Centraldocinema in diretta

dal Lido di Venezia

(2018)

 

vi seguiamo giorno per giorno durante il festival

con recensioni e commenti

di Luca Baroncini

 

Centraldocinema è ancora una volta sul pezzo e in diretta dal Lido di Venezia vi aggiornerà quotidianamente su ciò che accade in laguna durante lo svolgimento di uno dei più importanti festival del mondo, forse il più importante da quando Cannes ha deciso di chiudere le porte a Netflix e al futuro che avanza. Non a caso il mantra che ricorre è “Berlino è la nuova Locarno, Cannes è la nuova Berlino e Venezia è la nuova Cannes”, proprio per la capacità del festival italiano di abbinare un percorso di ricerca ai film più attesi della stagione. Le aspettative sono quindi alle stelle e il programma dei film in concorso ha suscitato grida di giubilo ed estasi. Il frullato misto di cinema di ogni tipo e glamour sembra perfetto: Carlos Reygadas e Lady Gaga, Netflix e la sala, Alfonso Cuaron e Olivier Assayas. Ma i nomi che brillano già sulla carta di questa nuova pagina festivaliera sono molti di più. Non resta che vedere se le promesse saranno mantenute, cercando però di mantenere lo sguardo il più neutro possibile, entrando quindi nella sala lasciando fuori pregiudizi e preconcetti. Ovviamente c’è anche un rovescio della medaglia da parte di chi teme che tanta grandeur (per rubare un termine caro al concorrente d’Oltralpe) possa celebrare un’autorialità universalmente riconosciuta mettendo in secondo piano la capacità di osare e sperimentare, ma sembrano timori un po’ infondati perché il festival si assume anche dei rischi puntando, non solo nelle sezioni collaterali, su qualche nome non proprio blasonato. Come al solito è tutto da valutare in corso d’opera, quindi direttamente dal festival cercando di non perdere le tante opportunità offerte.

 

Ogni festival ha il suo profumo. Quello del Lido lo riconosci appena sbarchi dal vaporetto e ti avvolge catapultandoti in fila per accedere in sala dopo i passaggi di rito nella casa che ti ospiterà per dieci giorni e al ritiro accrediti che, sempre per dieci giorni, ti penzolerà dal collo, caratterizzando il tuo ruolo di piccolo ingranaggio nell’enorme meccanismo festivaliero.

 

Visti i tanti accessi dell’anno scorso, anche per il 2018 il diario/reportage veneziano sarà organizzato nello stesso modo:

 

SINOSSI e COMMENTO DEL REGISTA (quest’ultimo, se presente) presi dal catalogo (è finito il tempo dell’enorme tomo cartaceo, ora è tutto online) a cui segue il mio COMMENTO PERSONALE, sul film trattato e su ciò che emerge dalla giornata. Il tempo è sempre tiranno a un festival, le visioni rischiano di sovrapporsi se non ci si ferma un attimo per fare il punto, ma cercherò, appunto, di farlo in modo da non dare ascolto solo alla pancia che quasi sempre è cattiva consigliera. Non mi resta che augurarvi buona lettura!

 

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Mercoledì 29 agosto 2018

 

Il mercoledì di esordio è sempre giornata caotica in cui fino a quando non sei seduto dentro alla sala e immerso nel buio ti sembra sempre di avere dimenticato di fare qualcosa di fondamentale. Ogni timore scompare quando le prime immagini cominciano a scorrere.

 

Come sempre l’inaugurazione è anche occasione assai mondana in cui le istituzioni si affiancano alle celebrità, viene presentata al pubblico la giuria, che sfila sul tappeto rosso, e, non ultima, arriva la delegazione del film di apertura. Tanti, quindi

, i nomi importanti che si susseguono in passerella: Damien Chazelle, Ryan Gosling e Claire Foy (nei panni dell’a

stronauta Neil Armstrong e di sua moglie), il Leone alla Carriera Vanessa Redgrave, il presidente della giuria del concorso Guillermo Del Toro, i giurati Christoph Waltz e Naomi Watts, il presidente della Biennale Paolo Baratta, oltre ovviamente al direttore della mostra Alberto Barbera. Quest’anno, cavalcando un po’ la moda del momento che giustamente prevede un’alternanza, ci sarà un ‘padrino’ a condurre la cerimonia di apertura e quella di chiusura, il bravo attore Michele Riondino.

