Centraldocinema in diretta
dal Lido di Venezia
(2017)
vi seguiamo giorno per giorno durante il festival
con recensioni e commenti
di Luca Baroncini
Centraldocinema si conferma sul pezzo e anche quest’anno garantisce un filo diretto con una delle vetrine più importanti del cinema mondiale, trampolino di lancio, grazie alla rinnovata edizione Barbera, dei film più premiati dell’anno. Pensiamo all’anno scorso e al magnifico La La Land. Ne ha fatta di strada il film di Damien Chazelle dopo l’apertura al Lido in prima mondiale. È arrivato a vincere 6 Oscar e a perdere quello più importante solo perché doveva andare così e Hollywood non poteva attribuire il massimo premio a un film in fondo leggero e non impegnato sui sempreverdi temi del momento. Comunque sia La La Land resterà nel tempo, Moonlight ce lo siamo già dimenticati.
È grande, quindi, l’attesa, soprattutto per il film di apertura, raramente fuori dai più importanti e prestigiosi palmares. Ma tutto il programma, in concorso e non, sulla carta sembra poter riservare ghiotte sorprese: Guillermo del Toro, Paolo Virzì, George Clooney, Stephen Frears, Darren Aronofsky, Abdellatif Kechiche, Silvio Soldini, John Woo, Takeshi Kitano. E questo spizzicando qua e là e senza contare exploit e sorprese. Insomma, che volere di più?
Per quanto riguarda la struttura del diario, ogni giornata vedrà trattati i film visti, quasi sempre quelli in concorso ogni tanto anche altro, mostrando la SINOSSI e il COMMENTO DEL REGISTA presi dal catalogo (è finito il tempo dell’enorme tomo cartaceo, ora è tutto online) a cui aggiungo il mio COMMENTO PERSONALE, una sorta di mini rece: di pancia, dati i tempi ristretti, ma il più possibile ragionata.
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Mercoledì 30 agosto 2017
Il primo giorno di festival e di come la realtà modifica le aspettative.
Ti piace molto Alexander Payne, hai amato il suo Election, nel tempo lo hai un po’ ridimensionato, ma pensi che come regista e sceneggiatore abbia una sensibilità e una capacità di filtrare la realtà superiore alla media, aspetti quindi con ansia il nuovo Downsizing di cui hai visto l’incipit a Ciné (a Riccione, dove vengono presentati i listini autunnali delle case di distribuzione cinematografica). Purtroppo la delusione è cocente: idea geniale, sviluppo del racconto in caduta libera fino a un finale decisamente imbarazzante.
Non conosci particolarmente Susanna Nicchiarelli, ma sei un po’ scettico sul tentativo italiano di aprirsi al mercato internazionale attraverso un’opera come Nico, 1988, incentrata sulla celeberrima cantante dei Velvet Underground e musa di Andy Wharol. Invece la regista italiana riesce nel miracolo e l’apertura di Orizzonti si rivela migliore di quella del Concorso.
Ma entriamo brevemente nel merito di entrambi i film attraverso le informazioni che il catalogo ci riserva.
DOWNSIZING
Usa / 135’
lingua Inglese
cast Matt Damon, Christoph Waltz, Hong Chau, Kristen Wiig
SINOSSI
Downsizing immagina cosa accadrebbe se, per rispondere al problema della sovrappopolazione, alcuni scienziati norvegesi scoprissero come rimpicciolire le persone a una decina di centimetri di altezza, e proponessero di attuare questa soluzione nel giro di duecento anni. Rendendosi presto conto dei vantaggi economici del mondo in miniatura, e con la promessa di una vita migliore, il signor Paul Safranek e la moglie Audrey decidono di abbandonare la loro stressante esistenza a Omaha, per rimpicciolirsi e trasferirsi in una nuova comunità in miniatura. Ma si imbarcheranno in un’avventura che cambierà la loro vita per sempre.
COMMENTO DEL REGISTA
L’ultima cosa che voglio scrivere è il “commento del regista”. Antonioni era solito protestare: “Non vi rendete conto che ogni cosa che dico limiterà la vostra esperienza del film, invece di facilitarla?” Quindi sarò breve. Io faccio commedie, e questa idea è venuta al mio coautore Jim Taylor e a suo fratello: hanno pensato quanto si vivrebbe meglio se ci potessimo rimpicciolire, quanto sarebbero ampie le case in uno spazio così piccolo, quanto poco costerebbe il cibo e così via. Quando ho proposto a Jim di considerare l’idea come una soluzione per la sovrappopolazione e il cambiamento climatico, l’idea si è trasformata in una fantastica lente attraverso cui osservare molte cose che ci interessano, divertono e disgustano del mondo contemporaneo. Ma ho già parlato troppo.
COMMENTO PERSONALE
Un’opera che dopo un inizio spumeggiante si perde per strada e spreca una bella idea in un nulla di fatto. Poco altro da aggiungere, devo sbollire la delusione. Ah, qui al Lido in pochi si sbilanciano, se chiedi com’è il film di Payne cominciano a parlare del tempo.
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NICO, 1988
Italia, Belgio / 93’
cast Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi, Karina Fernandez, Calvin Demba
SINOSSI
A quasi 50 anni, la cantante e musicista Nico conduce una vita solitaria e appartata a Manchester, molto diversa da quella sfavillante che viveva negli anni sessanta, quando era una modella dalla bellezza leggendaria, musa di Warhol e vocalist dei Velvet Underground. Non le importa più molto del suo aspetto e della sua carriera, ma grazie al suo nuovo manager, Richard, ritrova la motivazione per partire in tour e tornare a esibirsi in giro per l’Europa. Tormentata dai suoi demoni e dalle conseguenze di una vita scombinata, Nico prova a ricostruire un rapporto con il figlio, la cui custodia le era stata tolta molti anni prima. Musicista coraggiosa e intransigente, la sua è la storia di una rinascita: di un’artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona.
COMMENTO DELLA REGISTA
Mi sono innamorata di Nico per la sua intelligenza e ironia, ed ho cercato di raccontare la sua storia con la distanza necessaria e senza sentimentalismi, come credo – o spero – l’avrebbe raccontata lei. La musica di Nico è stata di gran lunga una delle produzioni più interessanti del periodo, e il contrasto tra le sue canzoni e le situazioni assurde di un tour male organizzato mi ha dato la possibilità di mostrare come la storia di Nico, come quella di tutti noi, fosse costantemente sospesa tra il dramma e la farsa. Attraverso la sua musica, le sue parole e le sue azioni, ho reinventato la donna che ho immaginato ci fosse dietro alla star di una volta.
COMMENTO PERSONALE
Tentativo riuscito di scavare in un personaggio scegliendo un momento preciso della sua vita. Non una biografia tradizionale, quindi, ma una scelta di campo ben precisa che si traduce nell’essere testimone degli ultimi anni di vita di un’icona quando il successo è ormai dietro alle spalle. Scelta che si rivela vincente, perché in grado di trasmettere piccole verità che sommate tra loro concorrono a formare un ritratto a tutto tondo. Una piccola sorpresa, forse anche perché del tutto inaspettata. Gli auguriamo tanta strada.
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Giovedì 31 agosto 2017
Dopo l’apertura senza il botto, o con il botto parziale, o, meglio, con il botto inatteso, si entra nel vivo della manifestazione con tre film completamente diversi: l’attesissimo The Shape of Water di Guillermo del Toro, il libanese The Insult di Ziad Doueiri e First Reformed di Paul Schrader. Non sarà troppo per una sola giornata?
THE SHAPE OF WATER
Usa / 119’
cast Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer
SINOSSI
The Shape of Water è una favola ultraterrena ambientata intorno al 1962 sullo sfondo dell’America della Guerra Fredda. All’interno del remoto laboratorio governativo di massima sicurezza dove lavora, la solitaria Elisa è intrappolata in una vita di silenzio e isolamento che viene cambiata per sempre quando lei e la sua collega Zelda scoprono un esperimento segreto.
COMMENTO DEL REGISTA
Le favole sono nate in tempi difficili e complessi, quando la speranza sembrava perduta. Ho realizzato The Shape of Water come antidoto al cinismo. Personalmente ritengo che quando parliamo di amore – quando crediamo nell’amore – lo facciamo in modo disperato. Temiamo di apparire ingenui e perfino falsi. Ma l’Amore è reale, assolutamente reale; e, come l’acqua, è la forza più gentile e più potente dell’Universo. È libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al quale è destinato, fino a quando non lo si lascia entrare. I nostri occhi sono ciechi, ma lo stesso non si può dire della nostra anima. Riconosce l’amore in qualsiasi forma arrivi a noi.
COMMENTO PERSONALE
C’è tutta la magia del cinema nell’opera di Guillermo del Toro, attraverso la capacità di raccontare una storia fino in fondo, senza scappatoie e di renderla universale grazie a una regia che trova un equilibrio difficilissimo tra le ragioni del cuore e quelle del critico (il cui cuore, si sa, ha smesso di battere da un pezzo). Non aggiungo altro, se non che si conferma titolo da non perdere. Una fiaba per adulti che fa incontrare due solitudini e ci riconcilia con il cinema, perché dentro c’è proprio tutto, dalle citazioni, al mito, al sentimento. Emoziona, quindi qualcuno avrà sicuramente da ridire.
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THE INSULT
Libano, Francia / 110’
cast Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh, Diamand Abou Abboud, Rita Hayek, Talal El Jurdi, Christine Choueiri, Julia Kassar, Rifaat Torbey, Carlos Chahine
SINOSSI
Nell’odierna Beirut, un insulto spinto agli estremi porta in tribunale Toni, un libanese cristiano, e Yasser, un profugo palestinese. Tra ferite nascoste e rivelazioni traumatiche, il circo mediatico che accompagna il caso porrà il Libano di fronte a una serie di disordini sociali che obbligheranno Toni e Yasser a riconsiderare la loro vita e i loro pregiudizi.
COMMENTO DEL REGISTA
The Insult è stato ispirato da un incidente che mi è accaduto qualche anno fa. Quando guardo indietro, mi rendo conto che questo semplice incidente si sarebbe potuto trasformare in una crisi nazionale. Il Libano è un paese molto complesso, pieno di contraddizioni e di passione. Con Joëlle Touma abbiamo scritto una storia che evoca tanto il nostro passato quanto il nostro presente. Questo è un film sulla giustizia. Cioè quello che Toni e Yasser, i protagonisti, stanno cercando. E la ricerca della giustizia è anche una ricerca di dignità.
COMMENTO PERSONALE
finalmente qualcuno in grado di fare chiarezza sulla polveriera rappresentata dal conflitto tra Israeliani e Palestinesi. Ferite troppo recenti da entrambe le parti impediscono agli animi di razionalizzare ragioni e torti. Il film non solo ce lo spiega, ma ce lo fa vivere attraverso un racconto appassionante. Opera di spessore in grado di lasciare il segno. Non aspettatevi il solito film estetizzante che preferisce alludere, qui si scava sulle ragioni di un conflitto e nessuno ne uscirà indenne. Una sorta di thriller in cui la macchina da presa conferisce dinamicità alle aule di Tribunale in cui i personaggi si affrontano. Da vedere.
