La diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma si terrà dal 16 al 27 ottobre 2024. La manifestazione – riconosciuta ufficialmente dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films) – si svolgerà presso l’Auditorium Parco della Musica che ospiterà le principali sale di proiezione e il lungo red carpet, uno dei più grandi al mondo. Il programma coinvolgerà inoltre altri luoghi e realtà culturali della Capitale.
Dal 2022, la Festa del Cinema ha introdotto nel suo regolamento un concorso internazionale: i film saranno giudicati da una giuria composta da professionisti del mondo del cinema, della cultura e delle arti. Il programma ospiterà altre sezioni non competitive, gli Incontri con il pubblico, eventi, proiezioni speciali e omaggi.
Alice nella città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema dedicata alle giovani generazioni, si svolge nelle medesime date della Festa secondo un proprio regolamento.
La natura della Festa del Cinema è nella sintesi tra una programmazione di qualità e una fruizione popolare: il pubblico, al quale sono rivolti la stragrande maggioranza degli eventi in programma, gioca la parte del protagonista. Particolare attenzione è dedicata alla politica dei prezzi che prevede anche la presenza di numerosi eventi a ingresso gratuito.

Arrapaho (Ciro Ippolito). Considerato uno dei più brutti film della storia del Cinema italiano (ma i concorrenti, soprattutto col proseguire degli anni, non sono mai mancati!), viene proposto dopo un restauro in 4K in occasione dei suoi quarant’anni di vita. Ideato dal regista Ciro Ippolito dopo la visione di Monty Python – Il senso della vita, impossibilitato almeno solo economicamente nel realizzare qualcosa di simile, si optò per una versione “exploitation” alla napoletana. Complici di ciò furono gli Squallor, gruppo demenziale formato tra quattro tra i principali autori della canzone italiana degli anni sessanta-settanta-ottanta, ossia Bigazzi-Cerruti-Pace-Savio, che si dilettavano nel tempo libero, come pochi allora, a cazzeggiare in studio di registrazione. Il film negli anni è assurto a rango di “cult” assoluto, con personaggi e scene(tte) indimenticabili. Qualcosa è ormai datato, come il ministro Zamberletti e il comunque esilarante “Tranvel Trophy” (chi non ricorda il “Camel Trophy” potrebbe non capire), ma le risate sono ancora tante e sonore! Imperdibile. Restauri. Voto: 10

Megalopolis (Francis Ford Coppola). Un’epopea romana ambientata in un’America moderna e immaginaria. La città di New Rome sta cambiando, causando aspri conflitti tra Cesar Catilina (Adam Driver), geniale artista che cerca di proiettarsi in un futuro utopico e idealistico, e la sua nemesi, il sindaco Franklin Cicero(ne) (Giancarlo Esposito), reazionario e legato a uno status quo regressivo, avido e corrotto. Tra i due si inserisce Julia (Nathalie Emmanuel), la figlia del sindaco che, essendo innamorata di Cesar Catilina, si trova a dover scegliere in chi riporre la propria lealtà e a chiedersi cosa merita, davvero, l’umanità… Un film-monstre, covato per almeno quarant’anni e annunciato almeno da trenta, da uno dei registi più titanici e geniali di Hollywood, che, a 85 anni, mentre la maggior parte dei cineasti gira pellicole per incassare soldi, produce interamente di tasca sua il film della propria vita. Megalopolis, per quanto confuso, maldestro, a tratti raffazzonato È il Cinema. Cita la qualsiasi, da Lang alle “Catilinarie” di Cicerone e chi più ne ha più ne metta, affascinando e manipolando lo spettatore. In breve è un noir degli anni quaranta intriso di sci-fi, un po’ come lo fu Minority report di Steven Spielberg. Un’opera magniloquente, che forse è in minima parte quello che il regista avrebbe voluto ottenere, piena di difetti, ma anche di pregi. Un film che già che è arrivato finalmente sullo schermo è un miracolo. Alla cui celebrazione non possiamo non partecipare. Mega. Grand Public/Preapertura. Voto: 10

Antidote (James Jones). Il giornalista investigativo bulgaro Christo Gozwv, l’attivista anti-putiniano leader dell’opposdizione Vlamiri Kara-Murza e uno scienziato che ha partecipato alla creazione di veleni letali e poi è fuggito dalla Russia, e per questo resta anonimo. Questi personaggi, più che reali, insieme alle loro famiglie e ad altri giornalisti, sono i protagonisti di questo bellissimo documentario del pluripremiato regista James Jones che diventa una spy-story tesissima, destinata già dai titoli di testa ad essere un work-in-progress in costante aggiornamento (arriva ai primi di agosto di quest’anno), che dimostra, nel finale, come la guerra fredda non sia mai finita, ma che piuttosto si sia allargata ad una sorta di tutti-contro-tutti diretto dall’alto dalle due (ex-) superpotenze mondiali. Quando la realtà supera la fantasia. Special screenings. Voto: 8

Berlinguer. La grande ambizione (Andrea Segre). Vita pubblica e privata di Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano, dal viaggio a Sofia nel 1973, dove subì un attentato, fino al rapimento e all’assassinio nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, nel giorno in cui sarebbe stato ratificato il primo Governo di Unità nazionale tra Comunisti e Democristiani. Elio Germano restituisce un Enrico Berlinguer appena somigliante nel fisico, ma iperrealista nell’interpretazione, nella voce, nelle esitazioni, nelle pause. Ne emerge un racconto commovente e toccante, per il Paese che è stato, per quello che sarebbe potuto essere e per quello che non sarà mai, già a partire dalle prime immagini del Cile del 1973, tragicamente accostato a quello che sarebbe stato di lì a poco l’Italia. Da bravo documentarista, Andrea Segre alterna immagini di repertorio alla fiction senza soluzione di continuità, scegliendo anche dei bellissimi carrelli in movimento di una Roma dell’epoca. Il risultato è un film potente e didattico,  per ricordare a chi c’era e per informare chi ancora non c’era o non aveva l’età della ragione (come chi scrive), che aggiunge tasselli importanti a chi ha già una visione abbastanza chiara di che cosa accadde, ma che potrebbe essere di significativo spunto a chi ignora quegli anni. Rigoroso. Concorso Progressive Cinema. Voto: 8

Il complotto di Tirana (Manfredi Lucibello). Nel 2001 Oliviero Toscani fu chiamato dal critico d’arte Giancarlo Politi alla Biennale di Tirana portando con sé quattro artisti misteriosi quanto controversi: Dimitri Bioy, presunto pedofilo; Carmelo Gavotta, un pornografo dichiarato; Bola Ecua, un’attivista ricercata dal governo nigeriano; Hamid Piccardo, jihadista e fotografo ufficiale di Osama Bin Laden. A raccontarcelo davanti alla telecamera è proprio Toscani stesso. Ma quell’uomo sullo schermo ha qualcosa di strano, come anche gli artisti presentati… Ad un certo punto la narrazione si interrompe, il nastro viene riavvolto e si ricomincia: ma stavolta l’Oliviero che parla non ha nulla di curioso: è lui! Come dice il titolo del documentario, fu proprio un complotto o, meglio, una performance dell’artista Marco Lavagetto, che inventò tutto: scrisse a Politi spacciandosi per Toscani, creò i quattro autori e scrisse anche un testo che ne sosteneva il lavoro, venendo pubblicato su “Flash Art” e sul catalogo della mostra, e riuscì perfino a far esporre i “suoi” artisti, con un jihadista in mostra pochi giorni dopo l’11 settembre. Manfredi Lucibello, che nella sua carriera ha alternato film di finzione con altri d’inchiesta, mette in crisi il sistema dell’arte, con la complicità di Bebo Storti, che impersona il falso Toscani, con quello che almeno nella prima parte può essere considerato a tutti gli effetti un delirante mockumentary. Poi comincia la parte “vera”, forse la meno interessante, ma indispensabile per comprendere il resto. Un’opera divertentissima e lucida che pone l’accento sulla relatività dell’arte e sulla sua fragilità. Necessario. Freestyle Arts. Voto: 8