 

Ma ecco i due film che caratterizzano la giornata:

 

 

FIRST MAN

 

Regia: Damien Chazelle
Produzione: Temple Hill Entertainment (Wyck Godfrey, Marty Bowen), Damien Chazelle, Universal Pictures, DreamWorks Pictures, Perfect World Pictures, Steven Spielberg, Isaac Klausner, Adam Merims, Josh Singer
Durata: 135’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Ryan Gosling, Jason Clarke, Claire Foy, Kyle Chandler, Corey Stoll, Ciaran Hinds, Christopher Abbott, Patrick Fugit, Lukas Haas

 

SINOSSI

First Man narra l’avvincente storia della missione della NASA per portare un uomo sulla Luna. Il film si concentra sulla figura di Neil Armstrong e gli anni tra il 1961 e il 1969. Resoconto viscerale e in prima persona, basato sul libro di James R. Hansen, il film esplora i sacrifici e il costo, per Armstrong e per l’intera nazione, di una delle missioni più pericolose della storia.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Prima di iniziare a lavorare a First Man, conoscevo la storia della missione sulla Luna, la storia di successo di una conquista leggendaria… ma nulla di più. Dopo avere iniziato a esplorare il tema in profondità, sono rimasto sbalordito di fronte alla follia e al pericolo dell’impresa: il numero di volte in cui è stata sull’orlo del fallimento così come il pesante tributo costato a tutte le persone coinvolte. Volevo capire cosa potesse avere spinto quegli uomini a intraprendere un viaggio nella vastità infinita dello spazio, e quale sia stata l’esperienza vissuta, momento dopo momento, passo dopo passo. E per poter capire dovevo necessariamente addentrarmi nella vita privata di Neil. Questa è una storia che doveva essere articolata tra la Luna e il lavello della cucina, tra l’immensità dello spazio e il tessuto della vita quotidiana. Ho deciso di girare il film come un reportage, e di catturare sia la missione nello spazio che i momenti più intimi e privati della famiglia Armstrong come un testimone invisibile. Speravo che questo approccio potesse mettere in luce il tormento, la gioia, i momenti di vita vissuta e perduta in nome di uno dei traguardi più celebri della storia: lo sbarco sulla Luna.

 

COMMENTO PERSONALE

Apertura con un film solido che trasforma una vicenda arcinota in un viaggio all’interno dell’animo umano. È la dimensione intima che sembra interessare maggiormente Chazelle, il quotidiano di chi ha vissuto un evento che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità. Il risultato è tecnicamente convincente, ordinario e straordinario, però, faticano a convivere a causa soprattutto di una sceneggiatura che, fingendo di non farlo, finisce per esagerare con patriottismo e ricerca delle lacrime. Ryan Gosling è perfettamente in parte, fin troppo forse nella sua fissità e Clare Foy si conferma attrice da tenere d’occhio prenotandosi un posto nella stagione dei premi. Plauso alla bellissima colonna sonora di Oscar Hurwitz, lo stesso del celeberrimo “La La Land”, che comunica ciò che immagini, silenzi e parole non sempre riescono a trasmettere con efficacia.

 

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SULLA MIA PELLE

Italia, Belgio / 93’

Regia: Alessio Cremonini
Produzione: Cinemaundici (Luigi Musini, Olivia Musini), Lucky Red (Andrea Occhipinti)
Durata: 100’
Lingua: italiano
Paesi: Italia
Interpreti: Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano

SINOSSI

L’emozionante racconto degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi e della settimana che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Quando Stefano Cucchi muore nelle prime ore del 22 ottobre 2009, è il decesso in carcere numero 148 di quell’anno. Al 31 dicembre, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: in due mesi, 30 morti in più. Nei sette giorni che vanno dall’arresto alla morte, Stefano Cucchi viene a contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri. E in pochi, pochissimi, intuiscono il dramma che sta vivendo.