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FIRST REFORMED
Regia di Paul Schrader
Usa / 108’
cast: Ethan Hawke, Amanda Seyfried, Cedric Kyles, Victoria Hill
SINOSSI
First Reformed è un film incentrato sulla spiritualità, con Ethan Hawke nella parte del pastore di una piccola chiesa perennemente vuota. Ex cappellano militare, Toller è devastato dalla perdita del figlio, che lui stesso aveva incoraggiato ad arruolarsi nelle forze armate. Travagliato da un forte dissidio spirituale, la sua fede viene ulteriormente messa alla prova quando la giovane Mary e il marito Michael, ambientalista radicale, si rivolgono a lui per aiuto. Consumato dal pensiero che il mondo stia per essere distrutto da grandi e spietate corporation, complici della Chiesa in loschi traffici, Toller decide di intraprendere un’azione molto rischiosa, con la speranza di riuscire a ritrovare la fede provando a rimediare ai torti subiti da tante persone.
COMMENTO DEL REGISTA
Quando ero più giovane, scrivevo e apprezzavo film di argomento spirituale, ma non immaginavo che ne avrei mai diretto uno. Nel 2013, mentre tornavo a casa dopo essere stato a cena con Paweł Pawlikowski, il regista di Ida, ho pensato tra me e me: “È ora che anche io scriva qualcosa del genere”. First Reformed è una sceneggiatura che dentro di me preparavo da quasi cinquant’anni: non appena ho cominciato a scriverla, è arrivata subito perché era già pronta. Sono convinto che un artista non dovrebbe precludere interpretazioni delle proprie opere, ma al contrario evocarle.
COMMENTO PERSONALE
Mi sembra che nei confronti di Paul Schrader ci sia un pregiudizio. Ogni suo film, anche il meno riuscito (vedi The Canyons) deve essere prima di tutto un fottuto capolavoro. Cosa che non sempre è. Se The Canyons era proprio brutto (titoli di testa a parte), l’ultima opera gode di un’ottima interpretazione di Ethan Hawke e di un afflato mistico probabilmente sincero, ma non evita forzature e un assunto abbastanza banale. Ma pare non si possa dire, pena la diffida dei Cahiers.
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Venerdì 1 settembre 2017
Eccoci al primo venerdì ed eccoci alla sindrome da terzo giorno che si traduce più o meno in “cavoli sono via solo da due giorni eppure non mi ricordo più chi sono dove vivo e cosa faccio”. Il festival, e tutti i film in cui si entra e si esce di continuo, ha il potere di mettere il quotidiano tra parentesi e crea un piacevole corto circuito in cui si finisce per dimenticarsi di se stessi. Che volere, in fondo, di più?
Ma veniamo a una delle giornate più attese. Ad attirare oggi curiosi da ogni parte del globo non tanto i film, pur meritevoli, in concorso, ma il contatto diretto con due miti, due personalità che hanno fatto la storia del cinema, due icone di bellezza e bravura: Robert Redford e Jane Fonda, al Lido per presentare la produzione Netflix Our Souls at Night.
Il concorso offre invece il nuovo film di Handrew Haigh (45 anni e Weekend i suoi film più famosi) e l’atteso documentario Human Flow, da più parti, e senza che nessuno ancora lo abbia visto, candidato alla vittoria, soprattutto per i temi caldi affrontati.
OUR SOULS AT NIGHT
Usa / 101’
dal romanzo Our Souls at Night di Kent Haruf
cast Jane Fonda, Robert Redford, Bruce Dern, Matthias Schoenaerts, Judy Greer
SINOSSI
Addie Moore ha una singolare proposta da fare a Louis Waters. Sono entrambi oltre l’età della pensione e vedovi da qualche tempo. Entrambi vivono in una tranquilla città del Colorado dove la cosa migliore è che tutti conoscono tutti. E la cosa peggiore è che tutti conoscono tutti. Anche se sono vicini di casa da molto tempo, la loro conoscenza è poco più che casuale, finché un giorno Addie propone a Louis di dormire insieme, solo per farsi compagnia, per avere qualcuno con cui parlare al buio, per sentire la presenza di un’altra anima accanto a sé, per favorire il sonno. Quando Louis acconsente, Addie è allo stesso tempo sorpresa e felice. Nella penombra della notte riportano alla luce storie rimaste a lungo sepolte, che si raccontano a vicenda. È solo confessandosi il proprio passato che possono liberarsi del senso di colpa per le occasioni perdute – parole ed emozioni pensate ma mai espresse – e superare il devastante effetto che la mancanza d’amore può avere sulla vita, arrivando a provare l’effetto positivo che la riscoperta dell’amore può avere sull’ultimo capitolo dell’esistenza.
COMMENTO DEL REGISTA
L’opera di Kent Haruf ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore per la sua onestà e specificità. Sono stato onorato di adattare il suo ultimo romanzo per lo schermo, e di collaborare con Robert Redford e Jane Fonda nel raccontare questa storia di gente comune così marcatamente specifica e locale: caratteristiche che la rendono universale. Abbiamo scelto gran parte del cast a livello locale, e la storia ci ha dato la possibilità di esplorare le specificità del Colorado orientale: il paesaggio che spinge questi personaggi a stare insieme, le cose che piace loro sentire alla radio, e il concetto senza tempo di famiglia “finta”. Lavorare con questi attori e con questa terra per raccontare la storia di Haruf su quel ciclo di amore e perdita che è la vita, ha rafforzato la mia convinzione che la grande letteratura altro non sia che la nostra vita quotidiana, come è sempre stato.
COMMENTO PErSONALE
Vedere insieme Robert Redford e Jane Fonda è un’immensa gioia, ma il film è poca cosa. Interessante lo spunto di partenza che vede la nascita di un’intesa attraverso la condivisione di due solitudini, ma gli sviluppi finiscono per rientrare in quel genere di ‘cinema della terza età’ dove gli anziani sono più giovani dei giovani, a ottant’anni dormono in tenda, fanno le piroette, riscoprono il sesso, non hanno problemi economici e hanno una marcia in più. Insomma, niente a che vedere con l’essere comuni mortali. Del resto Jane Fonda e Robert Redford non lo sono, ma il target a cui si rivolgono sì. Una produzione che conferma, anche visivamente (fotografia da sit com), il trend in discesa delle ultime produzioni del colosso americano della distribuzione via internet. Sì, sì, proprio Netflix.
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LEAN ON PETE
Di Handrew Haigh
Gran Bretagna / 121’
cast Charlie Plummer, Steve Buscemi, Chloë Sevigny
dal romanzo Lean On Pete di Willy Vlautin
SINOSSI
Lean On Pete segue le vicende di Charley Thompson, quindicenne che sogna una casa, del cibo nel piatto e una scuola da non dover cambiare in continuazione. Ma è difficile trovare un po’ di stabilità, se si è figli di un padre single che si arrangia con lavori precari nei magazzini lungo il Pacifico nordoccidentale. Con la speranza di iniziare una nuova vita, i due si trasferiscono a Portland, in Oregon, dove Charley trova un lavoro per l’estate presso un malconcio addestratore di cavalli e diventa amico di un vecchio cavallo, chiamato Lean on Pete.
COMMENTO DEL REGISTA
La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin è un romanzo straordinariamente umano. Racconta la storia di un ragazzo che si rifiuta di perdere la speranza e il coraggio, nonostante la dura realtà del mondo in cui vive. L’ho trovato immensamente toccante, tenero e mai sdolcinato. Volevo che il film avesse lo stesso senso di purezza e guardasse la vita ai margini della società con onestà e rispetto. All’inizio del romanzo di Willy c’è una citazione di John Steinbeck che dice: “Èpur vero che siamo fragili, brutti, meschini e litigiosi ma, se quel che siamo fosse tutto qui, saremmo scomparsi dalla faccia della terra ormai da millenni.” Durante le riprese del film, ho cercato di tenere sempre presenti queste parole.
COMMENTO personale
Andrew Haigh si conferma attento ai personaggi, il cui destino approfondisce e scava lasciando trapelare una profonda umanità e capacità di analisi delle psicologie e degli stati d’animo evitando tutti i possibili “ismi”. Mostra una grande misura, forse troppa per lasciare il segno. Il protagonista si candida già al Premio Mastroianni e colpisce la capacità di defilarsi dal mainstream di Chloë Sevigny.
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HUMAN FLOW
Di Ai Weiwei
Germania/ 140’
SINOSSI
Più di 65 milioni di persone nel mondo sono state obbligate ad abbandonare le loro case per fuggire da carestie, cambiamenti climatici e guerre, causando il più grande spostamento umano dalla seconda guerra mondiale. Human Flow, epico viaggio cinematografico intrapreso da Ai Weiwei, artista di fama mondiale, offre a questa migrazione umana di massa una potente espressione visuale. Il documentario illustra sia la sconvolgente portata della crisi di rifugiati, sia il suo impatto umano profondamente personale. Girato in ventitre Paesi nel corso di un anno denso di eventi, il film segue una catena di storie disperate che si estende in tutto il globo, coinvolgendo paesi come Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia. Human Flow documenta una disperata ricerca di salvezza, rifugio e giustizia: dai campi sovraffollati di rifugiati alle pericolose traversate dei mari e ai confini segnati dal filo spinato; dallo sradicamento e dalla disillusione al coraggio, alla resistenza e all’adattamento; dall’ossessionante ricordo delle vite abbandonate alle sconosciute eventualità del futuro. Human Flow arriva in un momento cruciale, in cui tolleranza, compassione e fiducia sono più che mai necessarie. Questo film viscerale è la testimonianza dell’indiscutibilità della forza interiore, e pone domande che definiranno questo secolo: la nostra società globale riuscirà a emergere da paura, isolamento e interessi personali? Sceglierà un percorso di apertura, libertà e rispetto per l’umanità?
COMMENTO DEL REGISTA
Human Flow è un viaggio personale, un tentativo di capire l’umanità dei nostri giorni. Il film è stato realizzato con la profonda convinzione del valore dei diritti umani. In questo tempo di incertezza, abbiamo bisogno di maggiore tolleranza, compassione e fiducia, perché siamo tutti un’unica cosa. In caso contrario, l’umanità si troverà ad affrontare una crisi ancora maggiore.
COMMENTO PERSONALE
Dopo la presentazione del film alla stampa la cosa che più colpisce è il cambio di rotta della critica. Si è partiti pensando di trovarsi davanti a un Leone d’Oro, quindi con il fucile spianato, e si è finito per crocifiggere il regista relegandolo tra le occasioni mancate. Maledette aspettative. Al di là delle polemiche festivaliere, che sono poi il succo di ogni festival che si rispetti, il film ha sia pregi che difetti. Tra i primi sicuramente la possibilità di farci conoscere realtà ai più sconosciute provando a dare voce a chi non ce l’ha. Tra i secondi sicuramente puntare più sulla quantità che sulla qualità. In questo senso il film fa volume, ma non approfondisce molto, rischia in più occasioni di cedere alla deriva sensazionalistica e non riesce a mettere da parte l’ego del regista, qualche volta di troppo in scena senza dare particolare valore aggiunto. Interessante, comunque, come specchio della contemporaneità.