Emilia Pérez (Jacques Audiard). Il feroce criminale messicano Manitas ha un desiderio: cambiare sesso. Per questo contatta l’avvocata Rita Moro Castro  (Zoe Saldaña) che gli trova un chirurgo israeliano che lo trasformerà nella ricca signora Emilia Perez, dopo la morte “ufficiale” del malvivente. Ma il taglio col passato lascia una ferita aperta, quella dei figli. Così Emilia, che sta vivendo una seconda vita come benefattrice nel sociale, accoglierà nella propria casa l’ex moglie e i due pargoli. Ma, mentre le vite vanno avanti, non tutto proseguirà come atteso. Tratto dal romanzo “Écoute” di Boris Razon, il film è un coloratissimo musical dal ritmo incessante, un melodramma scoppiettante che affascina e conquista senza lasciare via di scampo: la summa di tutti i lavori precedenti di Jacques Audiard che qui riscrive perfino il musical stesso. Premio per l’interpretazione femminile ex-aequo a Karla Sofía Gascón, Selena Gomez e Zoe Saldaña e Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes. Un film unico, tra i migliori di quest’anno. Best of 2024. Voto: 8

Grand theft Hamlet (Pinny Grylls e Sam Crane). Che cosa hanno in comune l'”Amleto” di William Shakespeare e il videogioco Grand theft auto? Molto più di quanto si potrebbe immaginare! Nel gennaio del 2021, al terzo lockdown britanico, gli attori Sam e Mark, temporaneamente disoccupati, ingannano il tempo giocando al videogioco di cui sopra. Ad un tratto hanno un’intuizione: la violenza del gioco ben si potrebbe fondere con quella delle vicende del Principe di Danimarca! Decidono così di fare dei provini per rappresentare la sanguinaria tragedia negli scenari del videogame. Così Pinny, moglie di Sam, si mette a registrare col proprio account (e poi montare), tutta la vicenda. Un’esilarante e geniale, nonché delirante avventura in cui il teatro arcaico  si fonde con la tecnologia più avanzata, ma anche un’analisi sociologica contemporanea, tanto involontaria quanto efficace.  Traversale. Freestyle Film. Voto: 8

Longlegs (Osgood Perkins). Intorno al 1995, nel periodo del “Satanic Panic”, Lee Harker (Maika Monroe) una giovane agente dell’FBI, dà la caccia ad un inquietante e misterioso serial killer di nome “Longlegs”. Ma gli omicidi, sinistre stragi famigliari, sembrano accadere per mano del capofamiglia, senza apparenti interventi dall’esterno. La verità risulterà essere molto più agghiacciante, non di questa terra e intimamente legata all’agente… Citazionista già nei nomi di alcuni personaggi (Browning, Harker…) il film di Osgood Perkins (figlio del celeberrimo Anthony), porta con sé già la fama di miglior horror dell’anno. A metà tra Il silenzio degli innocentiZodiac, il cinema di Roman Polanski e quello relativamente giovane di Ari Aster, Longlegs inquieta e spaventa, non risparmiando jump-scares e pieno di dettagli spesso subliminali per i quali una sola visione di certo non basta. Da non perdere. Grand public. Voto: 8

The Substance (Coralie Fargeat). Elisabeth Sparkle (Demi Moore) non è più quella diva del passato, cui venne perfino dedicata una stella sulla Walk of Fame di Hollywood, ma, superati i cinquant’anni, si ritrova relegata in TV a condurre un programma di aerobica. Quando il canale televisivo per cui lavora non la vuole più, si deciderà ad usare una “Sostanza”, per la quale era stata misteriosamente contattata, dando origine ad una nuova versione di lei (Margaret Qualley) migliore, più giovane, più bella, dividendo il tempo e il mondo una settimana a testa. Dimenticando di essere pur sempre due facce della stessa medaglia, la nuova versione inizierà a rubare del tempo all’altra, con conseguenze disastrose per entrambe… Coloratissimo e, nel finale, splatterosissimo horror vincitore del premio per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes, il film di Coralie Fargeat è una denuncia sotto forma di metafora della medicina estetica, del rifiuto di certe donne famose di invecchiare e del desiderio di trasformarsi così in qualcosa di molto lontano da loro stesse. Una grandissima Demi Moore, in un ruolo coraggioso, non avendo mai fatto mistero di vistosi ritocchi estetici alla propria persona, è affiancata da un’altrettanto gigantesca Margaret Qualley, perfetta nel ruolo del doppio. Un film forte e diretto, ma anche molto divertente. Da non perdere! Best of 2024.  Voto: 8

The trainer (Tony Kaye). Jack (Vito Schnabel) è un personal trainer ed esperto di fitness molto loquace ed altrettanto convincente, quanto cialtrone e ciarlatano. In un periodo difficile della sua vita, in cui è costretto a vivere con la madre a Los Angeles, cerca in tutti i modi di piazzare il suo “Heavy hat”, il cappello pesante che ricorda l’elmo dei gladiatori e che dovrebbe impegnare molti muscoli del corpo fino al miglioramento delle condizioni psico-fisiche. Millantando la conoscenza di Lenny Kravitz e Paris Hilton, avendo in realtà pur pochi esemplari da vendere, arriverà ad un canale televisivo molto noto per le televendite. Ma al momento della diretta accuserà un crollo psico-fisico… Film scritto e interpretato dall’eclettico Vito Schnabel, figlio del regista Julian, racconta e critica il sogno americano, dove chiunque in cerca di successo può facilmente trovarlo, anche se vuoto. Girato in una maniera che potremmo definire innovativa, con la partecipazione di numerosi amici in esilaranti camei, compreso il redivivo John McEnroe, The trainer è una pellicola nella quale si ride molto, ma con un retrogusto amaro. Sospeso tra capolavoro e “cagata pazzesca”, per la sua estrema visionarietà, alla fine trova un suo equilibrio e una dignità narrativa. Mai visto prima qualcosa del genere! Concorso Progressive cinema. Voto: 8