È la potenza di queste cifre, il totale dei morti in carcere e quello del personale incontrato da Stefano durante la detenzione, che mi ha spinto a raccontare la sua storia: sono numeri che fanno impressione, perché quei numeri sono persone.

Di tutta la vicenda, le polemiche, i processi, è l’ovvia ma allo stesso tempo penosa impossibilità di difendersi, di spiegarsi, da parte della vittima ad avermi toccato profondamente: tutti possono parlare di lui, tranne lui. Ecco, Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, e ridargli vita. Movimento. Parola.

Sulla mia pelle, fra le varie cose, è un modo di battersi, di opporsi alla più grande delle ingiustizie: il silenzio. Di tutte le parole che negli anni sono state spese sul suo caso queste sono, per me, le più illuminanti: “Non è accettabile, da un punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia non per cause naturali mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello Stato” (Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma).

 

COMMENTO PERSONALE

Che colpo al cuore. Uno di quei film in cui il riaccendersi della luce in sala, e il ritorno alla realtà, viene colto quasi come un’intrusione in uno stato d’animo emotivamente scosso, per non dire devastato. Un film importante (non dico “necessario” perché termine abusato) che Alessio Cremonini riesce a non trasformare in un mero film di denuncia privo di direzione se non la pancia dello spettatore. È apprezzabile, ad esempio, che la violenza sia lasciata fuori campo, una scelta di regia che dice molto del pudore e della sensibilità con cui la materia, delicata e attuale, è trattata. Da brivido l’interpretazione di Alessandro Borghi che si conferma come uno degli attori più bravi della sua generazione e vincerà tutti i premi possibili. A Jasmine Trinca occorre poco, come al solito, per illuminare il suo personaggio (è la sorella di Stefano Cucchi). Si captano già polemiche per la distribuzione Netflix, ma il film dal 12 settembre uscirà anche nelle sale, poche però perché sono pochi gli esercenti che hanno accettato di programmarlo vista la concorrenza, ritenuta impari e danneggiante, del colosso americano di streaming.

 

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Giovedì 30 agosto 2018

 

Dopo una partenza interessante ma non travolgente con il film di Chazelle il Concorso nella sua seconda giornata propone due dei titoli più attesi, non solo dell’intera competizione ma proprio a livello planetario: Roma di Alfonso Cuaron  e The Favourite di Yorgos Lanthimos. Due film di cui si parla da tantissimo, soprattutto del primo che pare fosse già pronto per Cannes prima della decisione del festival francese di escludere Netflix dalla selezione ufficiale. C’è però posto anche per un titolo dal minore appeal, The Mountain di Rick Alverson, con cui cominciamo la nostra rassegna giornaliera. A seguire gli altri, attesissimi, due film.

 

THE MOUNTAIN

Regia: Rick Alverson
Produzione: VICE Studios (Danny Gabal), Remergence (Sara Murphy, Ryan Zacarias)
Durata: 106’
Lingua: inglese, francese
Paesi: Usa
Interpreti: Tye Sheridan, Jeff Goldblum, Hannah Gross, Denis Lavant, Udo Kier

 

SINOSSI

Nell’America degli anni Cinquanta, un giovane introverso si unisce a un famoso lobotomista che promuove la propria procedura, la cui validità è stata da poco smentita. Durante le visite agli ospedali psichiatrici, il giovane comincia a identificarsi con i pazienti, in particolare con la figlia di un carismatico leader del nascente movimento New Age nelle regioni dell’Ovest.