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Sabato 2 settembre 2017
Piccola parentesi extra-festivaliera: ma ci si può sposare durante il festival di Venezia? La risposta è, ahimè, sì. Mi trovo così a dover abbandonare il Lido per raggiungere una coppia di cari amici a Bologna che convola proprio oggi a nozze. Corri a prendere il traghetto, poi il treno, poi rituffati nella quotidianità, festa, risate, riso, foto, cibo, tanto cibo, ancora foto, pure la pioggia, ancora risate, tante risate e poi di nuovo verso il Lido, con la speranza di non avere perso molto. Ma in un festival come quello di Venezia, si perde sempre qualcosa.
Rientro a tarda ora (arrivare al Lido richiede sempre un surplus di pazienza) in tempo per tuffarmi nella proiezione di Marvin nella sezione Orizzonti.
MARVIN
di Anne Fontaine
Francia / 115’
interpreti Finnegan Oldfield, Grégory Gadebois, Vincent Macaigne, Catherine Salée, Jules Porier, Charles Berling
con Isabelle Huppert
SINOSSI
Martin Clément, alla nascita Marvin Bijou, è fuggito. È fuggito da un piccolo villaggio di campagna. È sfuggito alla sua famiglia, alla tirannia del padre e alla rassegnazione della madre. È sfuggito all’intolleranza, al rifiuto e al bullismo che l’ha escluso e marchiato come “diverso”. Contro ogni previsione, trova degli alleati. Dapprima Madeleine Clément, la preside della scuola media che lo introduce al teatro, e il cui cognome adotterà in seguito come simbolo della sua salvezza. Successivamente Abel Pinto, suo mentore e modello di riferimento, lo incoraggerà a raccontare la sua storia sul palcoscenico. Infine, Isabelle Huppert (nella parte di se stessa) lo aiuterà a produrre e a mettere in scena il suo spettacolo. Marvin/Martin rischierà tutto per creare questo spettacolo che, spingendosi ben oltre il concetto di successo, rappresenta il cammino verso la realizzazione di sé.
COMMENTO DELLA REGISTA
La storia di Marvin è complessa. Affronta la questione della società contemporanea e delle sue falle, dei suoi binari morti, di un’equazione morale più ampia e senza tempo: la redenzione non è forse un tradimento di sé stessi? È possibile reinventarsi senza dover inventare daccapo tutto quello che ci circonda? È possibile amare chi ci dà una nuova vita senza tuttavia smettere di amare chi ci ha donato la nostra prima vita, quando l’una e l’altra si escludono radicalmente? La storia di Marvin è violenta, estrema, ma vorrei che il film che ha ispirato ci ricordasse che la cenere e i diamanti sono profondamente collegati e che a volte è necessario intraprendere un lungo e duro cammino prima di ritrovare la strada di casa.
COMMENTO PERSONALE
Anne Fontaine realizza un film che mostra la conversione di un disagio in creazione artistica. È un modello non nuovo di cinema come terapia personale. Interessante, perché l’evoluzione del protagonista potrebbe riguardare chiunque, forse un po’ visto nelle dinamiche psicologiche messe in campo, ma animato da un disagio sincero e da una presa di coscienza, personale e collettiva, contagiosa. Isabelle Huppert interpreta se stessa, e non si capisce la differenza tra persona e personaggio.
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Domenica 3 settembre 2017
La domenica è il giorno più caotico del festival perché al normale fermento si aggiunge la Regata Storica, che paralizza i trasporti, e il via vai di curiosi, appunto, della domenica. Le file si moltiplicano ovunque e il tentativo di recuperare la giornata persa cade subito nel vuoto, pena la perdita di altre opere importanti. Quando si perde un titolo, poi, diventa subito fondamentale. Chi ha fatto le ore piccole ieri sera per vedere i 132 minuti di Brawl in Cell Block 99 di S. Craig Zahler, uno dei pochi horror in passerella al festival, ne parla già come di un capolavoro (gli assoluti, si sa, dominano nei festival). Pazienza, lo recupereremo a tempo debito. In fondo è sempre bello pensare di avere un bel film nel cassetto.
Nel percorso a ostacoli offerto dalla giornata festiva recupero solo Suburbicon che apprezzo assai per la vena caustica che lo anima (la sceneggiatura è una sistemazione di uno dei primi script dei Coen) unita a uno spirito liberal di matrice decisamente democratico (la regia di Clooney e i suoi aggiustamenti di sceneggiatura sono facilmente identificabili). In ogni caso un bel noir, solo un tantino troppo grottesco in certi punti (Matt Damon sul biciclino purtroppo stride), ma nel complesso molto ben costruito e graffiante e con una iconica Julianne Moore perfetta donna che visse due volte.
Gli altri titoli della giornata spaziano dal nuovo, attesissimo, Virzì, a un documentario sul celeberrimo Sakamoto (nana nana na, nanananananana, sì, proprio quella di Furyo), fino al nuovo Stephen Frears in rinnovata accoppiata con Judi Dench. Ma procediamo con ordine:
THE LEISURE SEEKER
di Paolo Virzì
Italia / 112’
cast Helen Mirren, Donald Sutherland
dal romanzo The Leisure Seeker di Michael Zadoorian
SINOSSI
The Leisure Seeker è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John andavano in vacanza coi figli negli anni settanta. Per sfuggire a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti salendo a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima: insieme sembrano comporre a malapena una persona sola. Quel loro viaggio in un’America che non riconoscono più – tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore – è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, fino all’ultimo istante.
COMMENTO DEL REGISTA
Non avevo previsto che un giorno avrei diretto un film ambientato del tutto in un altro Paese. Finora mi ero sempre sottratto a progetti americani dei quali mi era stata offerta la regia. Mi hanno convinto a provare almeno a scrivere una sceneggiatura e ho promesso ai produttori: se Helen Mirren e Donald Sutherland interpretano Ella e John, faccio il film. Era solo un modo per spararla grossa e mettere le mani avanti. Il destino però mi ha spiazzato: imprevedibilmente Mirren e Sutherland hanno accettato. Poche settimane dopo facevo i bagagli per attraversare l’oceano: non potevo privarmi del godimento di condividere un’esperienza con due attori così geniali e leggendari. Ma senza alcun intento di diventare “un regista americano”. Mi sento figlio del cinema italiano, seppure ormai la condivisione globale di storie e visioni renda labili e obsoleti i confini territoriali. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura. Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice.
COMMENTO PERSONALE
Un no su tutta la linea. Ricattatorio. Fasullo. Ruffiano. E con un’idea di amore in cui sembra che stare insieme significhi solo vivere in simbiosi e percepirsi affini e simili si traduca necessariamente in stare appiccicati. La trasferta americana non giova al regista livornese che inciampa in stereotipi e malattie gestite dalla sceneggiatura con maldestra astuzia (o sei demente, o non lo sei, non puoi esserlo solo quando fa comodo allo script). Sprecati i due protagonisti. Eppure c’è chi lo ha lodato. Vedremo alla prova del pubblico, ma ad abbindolarlo ci penserà Fazio con la sua Messa televisiva e qualche ospitata strategica.
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RYUICHI SAKAMOTO: CODA
di Stephen Nomura Schible
Usa / 100’
con Ryuichi Sakamoto
SINOSSI
Riconosciuto come uno dei più importanti artisti del nostro tempo, con la sua prolifica carriera Ryuichi Sakamoto ha attraversato oltre quattro decenni, da star del techno-pop a premio Oscar come compositore di colonne sonore. L’evoluzione della sua musica è coincisa con le diverse tappe che hanno segnato la sua vita. Dopo Fukushima, Sakamoto è diventato l’icona dei movimenti attivi in Giappone contro il nucleare. Con il ritorno alla musica dopo l’esperienza del cancro, l’ossessiva consapevolezza di Sakamoto delle crisi che scandiscono la vita culmina in un nuovo strepitoso capolavoro. Ryuichi Sakamoto: Coda è il ritratto intimo dell’artista e dell’uomo.
COMMENTO DEL REGISTA
Volevo che questo film esplorasse come la consapevolezza di Ryuichi Sakamoto delle crisi ambientali, sociali, e perfino personali, sia alla base del cambiamento della sua espressione musicale. Fin dall’inizio avevo in mente il titolo Coda perché volevo che il film approdasse a un finale musicale: alla nascita di una nuova canzone. La mia speranza è che coloro che si immergeranno nel film che possano vivere come un’apertura della percezione, provando a immaginare come Ryuichi Sakamoto sente il mondo ed essendo testimoni di come l’artista, alla fine, trionfi nel trovare nuove espressioni musicali.
COMMENTO PERSONALE
Interessante, anche come documento sul mutamento dei costumi e per capire l’uomo che si cela dietro all’artista, ma anche viceversa. Irresistibile il materiale d’archivio degli anni ’80.
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VICTORIA & ABDUL
di Stephen Frears
Gran Bretagna / 110
dal romanzo Victoria & Abdul di Shrabani Basu
cast Judi Dench, Ali Fazal, Eddie Izzard
SINOSSI
Victoria & Abdul racconta la vera, straordinaria storia dell’incredibile amicizia tra la regina Vittoria e il giovane segretario Abdul Karim, diventato suo precettore, consigliere spirituale e devoto amico. Nel 1887, Abdul parte dall’India per donare alla regina una medaglia in occasione dei festeggiamenti per il Giubileo d’oro, ma inaspettatamente entra nelle grazie dell’anziana sovrana. L’inaudito e incredibile legame scatena una rivolta all’interno della famiglia reale, ma la regina si oppone a corte e parenti. Victoria & Abdul esplora con ironia tematiche come razza, religione e potere, mettendo in scena le assurdità dell’impero alla luce di un’amicizia insolita e profondamente commovente.
COMMENTO DEL REGISTA
Non conoscevo la storia della regina Vittoria e di Abdul, non sapevo dell’affetto che la sovrana provava per il servitore indiano. Lee Hall ha scritto una sceneggiatura brillante, divertente, attuale e romantica, su diversità e classi sociali, sulla donna più potente del mondo e su un servitore musulmano. Per me era più riconducibile a The thief of Bagdad (Il ladro di Bagdad) che ai film britannici sull’impero anglo-indiano; ho detto che l’avrei realizzato soltanto con Judi Dench, e con mia immensa fortuna, lei ha accettato.
COMMENTO PERSONALE
Questa volta l’accoppiata Frears / Dench non produce il miracolo Philomena. Il film si accontenta infatti di essere un’opera per signore prima del tea delle cinque, con tutto ciò che ci aspettiamo: le battutine caustiche, l’anticonformismo, i riti di corte, le faccette, i sentimenti in primo piano, la storia vera ma abilmente romanzata. L’insieme è però meno fluido del solito perché resta in superficie e illustra un’amicizia senza preoccuparsi di motivarla e sostanziarla a dovere. La Dench vive, come al solito, di rendita. Le basta un’occhiata e il pubblico è suo.