U.S. Palmese (Manetti Bros.) Il calciatore francese Etienne Melville, nato nelle banlieu parigine, bravo quanto indisciplinato, si ritrova senza squadra per le continue scorrettezze in campo. Nel frattempo Don Vincenzo (Rocco Papaleo) in quel di Palmi, vedendo sui giornali il calciatore senza un ingaggio ha un’idea fulminante: indire una raccolta firme, quindi una colletta, tra i 18.000 cittadini del paesino calabro per far giocare nella squadra locale, la Palmese, composta da dilettanti… Film divertentissimo e molto ritmato, nonché estremamente equilibrato nella scrittura, con i due fratelli registi al meglio, i quali non disdegnano tocchi fumettistici, come l’uso di animazioni in alcune dissolvenze e alcune citazioni “anime”, come la soggettiva del pallone roteante (chi non ricorda Holly e Benji?). Un Rocco Papaleo in stato di grazia e altri attori impagabili, come Massimo De Lorenzo, Gianfelice Imparato e Claudia Gerini, senza dimenticare Guglielmo Favilla, nel ruolo dello scemo del paese, portano a casa il risultato. Virtuosismi registici e toni intimistici si compensano in un film sportivo che sa – ironicamente – di fantascienza! Irresistibile. Concorso Progressive cinema. Voto: 8

100 litres of gold (Teemu Nikki). Due sorelle finlandesi zitelle di mezza età promettono alla terza di loro, in occasione del suo matrimonio, di fornirle cento litri di “sahti”, una birra tradizionale nazionale che producono da anni secondo una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. La bevanda è presto pronta, ma le due, alquanto inclini all’alcol, se la finiscono senza battere ciglio. Come rimediare? Inizia una segreta caccia alla birra presso i migliori produttori locali che, incidentalmente, sono anche odiati e odiosi concorrenti… Teemu Nikki è autore da tenere sempre d’occhio, un’autentica garanzia, che già lo scorso anno aveva presentato alla Festa di Roma l’altrettanto delirante Peluri/La morte è un problema dei vivi e che continua a co-produrre con l’Italia. Il film è un piccolo gioiello delizioso e cinico, come il destino, senza esclusione di colpi e davvero divertente, con un soggetto che brilla per originalità. Alcolico. Concorso Progressive Cinema. Voto: 7 e ½

Bellas artes (Mariano Cohn e Martín Bustos). Antonio Dumas (Oscar Martinez), “uomo maturo, bianco ed eterosssuale”, viene scelto come nuovo direttore del Museo Ibero-Americano di Arte Moderna di Madrid di fronte a due altre finaliste, una nera e una omosessuale. Antonio è una vecchia volpe, ma è anche scostante e molto cinico. Riuscirà a resistere al mondo degli artisti di ogni età, dei raccomandati e dei politici?… Una serie divertentissima co-porodotta tra Argentina e Spagna, scritta da Cohn con Andrés e Gastón Duprat, non nuovi agli attacchi al mondo dell’arte, e diretta da Cohn con Martin Bustos, che si sviluppa in poco meno di tre ore e che trova dei graziosi tormentoni interni che si ripropongono in maniera esplosiva. Accanto all’arte si dipana anche la vita del protagonista, padre e nonno non proprio esemplare, alle prese ogni giorno anche con i problemi più comuni. Si ride, molto, con cinismo, ma si riflette. Freestyle Serie. Voto: 7 e ½

En fanfare/L’orchestra stonata (Emmanuel Courcol). Thibaut Desormeaux, brillante direttore d’orchestra quasi quarantenne, quando si ammala improvvisamente di leucemia e ha bisogno di un donatore di midollo osseo, scopre di essere stato adottato da quelli che ha sempre creduto essere i suoi genitori. Viene a conoscenza di avere un fratello maggiore, Jimmy Lecocq, lavoratore in fabbrica e un musicista dilettante, che accetterà di offrirsi come donatore. I due capiranno di avere molte cose in comune e cercheranno di recuperare il tempo perduto, mentre la fabbrica in cui Jimmy lavora sta per chiudere… Tra il romanticismo, il melodramma, la denuncia sociale, (la passione per) la musica e un’irrinunciabile ironia di fondo, Courcol crea un cocktail difficilissimo da maneggiare, che però lui riesce a padroneggiare fino al termine della pellicola, grazie ai suoi bravissimi attori, complice anche qualche strizzata d’occhio furba e ruffiana – che però non guasta – come quel “Bolero” di Ravel inserito a tradimento nel finalissimo, di fronte al quale è impossibile trattenere le lacrime. Melancolico. Best of 2024. Voto: 7 e ½

Ghostlight (Kelly O’Sullivan e Alex Thompson). Dan (Keith Kupferer), un maturo e ombroso operaio edile, che si porta dietro un trauma irrisolto, quasi per caso inizia a frequentare un corso di teatro amatoriale che si tiene proprio di fronte al cantiere in cui sta lavorando. Mentre la sua vita va a rotoli, l’uomo comincia a recitare in un adattamento di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare… Tenera e divertente pellicola, passata e premiata in vari festival statunitensi, interpretato da una vera famiglia teatrale, Mallen-Kupferer, nel ruolo dei tre protagonisti, che ci ricorda come il teatro possa illuminarci e farci superare traumi incancreniti, mettendoceli davanti senza una possibile alternativa. Un piccolo film, a tratti commovente, a tratti esilarante, da seguire anche nei titoli di coda. Meta-teatrale. Freestyle Film. Voto: 7 e ½

Pierce (Nelicia Low). Qualcuno nel film dice che la scherma sia un gioco di strategia, come gli scacchi. Un giovane aspirante schermidore vede la sua vita cambiata quando il fratello maggiore, ex-promessa della scherma, esce di prigione dopo aver scontato la sua pena per aver ucciso il suo avversario in quello che per alcuni sarebbe sembrato un tragico incidente, ma che per altri sarebbe stato omicidio volontario. Deciso a scoprire di più, il giovane, in mancanza di una figura paterna, subisce fin da subito il fascino del fratello, che si offre di allenarlo, con immediati risultati. Ma la ricerca della verità disseppellirà segreti che sarebbe stato meglio lasciare nell’ombra…
Ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto a Singapore, il film, coproduzione tra Singapore, Taiwan e Polonia, segna il debutto alla regia cinematografica di Nelicia Low, campionessa di scherma nella squadra nazionale di Singapore, e procede come un incontro di fioretto, tra movimenti che celano le vere intenzioni e rapidi affondi. Fino all’ultimo, dopo un pre-finale da tragedia shakespeariana, la realtà dei fatti verrà più volte capovolta, tenendo sulle spine lo spettatore in un crescendo di tensione. Impietoso. Freestyle. Voto: 7 e ½

The dead dont’t hurt/I morti non soffrono (Viggo Mortensen). Durante gli anni Sessanta dell’Ottocento, il cowboy solitario di origine danese Holger Olsen (Viggo Mortensen) incontra la franco-canadese Vivienne Le Coudy (Vicky Krieps), fieramente indipendente. I due intrapredono una relazione, tra la Guerra di Secessione incombente e un signorotto locale il cui figlio è difficile da tenere a bada… Mortensen scrive, interpreta, dirige e musica un western di impianto più che classico, dal sapore prettamente europeo. La solidità del film è data dalla sua storia tradizionale, senza particolari colpi di scena o di coda che, pur non impressionando particolarmente lo spettatore, riesce a catturarlo per la sua solidità narrativa e di messa in scena. Superlativi tutti gli interpreti, compresi un sulfureo Danny Huston, per una storia non troppo originale, ma corale e splendidamente realizzata. Canonico. Grand public. Voto: 7 e ½

