dal Presidente a scelta fra le categorie sceneggiatura, fotografia, montaggio e colonna sonora originale):
ASHIL (ACHILLES) di Farhad Delaram
C’È ANCORA DOMANI di Paola Cortellesi
THE MONK AND THE GUN di Pawo Choyning Dorji

MIGLIORE OPERA PRIMA BNL BNP PARIBAS
– COTTONTAIL di Patrick Dickinson
Sono state inoltre assegnate due Menzioni Speciali Miglior Opera Prima BNL BNP Paribas ai film C’È ANCORA DOMANI di Paola Cortellesi e AVANT QUE LES FLAMMES NE S’ETEIGNENT (AFTER THE FIRE) di Mehdi Fikri.

MIGLIOR COMMEDIA – PREMIO “UGO TOGNAZZI”
– JULES di Marc Turtletaub
È stata inoltre assegnata la Menzione Speciale del Premio “Ugo Tognazzi” ad ASTA KAMMA AUGUST e HERBERT NORDRUM per Hypnosen (The Hypnosis).

PREMIO DEL PUBBLICO
– C’È ANCORA DOMANI di Paola Cortellesi

PREMIO SIAE CINEMA
– IL PRIMO FIGLIO di Mara Fondacaro

I PREMI ASSEGNATI DURANTE LA DICIOTTESIMA EDIZIONE
– Premio alla Carriera a ISABELLA ROSSELLINI
– Premio alla Carriera a SHIGERU UMEBAYASHI
– Premio Progressive alla Carriera a HALEY BENNETT
– Premio Progressive alla Carriera a CAMILA MORRONE

Fra i premi collaterali:
– Premio FS a LA NOSTRA MONUMENT VALLEY di Alberto Crespi e Steve Della Casa assegnato dal Gruppo FS Italiane
– Premio “Il viaggio in Italia” a L’IMPERO DELLA NATURA. UNA NOTTE AL PARCO DEL COLOSSEO di Luca Lancise e Marco Gentili patrocinato dal Ministero del Turismo ed Enit – Agenzia nazionale del turismo
La Regione Lazio ha assegnato il premio “Lazio Terra di Cinema” a JULIETTE BINOCHE 

ALICE NELLA CITTÀ
“The Other Son” di Juan Sebastián Quebrada ha vinto il premio come miglior film del Concorso Internazionale, mentre “Desiré” di Mario Vezza si è aggiudicato il Premio Raffaella Fioretta come miglior film del Panorama Italia. Assegnato anche un Premio speciale della giuria a “Bangarang” di Giulio Mastromauro.
Il Premio The Hollywood Reporter Roma per la migliore opera prima è andato a “To Leslie” di Michael Morris. Menzioni speciali agli attori Miguel Gonzalez per “The Other Son” e Mia Mckenna-Bruce per “How To Have Sex” e al regista a Gianluca Santoni per “Io e il secco”. Premio RB Casting per il miglior attore emergente a Amanda Campana per “Suspicious Mind”.

Dal nostro inviato Paolo Dallimonti.