 

COMMENTO PERSONALE

Non stride in concorso perché opera sperimentale e più arty che di intrattenimento, quindi completa lo sguardo a 360° sul cinema mondiale, però non si può dire un film riuscito. Ispirato alla vera storia del medico che eseguì con pessimi risultati una lobotomia su Rosemary Kennedy, la figlia di Joseph Kennedy, deciso a reprimere la sessualità troppo libera e l’instabilità emotiva della donna, punta a mettere in scena la solitudine e il malessere, aderendo allo sguardo del giovane protagonista. L’intreccio tra commedia ai limiti del surreale e dramma, però, finisce per stridere senza riuscire a tradursi in un percorso davvero comunicativo. Si sfiorano almeno due temi: la lobotomia come metafora della coercizione sociale volta a reprimere l’espressione individuale e l’America come immagine di perfezione che non accetta chi è lontano da una sorta di norma collettiva che tutto decide e tutto appiattisce. Tutto, però, arriva sfocato e inquinato da scelte cromatiche, inquadrature sghembe, recitazione al limite del grottesco, prossimi soprattutto all’esercizio di stile. L’aspetto più interessante del progetto è ritrovare Jeff Goldblum e il suo istrionismo. Per il resto un grande boh. Accoglienza tiepida.

 

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ROMA

Regia: Alfonso Cuarón
Produzione: Gabriela Rodríguez, Alfonso Cuarón, Nicolás Celis, Esperanto Filmoj, Participant Media
Durata: 135’
Lingua: spagnolo, mixteco
Paesi: Messico
Interpreti: Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Nancy Garcia, Jorge Antonio, Veronica Garcia, Marco Graf, Daniela Demesa, Carlos Peralta, Diego Cortina Autrey

 

SINOSSI

 

ROMA, il film più personale mai realizzato finora dal regista e sceneggiatore Alfonso Cuarón, narra un anno turbolento nella vita di una famiglia borghese, nella Città del Messico degli anni Settanta. Cuarón, ispirato dalle donne della sua infanzia, offre una raffinata ode al matriarcato che ha plasmato il suo mondo. Vivido ritratto dei conflitti interni e della gerarchia sociale al tempo dei disordini politici, ROMA segue le vicende di una giovane domestica, Cleo, e della sua collaboratrice Adela, entrambe di origine mixteca, che lavorano per una piccola famiglia nel quartiere borghese di Roma. Sofia, la madre, deve fare i conti con le prolungate assenze del marito, mentre Cleo affronta sconvolgenti notizie che minacciano di distrarla dalla cura dei quattro figli della donna, che lei ama come fossero suoi. Mentre cercano di costruire un nuovo senso di amore e di solidarietà, in un contesto di gerarchia sociale dove classe ed etnia si intrecciano in modo perverso, Cleo e Sofia lottano in silenzio contro i cambiamenti che penetrano fin dentro la casa di famiglia, in un paese che vede la milizia sostenuta dal governo opporsi agli studenti che manifestano. Girato in un luminoso bianco e nero, ROMA è un ritratto intimo, straziante e pieno di vita dei modi, piccoli e grandi, con cui una famiglia cerca di mantenere il proprio equilibrio in un periodo di conflitto personale, sociale e politico.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Ci sono periodi nella storia che lasciano cicatrici nelle società, e momenti nella vita che ci trasformano come individui. Tempo e spazio ci limitano, ma allo stesso tempo definiscono chi siamo, creando inspiegabili legami con altre persone, che passano con noi per gli stessi luoghi nello stesso momento. ROMA è il tentativo di catturare il ricordo di avvenimenti che ho vissuto quasi cinquant’anni fa. È un’esplorazione della gerarchia sociale del Messico, paese in cui classe ed etnia sono stati finora intrecciati in modo perverso. Soprattutto, è un ritratto intimo delle donne che mi hanno cresciuto, in riconoscimento al fatto che l’amore è un mistero che trascende spazio, memoria e tempo.

 

COMMENTO PERSONALE

È un viaggio nella memoria quello che ci propone il regista messicano, una storia personale e intima che diventa universale riverberandosi nella memoria di ognuno di noi, grazie alla magia del cinema. Poco altro da aggiungere per un cinema che colpisce esteticamente (fotografia meravigliosa, un paio di sequenze memorabili) e si insinua in profondità smuovendo ricordi personali totalmente differenti ma simili nell’afflato. il grande schermo è la sua naturale destinazione, tanto sono ricche di dettagli le immagini, e la distribuzione Netflix rischia in tal senso di penalizzarlo. Fondamentale anche il contributo sonoro. Nella sequenza, tesa e toccante, della tata che va in mare per recuperare i bimbi in preda alle onde, gli effetti sonori (sarà che ero sotto alle casse) ti trasportano davvero lì. Si candida già alla vittoria del Leone d’Oro perché è un cinema potente, apparentemente semplice, in grado di parlare a tutti e di toccare nel profondo.