L’albero (Sara Petraglia). Bianca (Tecla Insolia) e Angelica (Carlotta Gamba). Un amore, una dipendenza, non solo reciproca, ma anche dalla cocaina. Due ventenni che cercano un senso alle loro vita, al loro amore, cercandolo nel posto sbagliato… Detto così sembrerebbe un film drammatico, invece L’albero è una commedia solare sulla ricerca di se stessi, complice il metaforico albero del titolo e dell’inizio, visto in lontananza dalla finestra della nuova casa al Pigneto, che verrà poi “incontrato” per puro caso. Un boomer potrebbe rimanere subito spiazzato dall’esagerato uso di sostanze stupefacenti da parte delle protagoniste, riflettendo sui tempi che purtroppo cambiano, ma poi quando si capisce che non siamo nella norma, ma si tratta di due “tossiche”, la pellicola ingrana maggiormente. All’ombra di Leopardi, con la malattia e la morte che fanno capolino nei panni di un’amica gravemente malata, L’albero si dipana nel suo essere un insolito, ma riuscito coming-of-age, divertente e amarognolo. Dolceamaro. Concorso Progressive Cinema. Voto: 7

Anora (Sean Baker). Anora (Mikey Madison), detta Ani, è una prostituta che lavora in un night club a New York. Quando conosce Ivan (Mark Eydelshteyn), un giovanissimo cliente particolarmente affezionato e molto ma molto ricco, è subito amore. E in un viaggio a Las Vegas i due si sposano. Il ragazzo però è il figlio di un potentissimo uomo d’affari russo, il quale non gradirà le scelte dell’erede… Palma d’oro a Sean Baker all’ultimo festival di Cannes, il film promette molto più di quello che mantiene e, soprattutto, nell’esuberanza e nello sfarzo di quanto mostrato non si perita minimamente di asciugare, arrivando a una durata di quasi due ore e mezza, senza che ce ne fosse realmente bisogno. Nel racconto, estremamente grottesco, con degli scagnozzi russi davvero da operetta e quindi poco realistici, l’unica ad evolvere veramente è proprio Anora, mentre nessuno degli altri personaggi sembra rivedere le proprie posizioni. L’ultima scena, liberatoria, ridona dignità ad una pellicola che fin lì sembrava essersi un po’ troppo (dis)persa. Sopravvalutato. Best of 2024. Voto: 7

Bring them down (Chris Andrews). Faida irlandese tra due famiglie a colpi di montoni martoriati o rubati, nella quale una pregressa tragedia pone le sue maligne radici. Una sorta di As bestas alla Guinness, in cui gli esseri umani sono molto peggiori degli animali. Christopher Abbott, astro in ascesa dopo Sanctuary e Povere creature!, riesce a rendere un personaggio veramente complesso, anche se la sua follia non sempre è centrata, mentre Colm Meaney brilla ancora dall’alto dei suoi anni. Un film cupo e a tratti disperato, un thriller rurale che tiene attaccato lo spettatore alla poltrona. Rancoroso. Concorso Progressive cinema. Voto: 7

Es geht um Luis/About Luis (Lucia Chiarla). A Stoccarda il tassista Jens vive perennemente nel suo taxi. È lì che incontra la moglie Costanza, ci fa l’amore, ci parla e che si svolgerà buona parte del film. Tale equilibrio precario inizia ad andare in frantumi quando entrambi verranno a sapere che il figlio Luis è stato bullizzato a scuola per uno zaino decorato con degli unicorni. Dopo l’iniziale understatement da parte degli insegnanti, la situazione finirà per degenerare… Pellicola tedesca scritta e diretta dalla genovese Lucia Chiarla che affronta uno tra i temi più scottanti di questi ultimi tempi: il bullismo scolastico e l’identità di genere, quest’ultimo tangenzialmente. Il racconto spazia toccando anche lo stress e la frustrazione delle nostre vite quotidiane, non sempre in linea con quello che avremmo voluto o che ci saremmo aspettati da noi e dagli altri. Lucido. Concorso Progressive Cinema. Voto: 7

Mike (Giuseppe Bonito). Il racconto si apre nel 1971: Mike Bongiorno (Claudio Gioè) è all’apice della popolarità grazie a Rischiatutto e da qui, attraverso il pretesto di un’intervista televisiva condotta dal giornalista Sampieri, si snodano a ritroso i capitoli più significativi della sua parabola esistenziale, dalla pericolosa militanza nella resistenza partigiana al complicato rapporto con il padre Philip… Prima di due puntate di una minisere televisiva targata RAI – almeno una spanna sopra la media dei prodotti dell’emittente nazionale – diretta dal regista de L’arminuta, in occasione del centenario della nascita del celeberrimo presentatore televisivo. Claudio Gioè ne fornisce un’interpretazione strabiliante, che rifugge gli eccessi di tanti imitatori del passato, ma che si concentra sulle pause e sugli accenti del Bongiorno originale. Tratta da “La versione di Mike”, autobiografia scritta insieme al figlio Niccolò, la fiction è assolutamente dignitosa, ha delle interessanti musiche di Giuliano Taviani e Michele Travia, che le conferiscono un ritmo non indifferente ed è un sincero omaggio ad uno dei padri putativi della televisione italiana. Sincero. Special screenings. Voto: 7

Il mio compleanno (Christian Filippi). “Preso in prestito” dall’ultima Mostra del Cinema di Venezia nell’ambito di Biennale College, è uno sguardo vivissimo su una generazione a cui non è concessa la libertà di sbagliare.  Riccardino sta per compiere 18 anni nella casa famiglia in cui vive. Da quattro anni è stato separato dalla madre, una donna con forti disturbi di personalità. Nonostante la premurosa e attenta guida della sua educatrice, che, per simili esperienze pregresse, desidera per lui un futuro al sicuro nella casa famiglia, Riccardino decide di scappare per raggiungere sua madre e vivere con lei. La sua illusione presto si trasformerà in un’amara realtà e Riccardino dovrà fare una scelta molto difficile… Un tema radicale che evidenzia il corpo a corpo con il mondo adulto, che sempre più tende a ignorare il dibattito culturale con i ragazzi. Christian Filippi, asseconda senza giudicare la profonda complessità di chi sta cercando il proprio posto nel mondo. Filippi vede nell’età incompiuta una dimensione in cui si sperimenta una fondamentale alternativa esistenziale. Una menzione al bravissimo Zackari Delmas. Coinvolgente e riuscito. Alice nella città Panorama Italia Opera prima. Voto: 7

I nipoti dei fiori (Aureliano Amadei). Chi sono i nipoti dei fiori? Sono la generazione successiva ai figli dei fiori, agli hippie, i pargoli cresciuti in totale libertà al seguito dei propri madri e delle proprie madri in giro per il mondo alla ricerca di conoscenza, come anche di oppio e coca, per approfondirla. Una pletora in media di quarantenni quasi allo sbando, dai nomi improbabili (Ram, Amaranta, Icaro…), con i quali lo stesso Amadei ha convissuto l’infanzia. Insieme a lui sono a chiedersi a quali pericoli siano stati esposti e quali abbiano invece scampati, cercando di superare in trasgressione i genitori. E sono anche a chiedersi che cosa ne sia stato di quella rivoluzione degli anni sessanta/settanta e che genitori siano oggi loro stessi. Il racconto è spigliato e divertente, anche se spesso ci si rende conto insieme ai protagonisti di come ci sia in realtà molto poco da ridere e di come paradossalmente si trovino oggi ad essere molto meno permissivi nei confronti dei loro figli, quasi a voler colmare le lacune subite nell’infanzia e nell’adolescenza. Post-rivoluzionario. Special screenings. Voto: 7