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Lunedì 4 settembre 2017
Passato il giorno più frequentato del festival comincia la nuova settimana e l’inizio promette più che bene. Il menù del lunedì prevede EX LIBRIS, il documentario del mitico Frederick Wiseman sull’altrettanto mitica Public Library di New York, l’italiano Una Famiglia di Sebastiano Riso e l’atteso Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, di cui ho visto il trailer a Ciné e che pare davvero interessante. Gran finale di serata sulle note di Thriller di Michael Jackson, per l’occasione riproposto in 3D e in Sala Grande.
EX LIBRIS
di Frederick Wiseman
Usa / 197’
lingua Inglese
SINOSSI
Il film di Frederick Wiseman, EX LIBRIS – The New York Public Library, va dietro le quinte di una delle più grandi istituzioni del sapere del mondo. Il film presenta la biblioteca come un luogo di accoglienza, scambio culturale e apprendimento per diciotto milioni di utenti e trentadue milioni di visitatori online all’anno. Ci sono novantadue succursali della biblioteca disseminate tra Manhattan, il Bronx e Staten Island. La NYPL vuole essere una risorsa per tutti i residenti di questa città sfaccettata e cosmopolita. È accessibile, aperta a tutti ed esemplifica la convinzione americana, profondamente radicata, del diritto degli individui a conoscere ed essere informati. La biblioteca è una delle istituzioni più democratiche d’America: tutte le razze, classi sociali ed etnie sono benvenute e partecipano attivamente alla vita e al funzionamento della biblioteca. La quale ha l’obiettivo di stimolare l’apprendimento, far progredire la conoscenza e rafforzare le comunità.
COMMENTO DEL REGISTA
Le biblioteche pubbliche in America sono cambiate da quando ero giovane. Ricordo che andavo in biblioteca a prendere i libri. Ora le biblioteche offrono molto di più. Durante le riprese del film sono rimasto colpito nello scoprire la grande varietà di servizi, opportunità ed esperienze che le biblioteche forniscono a chiunque vi acceda. Le biblioteche odierne sono diventate dei centri comunitari con corsi dopo scuola per i bambini e corsi di formazione per gli adulti in lingue, cittadinanza, economia e informatica. A prescindere dall’attuale contesto politico americano, la biblioteca rimane un ideale di inclusione, democrazia e libertà d’espressione.
COMMENTO PERSONALE
Il primo pensiero che ho avuto durante la visione del documentario è che sarebbe davvero esaustivo se per caso un alieno arrivasse sulla Terra e volesse conoscere quel luogo magico che è la Public Library di New York, in cui la lampada Magistero connota l’ambiente e un’intensa attività la rende uno dei poli culturali più significativi della metropoli statunitense. Tale è infatti la minuziosità e l’attenzione di Wiseman al lato umano che popola la struttura che ciò a cui si assiste sembra la rappresentazione della vita. Continuo a preferire la sintesi, ma l’opera scivola che è un piacere immergercisi dentro.
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THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING MISSOURI
Gran Bretagna / 110’
cast Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, John Hawkes, Peter Dinklage
SINOSSI
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri è una commedia nera diretta dal regista premio Oscar Martin McDonagh. Dopo mesi trascorsi senza trovare il colpevole dell’omicidio della figlia, Mildred Hayes compie un gesto audace. Lungo la strada che porta in città, noleggia tre cartelloni pubblicitari sui quali piazza un controverso messaggio diretto allo stimato capo della polizia locale William Willoughby. Quando nel caso viene coinvolto anche il vice Dixon, uomo immaturo dal temperamento violento e aggressivo, lo scontro tra Mildred e le forze di polizia di Ebbing diventa sempre più duro.
COMMENTO PERSONALE
Il catalogo non riporta il commento del regista, quindi passo subito al mio. Che dire, l’impatto del film è stato travolgente, un fiume in piena che ti si scarica addosso lasciandoti stordito e con ancora adrenalina da smaltire. Un film che ti spiazza, racconta una storia ma anche l’America, gioca consapevolmente con luoghi comuni e stereotipi, sembra sempre adagiarvisi sopra e invece finisce per cavalcarli, ti illude che le cose vadano in un modo e invece cambia costantemente le carte in tavola. Potentissima l’interpretazione di Frances McDormand, ma anche Woody Harrelson e Sam Rockwell lasciano il segno. Si candida già agli Oscar almeno per la sceneggiatura. Un film che se prende l’onda giusta finirà per essere uno di quelli da ricordare. Di questa edizione del festival ma non solo.
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UNA FAMIGLIA
Di Sebastiano Riso
Italia / 119’
cast Micaela Ramazzotti, Patrick Bruel, Fortunato Cerlino, Ennio Fantastichini, Matilda De Angelis
SINOSSI
Vincent è nato vicino a Parigi, ma ha tagliato ogni legame con le sue radici. Maria, più giovane di quindici anni, è cresciuta a Ostia, ma non vede più la sua famiglia. Insieme formano una coppia che non sembra aver bisogno di nessuno e conducono un’esistenza appartata nella Roma indolente e distratta dei giorni nostri. In più, Vincent e Maria sono bravi a mimetizzarsi. Quando tornano a casa, fanno l’amore con la passione degli inizi, in un appartamento di periferia che lei ha arredato con cura. A uno sguardo più attento, quella quotidianità dall’apparenza così normale lascia trapelare un terribile progetto di vita, portato avanti da lui con lucida determinazione e da lei accettato in virtù di un amore senza condizioni. Un progetto che prevede di aiutare coppie che non possono avere figli. Maria decide che è giunto il momento di formare una sua famiglia. La scelta si porta dietro una conseguenza inevitabile: la ribellione a Vincent, l’uomo della sua vita.
COMMENTO DEL REGISTA
Ho capito immediatamente che per affrontare un soggetto con queste premesse avrei dovuto attingere alla mia infanzia, ai ricordi legati a mia madre, senza però tralasciare le mie “madri letterarie”, le donne che ho visto nei film e di cui ho letto nei romanzi, che sono rimaste dentro di me. Era importante che Maria fosse rappresentata senza stravaganze, con la dovuta discrezione, in modo da comunicare la sua fragilità ma anche il suo desiderio, lacerato e tuttavia fortissimo, di essere madre. Sincerità e discrezione sono alla base del mio approccio alla messa in scena: senza risultare invadente, volevo essere presente, sempre accanto a Maria. La macchina da presa è sempre presente in scena, fisicamente addosso ai protagonisti, operata interamente a mano e pronta ad accompagnarli nella loro performance. Era importante per me e per il mio direttore della fotografia nonché operatore, che si creasse una fusione tra noi osservatori e chi la storia la viveva dal di dentro. Il set è così diventato un mondo dove gli attori si muovevano liberamente. Io e il direttore della fotografia eravamo in costante contatto via radio durante le riprese e potevamo scegliere quello che al momento ci sembrava la prospettiva più interessante per la nostra indagine.
COMMENTO PERSONALE ,
Consiglierei alla critica di parlare dei film italiani solo dopo almeno due ore che i titoli di testa sono sfumati. C’è troppa acredine preventiva nei confronti del prodotto nazionale. Il film di Sebastiano Riso non si può certo dire riuscito, troppo greve, di cattivo gusto, balordo nei contrasti quasi grotteschi che esibisce. Si assume un notevole rischio, non trova una scrittura complice, adotta punti di vista registici a volte un po’ pretenziosi, e affonda nel dramma sguaiato. Sto cercando un ”però” per salvarlo e creare una contrapposizione positiva, il problema è che proprio non mi viene. Comunque fischiarlo e gridare ”vergogna” è un brutto fotogramma che rimuoverei volentieri.
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MICHAEL JACKSON’S THRILLER 3D MAKING OF
SINOSSI
Questo iconico cortometraggio si apre con Michael e la sua partner che guardano un film dell’orrore. Usciti dalla sala nel bel mezzo del film, i due si aggirano per le strade deserte e tra le tombe, dalle quali emergono fantasmi e mostri. Il personaggio interpretato da Michael è qualcosa di più di un semplice fidanzato protettivo. Il film mostra una delle scene di ballo più amate e più replicate di tutti i tempi. Circondato da zombie, Michael è all’apice del suo talento di ballerino e star. Michael Jackson’s Thriller 3D, ha avuto inizio utilizzando il negativo della pellicola originale 35 mm di Michael. Senza procedere al rimontaggio o a modifiche di sorta, si è quindi risolto in una conversione 3D del celeberrimo film con l’aiuto delle più recenti tecnologie disponibili.
COMMENTO DEL REGISTA
Sono felicissimo di avere avuto la possibilità non solo di restaurare ma anche di migliorare Michael Jackson’s Thriller Avvalendoci delle incredibili innovazioni tecnologiche disponibili, abbiamo letteralmente aggiunto alcune nuove dimensioni con l’intento di portare le immagini e il suono a un livello interamente nuovo. Michael Jackson’s Thriller ha rappresentato una memorabile collaborazione tra Michael Jackson, me, Rick Baker (truccatore), Michael Peters (coreografo), Robert Paynter (cameraman), e Elmer Bernstein (compositore della fantastica Scary Music). È meraviglioso avere l’opportunità di condividere tutto questo esattamente nel modo in cui dovrebbe essere visto.
COMMENTO PERSONALE
Dopo tre film che per motivi diversissimi hanno richiesto impegno ed energie, trovo davvero defatigante buttarmi in Sala Grande per ballare una delle hit degli anni ’80 che più ho amato, con uno dei video più famosi della storia della musica. Thriller di Michael Jackson, diretto da John Landis, presente in sala, è ancora potentissimo. Abbinato al folgorante 3D con cui la riedizione è proposta, anche un divertente making of del video. Che dire, Michael ci manchi e ti ricordiamo sempre volentieri.
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Martedì 5 settembre 2017
Cosa ci riserverà il martedì? Gli occhi, inutile dirlo, sono tutti puntati su mother!, mi raccomando scritto in minuscolo e con il punto esclamativo altrimenti il regista si arrabbia, perché Darren Aronofski è autore da superlativi, di quelli che o si amano o si odiano, almeno così pare visto l’hype per il film e i commenti che si leggono in giro ancor prima che un solo fotogramma sia esibito. La curiosità è anche quella di vedere il super cast in conferenza stampa. Evento della giornata a parte, l’altro film in concorso è la nuova opera di Kore-Eda Hirokazu, anche se dopo il celebrato Father and Son non ha più ritrovato la stessa intensità (Little Sister e Ritratto di famiglia con tempesta i suoi film successivi).
mother!
di Darren Aronofski
Usa / 120’
cast: Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Domhnall Gleeson, Ed Harris
SINOSSI
La relazione di una coppia viene messa a dura prova quando alcuni inattesi ospiti si presentano a casa loro, gettando nello scompiglio la loro tranquilla esistenza.