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THE FAVOURITE

Regia: Yorgos Lanthimos
Produzione: Element Pictures (Ed Guiney, Andrew Lowe), Scarlet Films (Ceci Dempsey), Yorgos Lanthimos, Lee Magiday, Fox Searchlight Pictures, Film4, Waypoint Entertainment
Durata: 120’
Lingua: inglese
Paesi: Gran Bretagna, Irlanda, Usa
Interpreti: Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Alwyn

SINOSSI

Inizio del XVIII secolo. L’Inghilterra è in guerra con la Francia. Ciononostante, le corse delle anatre e gli ananas ai banchetti spopolano. Una gracile regina Anna occupa il trono, mentre la sua amica intima Lady Sarah governa il paese al posto suo, prendendosi cura della sua salute cagionevole e del suo carattere volubile. Quando arriva Abigail, una nuova cameriera, il suo fascino la fa entrare nelle grazie di Sarah, che la prende sotto la sua ala protettrice, facendole intravedere l’occasione di tornare alle sue radici aristocratiche. Poiché la politica bellica assorbe Sarah quasi completamente, Abigail prende il suo posto come compagna della regina. La loro fiorente amicizia consente ad Abigail di realizzare le sue ambizioni: non permetterà che donna, uomo, questione politica o un coniglio si mettano sulla sua strada.

 

COMMENTO PERSONALE

Una realtà distorta e malata valorizzata da un grandangolo che estremizza, ai limiti del grottesco, dinamiche, situazioni e stati d’animo. Un Lanthimos inconsueto che parlando questa volta al passato (l’Inghilterra del XVIII secolo), continua a mettere a nudo il presente. La manipolazione, il dominio sull’altro, le lotte di potere, i conflitti di classe, sono infatti temi universali e adatti a qualunque epoca e latitudine. Per esplicitare tutto ciò cosa è meglio di un regno dove chi comanda (la regina Anna) ha più potere che idee e chi è nell’ombra (Lady Sarah) con le sue idee quel potere è in grado di conquistarlo? Perfetto il trio di attrici protagoniste: Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz, destinate a far man bassa di premi.

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Venerdì 31 agosto 2018

 

Comincia il periodo più caldo del festival, quello del primo week-end. Oggi tutti i riflettori sono puntati su Lady Gaga che offuscherà chiunque si avvicinerà alla passerella. In concorso, intanto, una bella doppietta: Olivier Assayas e i fratelli Coen.

 

THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS

Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Produzione: Netflix, Annapurna Pictures
Durata: 132’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Tim Blake Nelson, James Franco, Liam Neeson, Tom Waits, Bill Heck, Zoe Kazan, Tyne Daly, Brendan Gleeson

 

SINOSSI

The Ballad of Buster Scruggs è un film antologico in sei parti di ambientazione western. Il film si compone di una serie di storie sulla frontiera americana raccontate dalla voce unica e inimitabile di Joel ed Ethan Coen. Ogni capitolo racconta una storia diversa sul West americano.

 

COMMENTO DEI REGISTI

Ci sono sempre piaciuti i film antologici, in particolare i film girati in Italia negli anni Sessanta, che mettevano insieme opere di diversi registi incentrate su uno stesso tema. Nello scrivere un’antologia di storie western, abbiamo tentato di fare la stessa cosa, sperando di ingaggiare i migliori registi attualmente in circolazione. È stata una grande fortuna che entrambi abbiano accettato di partecipare.