Reading Lolita in Teheran/Leggere Lolita a Teheran (Eran Riklis). Dopo la rivoluzione iraniana iniziata nel 1978, molti espatriati fecero ritorno nel paese, fiduciosi nel cambiamento. Tra questi Azar Nafisi, insegnante universitaria di letteratura, che però dovette scontrarsi con il severissimo nuovo regime. Cercando di far conoscere classici occidentali, come “Lolita” e “Il grande Gatsby”, naturalmente vietati, la donna si allontana dall’università e nel corso degli anni raduna segretamente sette delle sue studentesse per leggere e commentare quei libri proibiti… Tratto dal libro della stessa Nafisi, interpretata da Golshifteh Farahani, e diviso anch’esso in quattro capitoli dedicati ai tomi toccati, il film racconta la difficile condizione delle donne (e non solo) nell’Iran degli anni tra i settanta e i novanta del secolo scorso. Il risultato, diretto dall’israeliano Riklis, è a tratti coinvolgente e commovente, ma in diversi momenti assume un occhio troppo occidentale per risultare credibile fino in fondo. Importante. Concorso Progressive cinema. Voto: 7

Saturday night (Jason Reitman). 11 ottobre 1975. Sta per andare in onda lo show che cambierà tutti gli show televisivi. Lo spettacolo che lancerà talenti ineguagliabili, alcuni destinati purtroppo a durare pochi anni ancora. Si tratta del Saturday Night Live e dei novanta minuti che precedettero la messa in onda in quell’autunno di ormai quasi cinquant’anni fa. I talenti sono Chevy Chase, Dan Aykroyd, John Belushi, Gilda Radner (poi coniugata Wilder), Billy Cristal, Jim Henson, Andy Kaufman e tanti altri. La ventata di novità giunse pure in Italia con i programmi Non stop e La sberla andati in onda pochi anni dopo e figli innegabili di quel caos creativo e benefico. Continui piani sequenza intervallati da scene caratterizzate dal montaggio molto più rapido, una fotografia volutamente “anni settanta” e attori poco conosciuti, ma incredibilmente adesi ai personaggi (il Belushi di Matt Wood è davvero impressionante!) sostengono un film affettuoso, ritmato, ma che alcune volte sembra girare su se stesso e crollare sotto il suo enorme peso. Però a Jason Reitman si vuole bene per mille motivi e la pellicola è talmente irrefrenabile e irresistibile che neanche ci si fa caso. Comicamente devastante. Grand public. Voto: 7

Small things like these (Tim Mielants). Nel 1985 Bill Furlong (Cillian Murphy), padre devoto e carbonaio, scopre inquietanti segreti custoditi dal convento locale e porta alla luce sconvolgenti verità, cortocircuitando con ricordi d’infanzia ormai sepolti da tempo… Il regista di Peaky blinders dirige l’attore della stessa serie, qui anche produttore, portando sullo schermo l’omonimo romanzo di Claire Keegan, per raccontare le tristemente note “Magdalene laundries”, istituiti gestiti dalla chiesa in cui le ragazze madri venivano sfruttate e i loro figli sottratti e venduti. Murphy fronteggia un’arcigna Emily Watson (premiata all’ultimo Festival di Berlino) in una storia di speranza e riscatto. Un film rigoroso, intenso e cupo, con attori come sempre bravissimi. Best of 2024. Voto: 7 

Supereroi (Stefano Chiantini). Jenny (Sara Silvestro) è una aspirante nuotatrice di talento. Non ha un gran rapporto con suo padre Alvaro (Stefano Pesce), da quando lui ha lasciato la madre Margherita (Barbara Chichiarelli). Ma, quando il genitore ha un ictus, cercherà di occuparsi di lui in tutti i modi, nonostante il carattere burbero, fino a scoprire un segreto che la riguarda, noto a tutti, ma che lei ignorava… Nuovo film di Stefano Chiantini impegnato su dinamiche famigliari complesse in nuclei disfunzionali. La scrittura però è lieve e accurata, i personaggi sono ben descritti e gli attori bravi davvero in parte (anche se Pesce ormai interpreta sempre se stesso). Si sorride e ci si commuove in questa pellicola decisamente riuscita, rafforzata dalla tematica sportiva, che riserva anche qualche piccolo colpo di scena. Resistente. Grand public. Voto: 7

The Count of Monte Cristo (Bille August). La serie televisiva in otto puntate, di cui abbiamo visto una sintesi dei primi episodi, più un prossimamente dei successivi, conferma come il romanzo di Alexandre Dumas e Auguste Maquet, dopo almeno venti versioni, abbia ancora qualcosa da dire. La trama non ha bisogno di essere  riassunta, se non per dire come sia una storia di tradimento, vendetta e riscatto, ma anche perdono, ancora valida dopo quasi duecento anni dalla sua pubblicazione. La coproduzione tra Francia e Italia vede tra gli interpreti anche i nostri Michele Riondino e Lino Guanciale, rispettivamente nei ruoli di Jacopo e Vampa. Il britannico Sam Claflin è un credibilissimo e temibilissimo Edmond Dantès. Freestyle Serie. Voto: 7

We live in time (John Crowley). Lei (Florence Pugh) è una rinomata chef; lui (Andrew Garfield) non si capisce bene che cosa faccia, ma ha a che fare con i cereali Weetabix e lo fa molto bene. Il film ci racconta la loro storia, di come si siano letteralmente scontrati la prima volta (lei investì lui), del cancro affrontato da lei, della loro figlia che inizialmente lei non voleva, della recidiva tumorale che potrebbe porre fine ai giochi. John Crowley ci narra questa parabola, un’altro racconto di formazione, puntando il dito sulla qualità di vita, sull’importanza delle nostre scelte, sugli obiettivi piccoli da porci, su come sia fondamentale “vivere nel nostro tempo”. E, anche se a volte sconfina nel lezioso, fa tutto con due attori straordinari, veri, sinceri, credibili. Contemporaneo. Grand public. Voto: 7

Blitz (Steve McQueen). Durante i bombardamenti su Londra nella Seconda Guerra Mondiale, il piccolo George viene inviato al sicuro dalla madre. Ma nel viaggio di trasferimento in treno fugge, affrontando una serie di avventure nel tentativo di tornare a casa… Sorta di “Oliver Twist” aggiornato alla metà del secolo scorso, il film ha una confezione molto curata, ottimi interpreti e diversi momenti altamente poetici, ma si affida ad una scrittura meccanica che procede per accumulazione, senza una reale crescita del personaggio. Un coming-of-age un po’ stitico da un regista dal quale ci si sarebbe aspettati molto di più… Trattenuto. Grand public In collaborazione con Alice nella città. Voto: 6 e ½