COMMENTO DEL REGISTA
Sono tempi folli in cui vivere. Mentre la popolazione mondiale sta per sfiorare quota 8 miliardi, ci troviamo di fronte a questioni così serie da sfuggire alla nostra comprensione: gli ecosistemi collassano mentre il fenomeno dell’estinzione ha assunto proporzioni senza precedenti; le crisi migratorie fanno traballare i governi; palesemente schizofrenici, gli Stati Uniti aiutano a negoziare un trattato epocale sulla questione climatica per poi chiamarsi fuori solo alcuni mesi più tardi; annose controversie e credenze tribali continuano a provocare guerre e divisioni; il più grande iceberg mai documentato si stacca dalla calotta dell’Antartico e finisce in mare alla deriva. Allo stesso tempo, ci troviamo di fronte a questioni troppo stupide perché si possano comprendere: in Sudamerica per ben due volte alcuni turisti uccidono i cuccioli spiaggiati di una rara specie di delfino, soffocandoli nella frenesia da selfie; la politica assomiglia sempre più a un evento sportivo; alcuni muoiono ancora di fame, mentre altri possono permettersi di scegliere a un buffet. Come specie il nostro impatto è diventato pericolosamente insostenibile ma continuiamo a vivere in uno stato di negazione delle prospettive che gravano sul pianeta e del posto che occupiamo al suo interno. Una mattina mi sono svegliato da questo brodo primordiale di angoscia e impotenza e ho visto questo film sgorgare come da un sogno delirante. Mentre tutti i miei precedenti film hanno avuto una gestazione di diversi anni, ho scritto la prima bozza di mother! in soli cinque giorni. Nel giro di un anno stavamo già girando le riprese. Oggi, a distanza di due anni, è per me un onore ritornare al Lido di Venezia per l’anteprima mondiale. Immagino che la gente si chiederà perché questo film sia caratterizzato da una visione così pessimistica. Hubert Selby Jr., autore di Requiem for a Dream mi ha insegnato che è possibile vedere la luce solo guardando negli angoli più oscuri di noi stessi. mother! ha inizio come la storia di un matrimonio. Al centro della trama una donna alla quale viene chiesto di dare, dare e ancora dare fino a quando non le resta più nulla. Alla fine la storia non è più in grado di contenere la pressione che sta ribollendo al suo interno. Diventa qualcos’altro che è difficile spiegare e descrivere. Non sono in grado di dire con esattezza dove affondino le radici di questo film. Alcune cose sono state ispirate dai titoli che leggiamo in prima pagina ogni giorno della nostra vita, altre dalle continue, interminabili notifiche che ci arrivano sul cellulare, altre ancora dall’avere vissuto in prima persona l’uragano Sandy abbattutosi su Manhattan, mentre altre sono sgorgate direttamente dal mio cuore e dalle mie emozioni più profonde. Nel complesso, si tratta di una ricetta che non sarò mai in grado di replicare, ma so che questo è un drink che va servito e gustato tutto d’un fiato nel bicchiere giusto. Buttatelo giù! Salute!
COMMENTO PERSONALE
Dissento dai fischi sguaiati di gran parte della critica, però penso che si tratti di un’opera non riuscita. Da qualunque parti la si guardi arriva pretenziosa e poco comunicativa, non priva di fascino in certi punti ma sostanzialmente un “brodo primordiale” (per usare le parole utilizzate dal regista) cucinato un po’ troppo e alla fine, paradossalmente, insapore. Sia che la si consideri come un’allegoria religiosa con evidenti riferimenti biblici (ho notato che molti hanno trovato godimento nel trovare tali riferimenti, attribuendo un valore al solo fatto di averli notati), sia che si opti per una metafora del processo creativo e delle difficoltà di concretizzare un’ispirazione in un’opera d’arte, il viaggio sembra più interessante delle conclusioni, in fondo abbastanza banali. Non aiuta la solennità della confezione e il prendersi così sul serio del film, come se contenesse chissà quale recondita verità.
Due parole a parte su una delle conferenze stampa più succulente della mostra. Oltre al regista erano presenti Michelle Pfeiffer, silenziosa e sorniona, Javier Bardem, sempre gentile e piacente, e la diva del momento Jennifer Lawrence, più luminosa che mai. Due le chicche in rapida sintesi:
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L’autogol di Aronofski nel momento in cui dichiara che ha scritto la sceneggiatura in soli cinque giorni, magari una rilettura avrebbe giovato al risultato
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La dichiarazione della Lawrence (ricordiamo attuale compagna di Aronofski) che ha raccontato di essere ogni tanto infastidita dai fans quando la fermano interrompendo momenti della sua vita privata, ma che invece incontra volentieri in quello che per lei è lavoro, cioè la promozione dei film e quindi anche i festival. È bastato un minuto per smentire tutto ciò. A fine conferenza il rituale prevede che giornalisti e altri presenti si avvicinino alle star per foto e autografi. I fan sono stati un po’ irruenti, ma la Lawrence appena li ha visti avvicinarsi se l’è data a gambe. Quando si dice la coerenza…
Ma la giornata non è finita e le delusioni continuano con il nuovo film di Kore-Eda Hirokazu.
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THE THIRD MURDER
di Kore-Eda Hirokazu
Giappone / 124’
cast Fukuyama Masaharu, Yakusho Kōji, Hirose Suzu
SINOSSI
Il prestigioso avvocato Shigemori assume la difesa di un uomo sospettato di rapina e omicidio, Misumi, il quale ha scontato una pena in carcere per un altro omicidio commesso trent’anni prima. Le chances che Shigemori vinca la causa sembrano scarse: il suo cliente ha spontaneamente ammesso la propria colpa, nonostante rischi la pena di morte nel caso in cui venga condannato. A mano a mano che approfondisce il caso e sente le testimonianze della famiglia della vittima e di Misumi stesso, Shigemori, un tempo sicuro, comincia a dubitare che il suo cliente sia effettivamente l’assassino.
COMMENTO DEL REGISTA
Volevo rappresentare in modo appropriato il lavoro dell’avvocato. Quando ho parlato con i consulenti legali per Soshite chichi ni naru, mi dissero: “Il tribunale non è il luogo in cui si stabilisce la verità”. Dissero che nessuno poteva sapere la verità. Pensai: “Interessante”. Se le cose stanno così, voglio fare un film su una vicenda legale in cui la verità non viene rivelata. Di solito, in un film alla fine si arriva alla verità, ma qui solo la sentenza del processo si chiude, mentre i personaggi non vedono la verità. Ciò significa che la nostra società condona un sistema imperfetto che non può reggersi a meno che le persone non giudichino altre persone senza sapere la verità. Credo che il protagonista sarebbe terrorizzato se lo capisse.
COMMENTO DEL REGISTA
Hirokazu Kore-eda ha ripetutamente dimostrato di essere a suo agio nello scavo di personaggi alle prese con conflitti familiari profondi. La sua messa in scena predilige semplicità e misura e tutto, nella sua visione, concorre a formare un punto di vista organico in grado di esplicitare con coerenza il punto di vista dei personaggi. Applicare tale sensibilità a un thriller, seppur atipico, finisce per raffreddare eccessivamente la detection, e questo aspetto non giova alla fruzione.
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Mercoledì 6 settembre 2017
Quando si arriva a mercoledì comincia già il toto Leone, anche se in realtà ci sono ancora giornate di festival più il sabato dedicato alle premiazioni. In giro si respira un’atmosfera più calma, non dico di quiete, ma rilassata, il giro di boa si capta. Il fatto è che, come tutti gli anni, è il giorno in cui molti rappresentati della stampa straniera partono per Toronto. Inizia infatti domani, e si concluderà il 17, l’importante manifestazione canadese che in parte replica Venezia (molti dei film presenti al Lido atterreranno nella metropoli canadese), in parte presenta anteprime mondiali, tutti titoli che con molta probabilità faranno parlare nella stagione dei premi.
Ma vediamo cosa ha in serbo la giornata odierna: due film in concorso agli antipodi (l’australiano Sweet Country e l’italianissimo Ammore e malavita) e un fuori concorso latino (lo spagnolo Loving Pablo).
SWEET COUNTRY
di Warwick Thornton
Australia / 112’
cast Sam Neill, Bryan Brown, Hamilton Morris, Thomas M. Wright, Ewen Leslie, Gibson John, Natassia Gorey-Furber, Trevon Doolan, Tremayne Doolan, Matt Day, Anni Finsterer
SINOSSI
Ispirato a fatti realmente accaduti, Sweet Country è un western in costume ambientato nel 1929, nell’entroterra del Territorio del Nord australiano. Quando Sam, guardiano di bestiame aborigeno, uccide il proprietario terriero bianco Harry March per autodifesa, è costretto a scappare insieme alla moglie Lizzie. Alla fine, per proteggere la moglie incinta, decide di consegnarsi alla polizia. Processato nell’aula del giudice Taylor, riuscirà a ottenere giustizia?
COMMENTO DEL REGISTA
Sweet Country è un western in costume, con tutti gli elementi tipici del genere: la frontiera, le espropriazioni di terra, la sottomissione e la conquista di un popolo, e, infine, epici, infiniti orizzonti. Il film è basato sulla vera storia, raccontatami dallo scrittore David Tranter, dell’aborigeno Wilaberta Jack, che negli anni venti fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella Central Australia. Wilaberta Jack è Sam, diventato un personaggio indipendente, con una sua storia. Se Sam è il cardine della trama su cui tutto ruota, la vicenda riguarda anche Philomac, giovane aborigeno di quattordici anni, che vive in una fattoria e sta per diventare adulto, mentre si ritrova coinvolto nella rivoluzione sociale e nel conflitto culturale della vita di frontiera nella Central Australia degli anni venti. Sweet Country è stato girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad Alice Springs: un territorio ipnotico, in cui io stesso sono cresciuto, e che a sua volta diventa protagonista, soprattutto nelle scene in cui la posse insegue Sam e Lizzie. Ho voluto utilizzare un genere accessibile come il western, perché il pubblico potesse entrare nella storia e venirne affascinato, in modo da comprendere i problemi che un popolo occupato si trova ad affrontare. Con questo approccio immersivo, ho voluto abbattere i confini culturali per unirci.
COMMENTO PERSONALE
Sweet Country è ambientato in Australia, si riferisce a fatti realmente accaduti ed è quindi connotato in modo preciso, ma ha un afflato universale perché racconta una storia di soprusi, di razzismo, di formazione, di civiltà, che potrebbe essere accaduta, magari con altre sfumature, ovunque. Ed è questa la sua forza. Il suo limite maggiore è quello di rifarsi a un immaginario noto abbracciando con molta diligenza il genere western. Ciò lo rende un po’ prevedibile, ma non per questo meno efficace ed apprezzabile.
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AMMORE E MALAVITA
dei Manetti Bros
Italia / 134’
cast Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini, Carlo Buccirosso
SINOSSI
Napoli. Ciro è un temuto killer. Con Rosario è una delle due “tigri” al servizio di don Vincenzo, “’o re d’o pesce”, e della sua astuta moglie, donna Maria. Fatima è una sognatrice, una giovane infermiera. Due mondi in apparenza così distanti ma destinati a incontrarsi. Una notte Fatima si trova nel posto sbagliato nel momento sbagliato. A Ciro viene dato l’incarico di sbarazzarsi di quella ragazza che ha visto troppo. Ma le cose non vanno come previsto. I due si trovano faccia a faccia, si riconoscono e riscoprono, l’uno nell’altra, l’amore mai dimenticato della loro adolescenza.