COMMENTO PERSONALE

Puro succo di Coen al 100% che adattano il loro sguardo stranulato, caustico e malinconico al western, raccontando sei episodi che illustrano il libro La ballata di Buster Scruggs e altre storie della frontiera americana. Un gioco cinefilo solo a tratti raffinato ma divertente nel modo con cui smitizza il west omaggiandolo con amore. Tanti i generi che si intrecciano, musical, commedia, dramma, horror, con punte (il viaggio di una giovane donna verso l’Oregon con una carovana guidata da un cowboy apparentemente rude e taciturno in The Gal Who Got Rattled ) e cadute (l’ultimo episodio, The Mortal Remains, poco più di un racconto della cripta). Il rischio, con gli ultimi Coen, è quello del giochino citazionista in cui a divertirsi sono soprattutto loro.

 

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A STAR IS BORN

Regia: Bradley Cooper
Produzione: Warner Bros, Live Nation Productions, Metro Goldwin Mayer Pictures, Bill Gerber, Jon Peters, Bradley Cooper, Todd Philips, Lynette Howell Taylor
Durata: 135’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Lady Gaga, Bradley Cooper, Sam Elliott, Andrew Dice Clay, Dave Chappelle

 

SINOSSI

In questa nuova lettura dell’iconica storia d’amore, Bradley Cooper debutta alla regia raffigurando il maturo musicista Jackson Maine che scopre e si innamora di Ally, un’artista in difficoltà interpretata da Lady Gaga. Ally ha abbandonato il sogno di diventare una cantante di successo finché non incontra Jack, che riconosce immediatamente il suo talento naturale. Questo racconto intimo ci conduce in un viaggio nella bellezza e nelle difficoltà di un rapporto che fatica a sopravvivere.

COMMENTO DEL REGISTA

Tutto si riduce a questa impossibile storia d’amore. Non si può controllare ciò che ci commuove e io ho sempre voluto narrare una storia d’amore. La musica per me è il mezzo di comunicazione più puro… Quindi, a un certo punto, ho solo dovuto fare un salto.
Mi ha sempre interessato il processo di realizzazione di un film. Sono stato fortunato ad aver lavorato con registi che mi hanno lasciato osservare come operano. Per questo progetto mi sono potuto permettere il lusso del tempo, un fattore che si è dimostrato fondamentale. Mi sono preso il tempo di scrivere, di lavorare con la musica e alla sceneggiatura, di fare le prove per tre anni.
Sono sempre stato appassionato di musica. Aver potuto raccontare questa storia proprio attraverso la musica è un sogno diventato realtà.

COMMENTO PERSONALE

C’era grandissima attesa per questo ennesimo rifacimento di un classico del cinema, perché è il debutto alla regia di un attore molto amato (Bradley Cooper) e, soprattutto, perché è non il debutto ma il primo ruolo da protagonista di una star della musica, Lady Gaga. Il film funziona, farà un sacco di soldi e forse si piglierà pure qualche Oscar, ma la domanda, fondamentale, che mi pongo è: come mai alla fine non ho pianto?  Può sembrare un quesito superficiale, ma per un film che si pone come obiettivo quello di svuotarti di lacrime è invece pura sostanza, la cui analisi smaschera alcune cose che non funzionano, prima fra tutte la sceneggiatura. La protagonista è un talento ed è destinata a diventare una star. Punto. Tutta la sua fatica ci viene raccontata, ma non la viviamo mai insieme a lei che, anzi, viene ritratta nel momento in cui le cose cominciano ad andare da bene a benissimo. Difficile quindi empatizzare con una vincente, anche se travestita da tapina. La regia è sicuramente professionale, ma indugia un po’ troppo su Bradley, ago della bilancia di ogni svolta; considerando che firma il film, la scelta pare un po’ troppo autocelebrativa. Lady Gaga è perfetta per la parte, ma un dubbio si insinua: trattasi di bravura nel recitare o di arte che imitando la vita rende all’interprete la vita abbastanza facile? Difficile rispondere, anche se la sensazione è che di suo la star americana aggiunga poco a un personaggio cucito su misura per le sue doti di interprete musicale. Non a caso le uniche volte in cui il film emoziona è quando Lady Gaga, grande performer, si esibisce nel canto. Mescolando tutte queste considerazioni, il film pare un compito diligente ma non convince appieno. Ah, con Shallow Lady Gaga si prenota l’Oscar per la Migliore Canzone, infatti ti entra in testa e non ne esce più.