Ferrari: Fury & the monster (Steve Hoover). Documentario incentrato principalmente sull’ingegnere Mauro Forghieri, scomparso nel 2022, eminenza grigia del marchio Ferrari, ideatore del celeberrimo modello GTO, poi chiamato a fondare la scuderia corse della Lamborghini, attorno al quale ruotano tutti gli altri personaggi della storia, a partire da Enzo, passando per Niky Lauda, Gilles Villeneuve e tanti altri che raccontano o ne hanno fatto la storia. Una visione diversa del mito, interessante, ma non troppo. Special screenings. Voto: 6 e ½

Hey Joe (Claudio Giovannesi). Il titolo è l’espressione con cui i soldati “ammericani” venivano apostrofati dagli abitanti di Napoli durante e dopo la guerra per proporre loro qualche affare più o meno losco, fosse sesso o altro, quando si aggiravano numerosi in città… Dean (James Franco) è uno di loro e quando conosce Lucia se ne innamora, anche se poi è costretto a partire. Nel 1971 con tredici anni di ritardo riceve un telegramma che lo informa della morte della ragazza e dell’esistenza di un figlio, Enzo, che vorrebbe conoscerlo. Dean si reca a Napoli, dove trova un giovane uomo ostile, colluso con la malavita, e una città che non riconosce più… Hey Joe è un film dalle potenzialità elevate sulla carta, che però mantiene molto meno di quanto prometta. I personaggi sono solo abbozzati e il rancore o l’amore nutriti sono troppo poco credibili lungo tutto quel tempo trascorso solo per un disguido. La fotografia di Daniele Ciprì impreziosisce una pellicola che, nonostante l’accurata ricostruzione storica, ha le gambe troppo corte per reggere fino in fondo, per quanto riesca ad avere un guizzo finale che le restituisce dignità. Grand public. Voto: 6 e ½

La pie voleuse/La gazza ladra (Robert Guédiguian). Maria (Ariane Ascaride) lavora come badante presso diversi anziani, che nutrono nei suoi confronti il massimo della fiducia e dell’affettox. Quello che nessuno sa è che Maria arrotondi sottraendo soldi ai suoi datori di lavoro per pagare le costose lezioni di pianoforte al talentuoso nipotino. Quando, complice qualche imprevisto, verrà scoperta, si innescheranno una serie di inarrestabili cortocircuiti famigliari. Il regista riflette sulle debolezze della vita quotidiana, gli errori e le illusioni, primo fra tutte l’amore. Il tono è sempre leggero, la pennellata delicata e, alle prese con i suoi attori del cuore, Guédiguian si trova pienamente a suo agio. E, anche se a volte il ritmo latita un po’, il risultato nel complesso si lascia vedere. Rossiniano. Grand Public. Voto: 6 e ½

Luce (Silvia Luzi e Luca Bellino). Una giovane operaia (Marianna Fontana) in un Sud Italia non ben definito riesce a far pervenire tramite drone un cellulare in carcere al padre (Tommaso Ragno) . La necessità di un contatto genitoriale si scontra pure con la più bieca realtà. Di lui sentiamo anche noi solo la voce. Ma ci basta… Film di impianto fortemente teatrale, proprio per la necessità drammaturgica di far pesare l’assenza paterna o la presenza virtuale se non falsa. E che paga lo scotto di una tale scelta, restando, pur volutamente mutilato. Una sorta di “Aspettando Godot” in cui il personaggio in questione sembra esserci, ma in realtà non verrà mai. Alla fine, un’occasione sprecata, ma due prove attoriali, una solo in voce, magistrali. Ambizioso. Alice nella città Fuori concorso. Voto: 6 e ½

McVeigh (Mike Ott). Il 19 aprile 1995, alle 9 del mattino, un furgone carico di esplosivo, parcheggiato davanti all’Alfred P. Murray Federal Building di Oklahoma City, saltò in aria provocando 168 morti e più di 600 feriti. Un’ora e mezza dopo verrà fermato Timothy McVeigh, ventisettenne sottufficiale reduce dalla Guerra del Golfo, di simpatie suprematiste, incline alla violenza delle armi e desideroso di vendicare i martiri di Waco. Il film di Mike Ott ne ricostruisce la cronaca in maniera fredda, onde evitare qualsiasi coinvolgimento, ma fin troppo per agganciare il pubblico. Ne esce fuori un film raggelato, straniante, ma non del tutto convincente, malgrado la buona interpretazione del protagonista Alfie Allen. Freestyle film. Voto: 6 e ½

Sharp corner (Jason Buxton). Josh (Ben Foster), padre di famiglia e dirigente d’azienda e sua moglie Rachel (Cobie Smulders)  si trasferiscono col loro figlioletto in una nuova casa in campagna, lontano dalla città. Ma di fronte alla loro abitazione c’è una curva maledetta, causa, come scoprono, di numerosi e gravi incidenti. Josh resta presto ossessionato dal voler salvare quelle vite innocenti e, mentre la sua vita professionale e famigliare va in disfacimento, arriva anche a provocare sciagure intenzionalmente, pur di poter intervenire… Ottima prova di Ben Foster in un film che però, come spesso accade nelle storie di ossessioni, non trova un suo equilibrio. La storia dell’uomo e della sua mania per essere maggiormente credibile sarebbe dovuta essere narrata più nei dettagli, facendoci identificare col protagonista, cosa che Jason Buxton non riesce a fare, lasciandoci una pellicola interessante, ma di fatto incompiuta. Maniacale. Grand public. Voto: 6 e ½

Under a blue sun (Daniel Mann). Bashir Abu Rabia è oggi un pittore palestinese/beduino settantacinquenne che vive nel deserto del Negev. Nel 1988 partecipò come tecnico degli effetti speciali alla realizzazione di Rambo III di Peter MacDonald, dove Sylvester Stallone combatteva a fianco dei Mujaheddin afghani contro i sovietici… Il documentario  di Daniel Mann vuole smontare diverse menzogne, mostrando come fin da allora si intrecciassero in maniera inquietante la finzione dei set cinematografici e i set per l’addestramento dell’esercito israeliano. Diventa così una denuncia delle condizioni di coloro che abitano quella regione, oggi più delicata che mai, privati della propria terra e vittime, a partire dal 1948, di una discriminazione sempre più disumana. Freestyle Film. Voto: 6 e ½

Under the volcano (Damian Kocur). Candidato per la Polonia all’Oscar per il miglior film internazionale, Under the volcano è uno scavo profondo sul senso di colpa, verso sé stessi e il proprio Paese. Opera seconda del regista polacco Damian Kocur, la pellicola racconta la storia di una famiglia ucraina allargata che trascorre l’ultimo giorno di vacanza a Tenerife. Non sanno ancora che il giorno dopo la loro vita cambierà completamente. Una volta arrivati all’aeroporto, il loro volo viene cancellato: la Russia ha invaso l’Ucraina. Intrappolati sull’isola, da un giorno all’altro i turisti diventano rifugiati. Sorta di “Odissea” senza il ritorno dell’eroe, il film affronta il tema della guerra tra Russia e Ucraina da un originale punto di vista, aumentando così le tematiche in gioco. Non riesce però a bilanciare tutti i registri, scadendo nel melodrammatico senza trovare una sua strada. Alice nella città Concorso. Voto 6 e ½