COMMENTO DEI REGISTI
Se un killer della camorra deve uccidere una donna e riconosce in lei l’amore della sua adolescenza parliamo d’amore o di malavita? Ecco, siamo partiti di qui e poi la storia ci è venuta dietro, quasi da sola. Le canzoni accompagnano i momenti fondamentali ed emotivamente più forti della storia: si canta quando due personaggi stanno per baciarsi, ma anche durante una sparatoria. Il musical ci ha permesso di andare sopra le righe affrontando temi profondi e importanti, come l’amore e la morte, mantenendo un tono leggero e spettacolare.
Non puntiamo al realismo, ma alla verosimiglianza. Per credere in quello che raccontiamo ci piace prendere dei personaggi veri, che abbiamo incontrato nella vita reale, per incastonarli nella cornice fantasiosa di una storia esagerata.
La città di Napoli è stata la nostra ispirazione e una personale rivisitazione della sua forma artistica più densa e popolare, la sceneggiata, il risultato.
Però, sia chiaro, il messaggio del film non è: “a Napoli succede questo.” Quello che succede, succede solo nella nostra storia.
La nostra Napoli non è solamente la città cupa e disperata che si racconta ultimamente al cinema o in TV, ma anche una Napoli che, malgrado tutti i problemi, stimola con il suo fermento culturale e ispira con la sua carica di umanità. Ogni volta che ritorniamo ci è inevitabile sorridere. Quale che sia il nostro stato d’animo. Un potere ineguagliabile.
COMMENTO PERSONALE
Il musical calza perfettamente ai fantasiosi, giocosi e consapevoli fratelli Manetti, perché permette loro di raccontare una storia, in fondo trita e ritrita che fonde malavita e melodramma in quel di Napoli, con la loro capacità di osare e di attraversare i generi cinematografici. Finisce quindi che si ride, ci si diverte e si palpita simpaticamente insieme a un campionario di varia umanità che si dimena rumorosamente sullo schermo. Ma tutto è al punto giusto e i due registi raggiungono quella misura che non sempre il loro cinema era riuscito ad avvicinare. Ottimo e divertito il cast, strepitosi alcuni momenti (la “Scampia Disco Dance” ma anche la rivisitazione di “What a Feeling” in chiave ospedaliera), con qualche tempo morto nella parte finale, ma nel complesso un film che non sfigura in concorso e che potrebbe anche piacere il pubblico. Un mezzo miracolo insomma!
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LOVING PABLO
di Fernando León De Aranoa
Spagna / 123’
dal romanzo Loving Pablo, Hating Escobar di Virginia Vallejo
cast Javier Bardem, Penélope Cruz, Peter Sarsgaard, Julieth Restrepo
SINOSSI
Loving Pablo racconta l’ascesa e la caduta del più temuto signore della droga al mondo, Pablo Escobar, e la sua instabile storia d’amore con la più famosa giornalista della Colombia, Virginia Vallejo, durante il regno del terrore che dilaniò il paese.
COMMENTO DEL REGISTA
Se da un lato nel corso degli ultimi decenni le vicende di Pablo Escobar sono state raccontate in libri, serie televisive e documentari, dall’altro l’approccio di Virginia Vallejo offre uno sguardo più intimo sul suo comportamento criminale, descrivendo da vicino gli anni più duri della furiosa guerra che scatenò contro il governo colombiano. Famosa giornalista e anchorwoman televisiva, Virginia fu anche sua amante, oltre che sua confidente e interlocutrice, una sorta di pigmalione; ma soprattutto, lei fu una sopravvissuta. La sua è la storia disperata di un naufragio, che parla di attrazione e fascinazione, ma anche della pazzia e del terrore senza eguali di uno dei decenni più violenti della storia recente, di cui Virginia fu al tempo stesso parte e testimone.
COMMENTO PERSONALE
C’era bisogno di un altro film su Pablo Escobar in un momento in cui è già ampiamente sotto ai riflettori grazie al successo della serie tv (ma c’è anche il film di Andrea di Stefano del 2014)? Probabilmente no, ma l’impegno profuso nell’opera non la rende affatto superflua. Nobilitato da due ottimi protagonisti (Bardem è sempre istrionico e gronda carisma, la Cruz può giocare su lacrime e allure), affronta la storia da un punto di vista inedito: quello dell’amante di Escobar, la conduttrice televisiva Virginia Vallejo. Due personalità apparentemente diversissime ma forse più intimamente simili di ciò che a prima vista sembra. Il film non aggiunge probabilmente nulla di nuovo alle contraddizioni del personaggio e alla sua capacità di far convivere due anime o forse più, si sofferma molto (troppo?) sul noto, ma cinematograficamente parlando la messa in scena è efficace, l’agiografia cavalcata e l’intrattenimento garantito.
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Giovedì 7 settembre 2017
Il toto-leone impazza e il più quotato è finora quel Three Billboards che tanti applausi ha raccolto sia in sala Darsena, con la stampa impazzita, che in Sala Grande alla proiezione ufficiale. Ma oggi è il giorno di Abdellatif Kechiche e sicuramente il suo film non passerà inosservato. In concorso anche la Cina, mentre fuori concorso arrivano Valeria Golino e Adriano Giannini diretti da Silvio Soldini. Insomma, anche oggi il programma è ricco e più vario che mai.
ANGELS WEAR WHITE
di Vivian Qu
Cina, Francia / 107’
cast Wen Qi, Zhou Meijun, Shi Ke, Geng Le, Liu Weiwei, Peng Jing, Wang Yuexin, Li Mengnan
SINOSSI
In una cittadina di mare, due studentesse vengono assalite in un motel da un uomo di mezza età. Mia, un’adolescente che quella notte lavorava alla reception, è l’unica testimone. Per paura di perdere il lavoro, non dice nulla. Nel frattempo la dodicenne Wen, una delle vittime, scopre che i suoi guai sono appena cominciati. Intrappolate in un mondo che non dà loro scampo, Mia e Wen dovranno trovare da sole una via d’uscita.
COMMENTO DEL REGISTA
Il film è una storia sulle donne. Sulla società che plasma le nostre percezioni e i nostri valori. Sulle scelte che ci sono consentite e sul coraggio di farne di diverse. Sui ruoli interscambiabili della vittima e del testimone. Sulla verità e la giustizia. E, soprattutto, sull’amore.
COMMENTO PERSONALE
Tipico film da festival: ritmo lasco, approccio minimalista, tentativo di scavo dei personaggi, tematica trasversale importante che passa dalla violenza sulle donne alla corruzione delle autorità. Il risultato ha una sua valenza politica e un’onestà di fondo ma non lascia un grande segno. Suggestiva, ma di un simbolismo fin troppo evidente, quella enorme Marilyn che si erge sulla spiaggia per poi essere rimossa, a dimostrazione che il sogno è pura illusione. Non sfigura in concorso ma non si ricorderà.
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MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO
di Abdellatif Kechiche
Francia, Italia, Tunisia / 180’
cast Shaïn Boumedine, Ophélie Bau, Salim Kechiouche, Lou Luttiau, Alexia Chardard, Hafsia Herzi, Kamel Saadi, Estefania Argelich
dal romanzo La blessure la vraie di François Bégaudeau
SINOSSI
Amin, un aspirante sceneggiatore che vive a Parigi, ritorna per l’estate nella sua città natale, una comunità di pescatori nel sud della Francia. È l’occasione per ritrovare la famiglia e gli amici d’infanzia. Accompagnato da suo cugino Tony e dalla sua migliore amica Ophélie, Amin passa il suo tempo tra il ristorante di specialità tunisine dei suoi genitori, i bar del quartiere e la spiaggia frequentata dalle ragazze in vacanza. Incantato dalle numerose figure femminili che lo circondano, Amin resta soggiogato da queste sirene estive, all’opposto del suo dionisiaco cugino che si getta senza remore nell’euforia dei loro corpi. Munito della sua macchina fotografica, e guidato dalla luce eclatante della costa mediterranea, Amin porta avanti la sua ricerca filosofica lanciandosi nella scrittura delle sue sceneggiature. Ma quando arriva il tempo dell’amore, solo il destino, solo il mektoub, può decidere. Questo racconto di formazione ambientato nel 1994 illumina di nostalgia le meraviglie della giovinezza.
COMMENTO PERSONALE
Ogni opera di Abdellatif Kechiche è un work in progress e arriva ai festival in corso di montaggio. Probabilmente la versione definitiva non sarà questa, e forse qualche taglio al lungo minutaggio gioverà al film che è un inno alla giovinezza e ai suoi vitali conflitti, in quel periodo in cui tutto può accadere e la propria personalità è in via di definizione, le aspirazioni iniziano a porri basi solide e il futuro appare quanto mai incerto. Il film si può quindi considerare come la celebrazione della vita filtrata dal punto di vista del regista che mette in scena se stesso e il suo sguardo sul mondo. Uno sguardo un po’ maschilista (le donne sono a lungo esplorate ed esibite) ma che per essere compreso, e non per forza giudicato, deve essere collocato nella cultura geografica del regista. La vita e niente altro, quindi, e non è affatto poco. Certo, una sfrondata alla lunga sequenza in discoteca non danneggerebbe l’opera e il suo spirito. In un periodo in cui c’è grande attenzione alla valorizzazione dei ruoli femminili e non solo all’esibizione dei corpi, e con una presidentessa di giuria come Annette Bening, difficilmente avrà chance di vittoria, ma come sempre tutto può succedere.
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IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE
di Silvio Soldini
Italia, Svizzera / 117’
Cast Valeria Golino, Adriano Giannini, Arianna Scommegna, Laura Adriani, Anna Ferzetti, Andrea Pennacchi, Beniamino Marcone, Mattia Sbragia, Valentina Carnelutti, Giuseppe Cederna, Roberto De Francesco
SINOSSI
Teo è un uomo in fuga. Dal suo passato, dalla famiglia di origine, dai letti delle donne con cui passa la notte e da cui scivola fuori alle prime luci del giorno, dalle responsabilità. Il lavoro è l’unica cosa che veramente ama, fa il creativo per un’agenzia pubblicitaria e non stacca mai, tablet e cellulari lo tengono in perenne e compulsiva connessione con il mondo. Emma ha perso la vista a sedici anni, ma non ha lasciato che la sua vita precipitasse nel buio. O meglio, l’ha riacchiappata al volo, ha fatto a pugni con il suo handicap e l’ha accettato con la consapevolezza che ogni giorno è una battaglia. Fa l’osteopata e gira per la città col suo bastone bianco, autonoma e decisa. Si è da poco separata dal marito e Teo, brillante e scanzonato, sembra la persona giusta con cui concedersi una distrazione. Per Teo invece, tutto nasce per gioco e per scommessa, Emma è diversa da tutte le donne da lui incontrate finora ed è attratto e impaurito dal suo mondo. Una ventata di leggerezza li sorprende, ma quel galleggiare in allegria bruscamente finisce. Ognuno torna alla propria vita, ma niente sarà più come prima.