On becoming a Guinea fowl (Rungano Nyoni). Shula (Susan Chardy), in macchina nel bel mezzo della notte, verosimilmente di ritorno da una festa, trova in mezzo alla strada il cadavere di suo zio. Cerca di avvertire il padre, ma l’accaduto non sembra interessare più di tanto. In occasione del funerale emergeranno segreti di famiglia che anche lei aveva dimenticato… Film co-prodotto tra Regno Unito, Zambia e Irlanda, che alterna toni grotteschi, fin dall’inizio, ad altri più drammatici, senza riuscire a colpire a fondo. L’animale del titolo, il “guinea fowl”, è il Faraone o, al femminile, la Faraona, che, col suo grido d’allarme cercherebbe di proteggere i suoi simili dai predatori. Lo stesso che nel finale Shula, liberata, emetterà insieme alle altre donne. Grottesco. Best of 2024. Voto: 6

Sauvages/Savages (Claude Barras). Nel Borneo, ai margini della foresta tropicale, Kéria riceve un cucciolo di orango salvato dalla piantagione di palme da olio in cui lavora suo padre. Allo stesso tempo, il suo giovane cugino Selaï è venuto a vivere con loro, cercando rifugio dal conflitto tra la sua famiglia nomade e le compagnie di disboscamento. Con la loro foresta ancestrale più minacciata che mai, Keria, Selaï e la piccola scimmia, ora chiamata Oshi, dovranno affrontare molti ostacoli nella loro battaglia contro la distruzione pianificata.
Savages è una riflessione sul senso di comunità, sulla lotta, sulla ribellione e su quello che è lecito fare per non farsi schiacciare dal sistema capitalista che in questo caso, nel Borneo, sta distruggendo intere foreste cancellando popoli e tradizioni ancestrali. Per quanto sia bellissima l’elaborata realizzazione in claymation e malgrado le lodevoli intenzioni iniziali, per il resto la pellicola riesce ad attrarre poco l’interesse dello spettatore, svolgendosi lungo una trama piatta e prevedibile. Un’occasione sprecata. Alice nella città Proiezioni speciali. Voto: 6

Eterno visionario (Michele Placido). Durante il viaggio in treno da Amburgo a Oslo per ritirare il premio Nobel per la letteratura nell’autunno del 1934, Luigi Pirandello è colto da ricordi, dubbi e rimpianti. Dal difficile rapporto con la moglie Antonietta, malata di mente, a quello con la giovane attrice Marta Abba, da quello non semplice con i tre figli all’accoglienza infausta da parte del pubblico e della critica di opere come “Sei personaggi in cerca d’autore”… Il film di Michele Placido ha innanzitutto un problema di verosimiglianza per la scelta infelice di far recitare Bentivoglio e Bruni Tedeschi con i propri accenti, senza un minimo di lavoro sul personaggio, con la conseguenza di vedere sullo schermo solo gli attori e non i protagonisti della storia. Tale scelta, inspiegabile, relega il risultato a quello di una sciatta fiction televisiva, dopo un inizio interessante e decisamente visionario. Un’occasione sprecata. Grand public. Voto: 5

Mani nude (Mauro Mancini). Una notte il diciottenne David (Francesco Gheghi) viene misteriosamente rapito all’improvviso e rinchiuso nella buia centina di un camion, dove viene costretto a combattere a “mani nude” per sopravvivere. Ucciso il suo avversario, viene obbligato ad altri combattimenti, mentre Minuto (Alessandro Gassman), uno dei suoi rapitore, ne diventa il padre putativo, allenandolo e facendolo entrare in un circuito di combattimenti clandestini che soddisfino la sete di sangue degli spettatori. Ma anche Minuto ha un segreto, che riguarda pure David… Mauro Mancini continua la sua idea di cinema “ideologico”, dopo Non odiare, sempre con Gassman, in cui un medico ebreo si rifiutava di soccorrere un giovane neonazista. Qui è tutto irreale,  in una sorta di Fight club “coatto” (in tutti i sensi) ed anche la spiegazione nel prefinale appare ancora più astratta. Francesco Gheghi ripete le faccette stupite che ha già esibito in altri film recenti, lì con maggiore successo, e Alessandro Gassman recita ai minimi storici, con un tono quasi gutturale, forse per sembrare più cerbero. Manesco. Grand Public. Voto: 5

Paradiso in vendita (Luca Barbareschi). François (Bruno Todeschini), losco ambasciatore del governo francese, viene inviato sull’immaginaria isola italiana di Fenicusa, in Sicilia, poiché i nostri cugini d’oltralpe desiderano acquistarla a fini speculativi. L’impatto con gli ostinati abitanti del luogo non sarà dei più facili… Luca Barbareschi dirige (e non interpreta) un film piuttosto banalotto, scritto veramente male, una favola/farsa destinata a finire, sin dall’inizio, a tarallucci e vino. A salvare la pellicola non basteranno le interpretazioni di Bruno Todeschini, Donatella Finocchiaro e Domenico Centamore, né gli splendidi paesaggi naturali. La affossano invece i continui luoghi comuni su italiani e francesi, reciprocamente lanciati addosso dagli uni contro gli altri. Da segnalare solo il pre-finale ribelle e colorato, ma è una goccia nell’oceano, anzi, nel Mar Mediterraneo dell’ovvio. Imbarazzante che sia stato incluso nella Selezione ufficiale Concorso Progressive cinema. Voto: 5

Fino alla fine (Gabriele Muccino). La giovane americana Sophie (Elena Kampouris), di passaggio in vacanza con la sorella a Palermo, conosce fatalmente Giulio (Saul Nanni), bel ragazzo spigliato, che le presenta il suo gruppo di amici. Tra i due scatta subito il colpo di fulmine, ma l’idillio verrà presto turbato: uno dei quattro, per un recente passato in carcere, ha un debito con uno spietato criminale dell’Europa dell’Est, il quale li obbliga a compiere una rapina ad un portavalori… Debutto di Gabriele Muccino nel cinema di genere. L’action-thriller? No, la fantascienza! Fin dall’inizio al malcapitato spettatore sono richieste dosi massicce di sospensione dell’incredulità, se non il completo annientamento. Eventi che evolvono (in peggio) senza un senso reale o almeno mostrato, con la sprovveduta Sophie che alla fine prenderà decisioni ciniche e spietate come il peggior malvivente sulla faccia della terra, per poi riprendere l’aereo per la California come se nulla sia stato. Una sorta di versione 2.0 e peggiorata di Mafioso di Alberto Lattuada, ma con una protagonista ancor più ignara e inconsapevole. Il peggior film del regista, so far. Irrealistico. Gran public. Voto: 4

CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA
Una giuria presieduta dal regista, sceneggiatore e produttore Pablo Trapero, affiancato dalla montatrice Francesca Calvelli, l’attrice francese Laetitia Casta, la produttrice Gail Egan e lo scrittore e sceneggiatore Dennis Lehane ha assegnato i seguenti riconoscimenti ai film del Concorso Progressive Cinema:
– Miglior film: BOUND IN HEAVEN di Huo Xin
– Gran Premio della Giuria: LA NUIT SE TRAÎNE di Michiel Blanchart
– Miglior regia: MORRISA MALTZ per Jazzy
– Miglior sceneggiatura: CHRISTOPHER ANDREWS per Bring Them Down
– Miglior attrice – Premio “Monica Vitti”: ÁNGELA MOLINA per Polvo serán
– Miglior attore – Premio “Vittorio Gassman”: ELIO GERMANO per Berlinguer. La grande ambizione
– Premio speciale della Giuria: al cast femminile di READING LOLITA IN TEHRAN (LEGGERE LOLITA A TEHERAN)

MIGLIORE OPERA PRIMA
Una giuria presieduta dalla regista e sceneggiatrice Francesca Comencini affiancata dalla produttrice, compositrice e scrittrice Kaili Peng e dall’attore Antoine Reinartz ha assegnato – fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public – il Premio Miglior Opera Prima ai film:
– BOUND IN HEAVEN di Huo Xin (sezione Progressive Cinema) – ex aequo
– CIAO BAMBINO di Edgardo Pistone (sezione Freestyle) – ex aequo
È stata inoltre assegnata una Menzione speciale all’attore Liu Hsiu-Fu per Pierce di Nelicia Low.

PREMIO DEL PUBBLICO FS
Fra i titoli del Concorso Progressive Cinema, gli spettatori hanno assegnato il Premio del Pubblico FS, Official Sponsor della Festa, al film:
– READING LOLITA IN TEHRAN (LEGGERE LOLITA A TEHERAN) di Eran Riklis

PREMIO MIGLIOR FILM DEL CONCORSO DI ALICE NELLA CITTÀ
BIRD di Andrea Arnold
Il riconoscimento è stato assegnato da una giuria di trentacinque ragazzi di età compresa tra i 16 e 19 anni.
Motivazione – Una storia capace di rappresentare le sfide dell’adolescenza, rispecchiando la nostra visione e i nostri valori. Un racconto universale che esplora il complesso e solitario percorso di crescita, guidato dalla costante ricerca di libertà

PREMIO RAFFAELLA FIORETTA PER IL MIGLIOR FILM ITALIANO DEL PANORAMA ITALIA
“NO MORE TROUBLE – COSA RIMANE DI UNA TEMPESTA” di Tommaso Romanelli
Assegnato dalla giuria composta da Riccardo Milani (Presidente), Lucia Ocone (attrice), Luna Gualano (regista), Annamaria Granatello (Premio Solinas), Federica Luna Vincenti (attrice, produttrice, compositrice).
Il premio comprende un riconoscimento di 3.000 euro che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.
Motivazione – “No More Trouble” è la storia vera di un padre che non c’è più, raccontata da un bellissimo documentario di enorme impatto emotivo, dove i materiali di repertorio, spesso filmini di famiglia, hanno la stessa forza del materiale girato. Romanelli mostra una grande capacità di costruzione della tensione narrativa che si mescola e cresce con il dolore per un destino sconosciuto e terribile. Una storia dove si racconta che coltivare una passione autentica è anche coltivare l’amicizia, dove la costruzione di una barca diventa la continuazione della vita. Una storia di amore per il mare e sul tempo che passa e il dolore che non se ne va. Un documentario che colpisce così alla testa e al cuore.

Menzione speciale a: “IL MIO COMPLEANNO” di Christian Filippi
Motivazione – Un piccolo miracolo, opera prima sorprendente e universale del regista Christian Filippi che mette in scena due esistenze dolorose e contemporanee: quella di una madre, con forti disturbi della personalità, e di suo figlio che troverà il coraggio e la forza di andare avanti e di ricostruire il suo mondo, da solo.

PREMIO COLORADO-RAINBOW MIGLIOR OPERA PRIMA
RITA di Paz Vega
Un premio per il sostegno alla distribuzione che punta alla ricerca del talento e del cinema che verrà, assegnato da uno dei player più attivi e attenti a nuovi generi, a nuovi target e a nuove platee internazionali.

PREMIO RB CASTING AL MIGLIOR GIOVANE INTERPRETE ITALIANO
ZACKARI DELMAS per “Il mio compleanno” di Christian Filippi
Il premio è assegnato da una giuria composta da: Moira Mazzantini (Agente), Chiara Natalucci (Casting Director), Carlo Cresto – Dina (Produttore Cinematografico)
Motivazione – Per un’interpretazione imprevedibile eppure mai casuale. Il suo personaggio attraversa, con la stessa autenticità, esplosioni di energia (a tratti anche distruttiva) e momenti di profonda tenerezza, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza di empatia straordinaria.
La grande naturalezza che ha dato al personaggio di Riccardo non nasconde tuttavia l’attenta ricerca, lo studio e la formazione di un attore che, per quanto giovane, si distingue già come un solido professionista.

MENZIONE SPECIALE UNITA UNDER 35 AL MIGLIOR INTERPRETE DEL PANORAMA ITALIA
ZACKARI DELMAS per “Il mio compleanno” di Christian Filippi
Il riconoscimento è stato assegnato dal collettivo di UNITA per dare luce alle nuove generazioni.
Motivazione – Per l’intensità, la qualità emotiva e l’intelligenza attoriale che lo hanno abitato nell’interpretare il giovane e tormentato Riccardo. UNITA, particolarmente sensibile al talento e alla promozione delle nuove generazioni è felice di essere madrina di questo premio.

PREMIO DEL PUBBLICO CIAK D’ORO NELLA SEZIONE ONDE CORTE
AL BUIO di Stefano Malchiodi
Nella piccola isola di Lipari, Claudio, un ragazzo di vent’anni, vive alla giornata, occupando le case dei ricchi disabitate fuori stagione. Una notte incontra una coppia che sta litigando al porto. Claudio si offre di ospitare i due ragazzi, Giulia e Marco, non dicendogli che quella dove vive non è casa sua. Questo, unito a una sintonia immediata che nasce con Giulia, darà inizio a una serie di eventi che metterà in dubbio le certezze di ognuno di loro, cambiandoli per sempre.

PREMIO NOTORIOUS PROJECT MIGLIOR CONCEPT
Per la categoria Series: “UDON ALLA CARBONARA” di Edoardo Bigazzi
Motivazione – Con umorismo e un pizzico di disillusione, in un’arena originale, la serie vincitrice esplora le frustrazioni di un giovane neo-dottorato in bilico tra le altissime aspettative familiari e la precarietà del mondo lavorativo, offrendo così uno spaccato contemporaneo, giovane e multiculturale, di cosa significa avere trent’anni oggi.
Per la categoria Movie: “RAINBOW GLOVES” di Andrea Gravagnuolo e Gianluca Cravero
Motivazione – A convincere è stato un racconto di formazione incredibilmente autentico e inaspettato. Sfruttando l’arena sportiva già collaudata del pugilato, ha saputo trasformarla in un’occasione per raccontare la battaglia identitaria di un ragazzo, di una comunità e di un’intera generazione alla ricerca del proprio posto nel mondo.

PREMIO SIAE PER IL MIGLIOR PROGETTO UNBOX ITALIA
SPARARE ALLE ANGURIE di Antonio di Donato
Assegnato nell’ambito degli Shorts Film Days al miglior progetto presentato nel corso del laboratorio Unbox. Al vincitore verranno riconosciuti 3000 euro per lo sviluppo del soggetto. 

Dal nostro inviato Paolo Dallimonti