COMMENTO DEL REGISTA
Qualche anno fa ho girato un documentario, Per altri occhi, con dei non vedenti. Era un mondo che non conoscevo e che mi ha stupito; ho scoperto persone piene di vita e d’ironia, che nonostante il loro handicap lavorano, fanno sport, viaggiano… Mi sono poi reso conto che al cinema non avevo mai visto niente di tutto ciò, che i ciechi erano spesso dipinti in modo drammatico, scontato, o con dei quasi super-poteri. Così ho deciso di filmare una storia d’amore con una non vedente come accade nella vita. Raccontare l’incontro tra due mondi lontanissimi, di un uomo che cambia, del coraggio di affrontare la vita, con leggerezza e profondità. E raccontare Emma e Teo come fossero due di noi, due persone amiche.
COMMENTO personale
Silvio Soldini è regista sensibile. Lo ha dimostrato nelle sue opere precedenti (ricordo i bellissimi Le acrobate e Cosa voglio di più solo perché ho voluto scegliere i suoi titoli che preferisco) e lo conferma in questo nuovo incontro di due personalità agli antipodi: lui che della vista ha fatto il suo business (è creativo presso un’agenzia pubblicitaria) e lei che invece la vista l’ha persa nell’adolescenza. Due differenti sguardi sul mondo che provano a stabilire, non senza difficoltà, un’intesa. Un’opera interessante e piacevole, che evita i luoghi comuni dell’handicap e racconta un amore fuori dai canoni ma in fondo uguale a tanti altri. Ottima trovata narrativa, l’inizio e la conclusione al buio.
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Venerdì 8 settembre 2017
Come da copione approfitto dell’ultima giornata per presentare le giurie del festival
A valutare il Concorso sarà Annette Bening affiancata da:
Ildikó Enyedi (regista e sceneggiatrice, Ungheria)
Michel Franco (regista e produttore, Messico)
Rebecca Hall (attrice, Regno Unito)
Anna Mouglalis (attrice, Francia)
David Stratton (critico cinematografico, Australia/Inghilterra)
Jasmine Trinca (attrice, Italia)
Edgar Wright (regista e sceneggiatore, Regno Unito)
Yonfan (regista e produttore, Taiwan)
La guida di Orizzonti è invece il regista italiano Gianni Amelio e a valutare con lui i film della sezione saranno:
Rakhshan Bani-Etemad (regista, Iran)
Ami Canaan Mann (regista, Stati Uniti d’America)
Mark Cousins (regista e sceneggiatore, Irlanda/Scozia)
Andrés Duprat (sceneggiatore, architetto e curatore artistico, Argentina)
Fien Troch (regista e sceneggiatrice, Belgio)
Rebecca Zlotowski (sceneggiatrice e regista, Francia)
Per il Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”- Leone del Futuro il Presidente è è invece Benoît Jacquot; con lui:
Geoff Andrew (critico, professore e programmatore cinematografico, Regno Unito)
Albert Lee (produttore cinematografico, Hong Kong)
Greta Scarano (attrice, Italia)
Yorgos Zois (regista, Grecia)
La Giuria di studenti di cinema che assegnerà i premi Venezia Classici è presieduta dal regista italiano Giuseppe Piccioni.
La grande novità di quest’anno è per la sezione “Venice Virtual Reality“. Ecco come ne parla il sito della Biennale:
“La Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, annuncia la prima competizione assoluta di film in Realtà Virtuale (VR), durante la 74. Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia (30 agosto – 9 settembre 2017) diretta da Alberto Barbera.
Il Concorso – denominato Venice Virtual Reality – presenterà fino a un massimo di 18 film VR e si terrà dal 31 agosto al 5 settembre 2017 presso il VR Theatre (Palazzo del Casinò, Lido di Venezia).
Una Giuria, composta da un massimo di 5 esponenti di spicco del mondo creativo, attribuirà i seguenti 3 premi: Miglior Film VR, Gran Premio della Giuria VR, Premio per la Migliore Creatività VR.
La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è stata uno dei primi festival al mondo a manifestare interesse per la Virtual Reality. La realizzazione di un VR Theatre nel 2016 e la programmazione di una serie di cortometraggi sperimentali, culminate con la presentazione in prima mondiale del primo lungometraggio in VR (Jesus), hanno suscitato enorme interesse tra i partecipanti dei Venice Production Bridge e tra i numerosissimi spettatori della Mostra.
Come contributo al riconoscimento della Virtual Reality quale forma d’arte emergente, la Biennale ha pertanto riconosciuto l’importanza di sostenere gli autori che fanno propria questa moderna tecnologia utilizzandola come nuovo mezzo di espressione artistica, e ha ritenuto che i tempi siano maturi per dare vita a questa prima competizione.“
Per questa sezione la giuria è presieduta da John Landis e con lui la regista e sceneggiatrice francese Céline Sciamma e l’attore e regista italiano Ricky Tognazzi.
Che dire, esperienza davvero interessante a cui dedico la giornata di oggi. Già è suggestiva la location, l’Isola Lazzaretto Vecchio, in particolare la commistione tra luogo decadente e recuperato al degrado del tempo e massima tecnologia. Purtroppo il tempo non è stato clemente, con un cielo grigio e un temporale fortissimo che hanno reso impraticabili alcune opere, ma ciò che sono riuscito a vedere, più che altro a sperimentare, ha lasciato il segno. Perché è una fruzione diversa, non penso un intero film sarà mai possibile, perché fisicamente è impegnativo, ma per alcuni minuti lasciarsi andare a sollecitazioni artificiali che smuovono emozioni vere è davvero folgorante. In un flusso che non dettaglierò meglio perché è stato bello viverlo così, senza soluzione di continuità, dentro e fuori da sollecitazioni diversissime, sono passato da indossare un cappotto e tenere una pietra in mano mentre mi trovavo in un buco circondato da persone poco amichevoli a essere in una puntata di Gomorra. Davvero un’esperienza unica.
Ma oggi ci sono anche gli ultimi due film in Concorso e ho in programma una tavola rotonda con John Woo, a disposizione della stampa per la presentazione del suo Manhunt fuori concorso.
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JUSQU’A LA GARDE
di Xavier Legrand
Francia / 90’
cast Denis Ménochet, Léa Drucker, Thomas Gioria, Mathilde Auneveux, Saadia Bentaïeb, Sophie Pincemaille, Emilie Incerti-Formentini
SINOSSI
Myriam e Antoine Besson hanno divorziato, e Myriam cerca di ottenere l’affido esclusivo del figlio Julien per proteggerlo da un padre che ritiene violento. Antoine perora la propria causa di padre disprezzato e il giudice assegnato al caso decide per l’affido congiunto. Vittima del conflitto sempre più esacerbato tra i suoi genitori, Julien viene spinto al limite per evitare che accada il peggio.
COMMENTO DEL REGISTA
Una coppia divorzia e i due genitori si fronteggiano in merito all’affido del figlio. Ogni giorno, migliaia di persone vivono esattamente la stessa situazione. Mostrando quelle che apparentemente sembrano essere vicissitudini di ordinaria amministrazione, il film rivela la violenza sotterranea, le paure taciute, le minacce sommesse. Più che trattare la separazione dei Besson come il tema centrale di un dramma sociale o familiare, volevo realizzare un film politico, un film di guerra, forse addirittura un film horror.
COMMENTO PERSONALE
Un film duro, asciutto, rigoroso ma aggiungerei a senso unico. Fino a quando il dubbio resta tale il film stimola riflessioni interessanti, nel momento in cui le certezze si palesano l’opera perde spessore. Ciò non toglie un’ottima padronanza del mezzo cinematografico come veicolo di messaggi e messa in scena di emozioni. Il bambino protagonista era presente in conferenza stampa, quindi posso testimoniare che è vivo e sta bene (capirete perché dopo avere visto il film).
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HANNAH
di Andrea Pallaoro
Italia, Belgio, Francia / 95’
cast Charlotte Rampling, André Wilms
SINOSSI
Hannah è il ritratto intimo di una donna che perde la sua identità e non riesce ad accettare la realtà che la circonda. Rimasta sola, alle prese con le conseguenze dell’arresto del marito, Hannah inizia a sgretolarsi. Attraverso l’esplorazione della sua identità frantumata e della perdita di autocontrollo, il film indaga l’alienazione della modernità, la difficoltà di avere relazioni, il confine tra identità individuale, rapporti umani e pressioni sociali.
COMMENTO DEL REGISTA
Hannah esplora il tormento interiore di una donna che non vuole accettare la realtà, intrappolata nel suo senso di lealtà e devozione, paralizzata da insicurezze e dipendenze. La disperazione di Hannah mi tocca profondamente, forse perché sono consapevole di quanto il mondo possa essere spietato nei suoi confronti, o forse perché riconosco in lei alcune parti di me stesso. Quello che so è che con questo film volevo sentirmi vicino a lei, tenerle la mano, incoraggiarla, rassicurarla. Più di ogni altra cosa, volevo che il mondo la vedesse, percepisse il suo dolore e assistesse al suo sforzo di ridefinirsi, da sola.
COMMENTO PERSONALE
Hannah è il tipico caso di scavo di personaggio attraverso una tecnica di pedinamento. Protagonista assoluta è infatti una meravigliosa Charlotte Rampling che con il suo carisma e la grande presenza scenica nobilita un film che mostra il dietro le quinte di una tragedia familiare (che non sapremo mai). Se l’operazione è portata avanti con coerenza, viene però appesantita da vezzi autoriali un po’ consunti (lo psicodramma in cui si recita la vita) e simbolismi un po’ scoperti (quell’enorme pesce spiaggiato in cui specchiarsi) che appesantiscono la visione. Andrea Pallaoro continua il suo percorso autoriale con onestà di intenti. Interessante con riserva.
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MANHUNT
di John Woo
Cina, Hong Kong / 106’
dal romanzo Kimiyo funnu no kawa wo watare di Juko Nishimura
cast Hanyu Zhang, Masaharu Fukuyama, Wei Qi, Ha Jiwon
SINOSSI
Prodotto e distribuito da Media Asia Films, Zhuibu, diretto da John Woo, riunisce i migliori talenti di Cina, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong per un film d’azione spettacolare. Prodotto da Gordon Chan e Chan Hing-kai, i principali interpreti sono Masaharu Fukuyama, Zhang Hanyu, Qi Wei, Ha Ji-won e Angeles Woo. Alla sua realizzazione, hanno contribuito il noto scenografo Yohei Tanada, il direttore della fotografia Takuro Ishizaka e l’autore della colonna sonora Taro Iwashiro. È un adattamento del romanzo Kimi yo Fundo no Kawa wo Watare (Devi attraversare il fiume dell’ira) di Yuko Nishimura, pubblicato da Tokuma Shoten, e del film omonimo prodotto da Kadokawa Pictures. Il film è stato girato in varie località del Giappone, tra le quali Osaka. Zhuibu racconta dell’onesto avvocato Du Qiu, che è costretto a seguire un caso di omicidio finché le prove raccolte indicano lui come il responsabile. Sapendo di essere stato incastrato da Luo Zhi, Du Qiu fugge per scoprire la verità. La polizia inizia una gigantesca caccia all’uomo, ma l’esperto detective Yamura si rende conto che questo caso apparentemente già chiuso non è affatto così semplice. Durante questa violenta caccia, si crea un legame tra fuggitivo e inseguitore anche se Yamura sa di non potersi fidare del tutto di Du Qiu. Il vero assassino si sta nascondendo? C’è un complotto nascosto dietro l’omicidio?
COMMENTO DEL REGISTA
La mia infatuazione per il cinema giapponese è cominciata in tenera età. All’epoca in cui iniziavamo a conoscere il cinema, eravamo molto influenzati e ispirati dai film giapponesi. Ho grande stima per molti registi e attori giapponesi, soprattutto Ken Takakura. La sua grazia e il suo carisma mi hanno colpito profondamente, e sono orgoglioso di definirmi un fan delle sue opere. L’occasione di fare un remake di Zhuibu è giunta poco dopo la morte di Takakura. Avevo sempre desiderato girare un film che gli rendesse omaggio, e avere l’opportunità di realizzare un film del genere in Giappone è stato il coronamento di un sogno che avevo accarezzato per molti anni. Questo è il motivo per cui Zhuibu occupa un posto speciale nella mia carriera. Il film è influenzato dai gialli pieni di suspense di Alfred Hitchcock. Parla di un uomo giusto che è stato incastrato per un crimine che non ha commesso. Con l’aiuto di un detective onesto, scopre la verità e sconfigge i cattivi. Il film parla anche di amicizia, un tema trattato da molte delle mie opere. Allo stesso tempo, Zhuibu è il mio tributo ai polizieschi degli anni sessanta e settanta. Ritengo che i migliori film della storia del cinema mondiale appartengano a quell’epoca, un’epoca d’oro per i registi e gli autori. Lo spirito glorioso di quei film si percepisce nella storia, nei personaggi, nella musica e anche nella scenografia del film. Spero sinceramente che Zhuibupiaccia a tutti voi!
COMMENTO PERSONALE
Se non si leggesse la firma dell’iperbolico John Woo il film si confonderebbe tra i mille action prodotti tra Hong Kong e la Cina che non trovano mercato al di fuori dei paesi di origine. Perché, infatti, è di una povertà narrativa, di idee, ma anche di mezzi, che lascia più assonnati che partecipi. La cosa pi interessante è stata partecipare a una tavola rotonda con l’opportunità di fare qualche domanda al celeberrimo regista, molto disponibile al dialogo e cortese. Quanto arriva il mio turno gli chiedo del suo rapporto con il 3D e la sua risposta conferma una distanza dalle mode del momento e una personalità forte, con una chiara visione del cinema. Il 3D, infatti, non rientra tra gli interessi di Woo, ma forse lo potevamo intuire.
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Sabato 9 settembre 2017
Giornata dedicata al recupero delle forze, al ricongiungimento con la famiglia (tutti al mare ad Alberoni) e ai tanto attesi premi.
VENEZIA 74
LEONE D’ORO per il miglior film a:
THE SHAPE OF WATER
di Guillermo del Toro (USA)
LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
FOXTROT
di Samuel Maoz (Israele, Germania, Francia, Svizzera)
LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Xavier Legrand
per il film JUSQU’À LA GARDE (Francia)
COPPA VOLPI
per la migliore attrice a:
Charlotte Rampling
nel film HANNAH di Andrea Pallaoro (Italia, Belgio, Francia)
COPPA VOLPI
per il miglior attore a:
Kamel El Basha
nel film THE INSULT di Ziad Doueiri (Libano, Francia)
PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Martin McDonagh
per il film THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh (Gran Bretagna)
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
SWEET COUNTRY
di Warwick Thornton (Australia)
PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Charlie Plummer
nel film LEAN ON PETE di Andrew Haigh (Gran Bretagna)
ORIZZONTI
il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
NICO, 1988
di Susanna Nicchiarelli (Italia, Belgio)
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Vahid Jalilvand
per BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE) (Iran)
il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
CANIBA
di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor (Francia, Usa)
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Lyna Khoudri
nel film LES BIENHEUREUX di Sofia Djama (Francia, Belgio, Qatar)
il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Navid Mohammadzadeh
nel film BEDOUNE TARIKH, BEDOUNE EMZA (NO DATE, NO SIGNATURE)
di Vahid Jalilvand (Iran)
PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Alireza Khatami
per il film LOS VERSOS DEL OLVIDO di Alireza Khatami (Francia, Germania, Paesi Bassi, Cile)
PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2017 a:
GROS CHAGRIN
di Céline Devaux (Francia)
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA
LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
JUSQU’À LA GARDE
di Xavier Legrand (Francia)
nonché e un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.
VENEZIA CLASSICI
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
THE PRINCE AND THE DYBBUK
di Elwira Niewiera e Piotr Rosołowski (Polonia, Germania)
il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
IDI I SMOTRI (VA’ E VEDI)
di Elem Klimov (URSS, 1985)
VENICE VIRTUAL REALITY
La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality, presieduta da John Landis e composta da Céline Sciamma e Ricky Tognazzi, assegna:
PREMIO MIGLIOR VR a:
ARDEN’S WAKE (EXPANDED)
di Eugene YK Chung (USA)
PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR (PER CONTENUTO INTERATTIVO) a:
LA CAMERA INSABBIATA
di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang (USA, Taiwan)
PREMIO MIGLIORE STORIA VR (PER CONTENUTO LINEARE) a:
BLOODLESS
di Gina Kim (Corea del Sud, USA)
I premi alla fine sono sempre la volontà di una giuria, quindi di poche persone, scelte per la loro carriera, la celebrità (quindi il riverbero che sono in grado di generare) e la sensibilità artistica. Ma comunque si tratta di persone, poche, che riunite intorno a un tavolo (e lussuosamente coccolate per 10 giorni) decidono di comune accordo, o attraverso discussioni che si immaginano condite di passione, chi è meritevole di passare alla storia, se non del cinema, perlomeno del festival.
Molto contento per The Shape of Water, perché, come più volte sottolineato, è succo di cinema al 100%. Si dirà popolare, romantico, per alcuni addirittura ruffiano, ma poco importa, è un film che ha forza e carattere per imporsi e per restare nella memoria.
Troppa grazia nei confronti di Jusqu’à la garde, sia Migliore Regia che Migliore Opera Prima. Il regista ha sicuramente la capacità di mettere in scena un disagio, ma le conclusioni a cui giunge sono più cinematografiche (una mescolanza di generi consapevole) che originali e significative (quell’orco che sembra un orco e alla fine lo è).
La sceneggiatura, almeno quella, pare un atto dovuto per Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, e non deve essere stato semplice esclude la bravissima Frances McDormand, anche se Charlotte Rampling è meravigliosa in Hannah, molto più del film.
Discorso a parte, che merita una riflessione, sul migliore attore. In un film come The Insult che fa uno sforzo davvero encomiabile per mantenersi equilibrato nei confronti di un conflitto bruciante e attuale più che mai, davvero inspiegabile la scelta di sbilanciarsi a favore di uno dei due protagonisti premiando Kamel El Basha, interprete della parte palestinese del conflitto. Tra l’altro non è che uno dei due attori si distingua maggiormente rispetto all’altro, quindi pare proprio una scelta politica, e come tale assurda perché in contrasto con il fine dell’opera che è quello di fare chiarezza cercando il più possibile di mettere a tacere gli animi.
Contentissimo invece per la vittoria di Nico, 1988 nella sezione Orizzonti. Perché è un film che esce dal panorama classico delle produzioni italiane e mira al mercato internazionale, ma soprattutto perché è un bel film, a cui speriamo che il mercato conceda una chance. Quindi andatelo a vedere perché merita.
Al di là delle polemiche che seguono tutti i palmares un’unica certezza: è stata un’ottima edizione, in grado di proporre nuovi autori, mostri sacri e quel pizzico di folle creatività che da uno dei festival più importanti del mondo ci si aspetta. È quindi con il cuore gonfio di cinema e di emozioni, e con nell’aria quell’odore che solo il Lido è in grado di evocare con la sua vegetazione marittima, che vi saluto e vi ringrazio per la compagnia in questi 10 giorni di cinema. Dalle pagine di Centraldocinema è tutto. Alla prossima!!
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Ottima edizione del Festival di Venezia con un concorso di buon livello con alcune vette interessanti.
La media voto complessiva del festival è di 6,66, superiore al 6,58 dello scorso anno. Interessante la novità del cinema VR, con il bellissimo Arden’s wake che si guadagna la palma di uno dei tre film piu belli visti al Festival!
Ecco tutti i voti di Centraldocinema:
THREE BILLBOARDS OUTSIDE EBBING, MISSOURI di MARTIN McDONAGH 9
ARDEN’S WAKE EXPANDED 9
INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO 9
DUNKIRK 8,5
THE SHAPE OF WATER di GUILLERMO DEL TORO 8
THE LAST GOODBYE 8
MOTHER! di DARREN ARONOFSKY 7,5
MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO di ABDELLATIF KECHICHE 7,5
LA CAMERA INSABBIATA 7,5
SUBURBICON di GEORGE CLOONEY 7
FIRST REFORMED di PAUL SCHRADER 7
WORMWOOD 7
IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE 7
BRAWL IN CELL BLOCK 99 7
Getting Naked: A Burlesque Story 7
GREENLAND MELTING 7
REBEL QUEEN 7
MIYUBI 7
THE INSULT di ZIAD DOUEIRI 6,5
LA VILLA di ROBERT GUÉDIGUIAN 6,5
LEAN ON PETE di ANDREW HAIGH 6,5
AMMORE E MALAVITA di MANETTI Bros. 6,5
DOWNSIZING di ALEXANDER PAYNE 6,5
SWEET COUNTRY di WARWICK THORNTON 6,5
THE LEISURE SEEKER di PAOLO VIRZÌ 6,5
JIM & ANDY: THE GREAT BEYOND – THE STORY OF JIM CARREY & ANDY KAUFMAN WITH A VERY SPECIAL, CONTRACTUALLY OBLIGATED MENTION OF TONY CLIFTON 6,5
NICO, 1988 6,5
NOTHING HAPPENS 6,5
HUMAN FLOW di AI WEIWEI 6
SANDOME NO SATSUJIN (THE THIRD MURDER) di KORE-EDA HIROKAZU 6
FOXTROT di SAMUEL MAOZ 6,00 6
EX LIBRIS – THE NEW YORK PUBLIC LIBRARY di FREDERICK WISEMAN 6
CASA D’ALTRI 6
VICTORIA & ABDUL 6
LOVING PABLO 6
BRUTTI E CATTIVI 6
SHI MENG LAO REN (THE DREAM COLLECTOR) 6
DISPATCH 6
ON/OFF 6
SENS – PART 1 6
ALTERATION 6
JUSQU’À LA GARDE di XAVIER LEGRAND 5,5
JIA NIAN HUA (ANGELS WEAR WHITE) di VIVIAN QU 5,5
LA MÉLODIE 5,5
UNA FAMIGLIA di SEBASTIANO RISO 5
LE FIDÈLE 5
Vito Casale