 

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DOUBLES VIES (NON-FICTION)

Regia: Olivier Assayas
Produzione: CG Cinéma (Charles Gillibert), Vortex Sutra (Sylvie Barthet), Arte France Cinéma
Durata: 107’
Lingua: francese
Paesi: Francia
Interpreti: Guillaume Canet, Juliette Binoche, Vincent Macaigne, Nora Hamzawi, Christa Théret, Pascal Greggory

SINOSSI

Alain, un editore parigino di successo che fatica ad adattarsi alla rivoluzione digitale, nutre seri dubbi di fronte al nuovo manoscritto di Léonard, uno degli autori con i quali collabora da lunga data, trattandosi dell’ennesima opera autobiografica che prende spunto dalla sua relazione con una celebrità di secondo piano. Selena, moglie di Alain e affermata attrice teatrale, è del parere opposto.

COMMENTO DEL REGISTA

Il mondo nel quale viviamo è sempre stato e continua a essere in costante cambiamento. La sfida riguarda la nostra capacità di tenere d’occhio questa mutazione continua, capire cosa è realmente in gioco, e successivamente adattarvisi o meno. Dopo tutto, questo è l’elemento fondante della politica e delle opinioni. La digitalizzazione del mondo e la sua riduzione ad algoritmi rappresenta il vettore moderno di un cambiamento che ci confonde e travolge incessantemente. L’economia digitale infrange le regole e, spesso, anche le leggi. Inoltre, mette in dubbio tutto ciò che di più stabile e solido sembra esistere nella società e nella realtà circostante, per poi dissolversi nell’istante in cui ne veniamo in contatto. Doubles vies non mira a sondare le dinamiche della new economy. Piuttosto, il suo più modesto intento è osservare in che modo le suddette questioni ci assillano personalmente, emotivamente e, talvolta, comicamente.

 

COMMENTO PERSONALE

Ma quanto è acuta l’analisi di Assayas sulle nuove tecnologie intrecciate al quotidiano di un gruppo alto borghese con tanta voglia di parlare e confrontarsi? Woody Allen è nell’aria, i fantasmi di Kristen Stewart accantonati, e quella che si incontra è una commedia piacevolissima in cui vorresti essere parte dell’arredo per godere appieno degli scambi mordaci, brillanti e intelligenti dei personaggi che giocano con le parole dialogando in modo leggero di cose pesanti, o comunque che hanno un peso rilevante nella contemporaneità. Interpreti perfettamente in parte in cui si distingue  una Juliette Binoche, autoironica, davvero strepitosa. Una sceneggiatura che non sbaglia un colpo e induce al sorriso più che alle risate e una regia al servizio del racconto e di ciò che vuole comunicare.

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Sabato 1 settembre 2018

 

Siamo solo all’inizio ma la sensazione è di avere già visto alcuni dei film di cui si parlerà maggiormente nella prossima stagione, i capisaldi da cui partire per l’attribuzione di premi e onorificenze. E oggi non pare di meno. La strana coppia che domina il concorso è formata da Luca Guadagnino e Mike Keigh, ma c’è anche l’outsider David Oelhoffen.

SUSPIRIA

Regia: Luca Guadagnino
Produzione: Frenesy Film Company (Luca Guadagnino), Videa (Mauro Gaia), First Sun (Marco Morabito, Silvia Venturini Fendi), Memo Films (Francesco Melzi d’Eril, Gabriele Moratti) Mythology Entertainment (Bradley J. Fischer, William Sherak)
Durata: 152’
Lingua: inglese, tedesco, francese
Paesi: Italia
Interpreti: Dakota Johnson, Tilda Swinton, Mia Goth, Chloë Grace Moretz

 

SINOSSI

In un’accademia di danza di fama mondiale si muove una presenza oscura, che inghiottirà il direttore artistico della troupe, una ballerina ambiziosa e uno psicoterapeuta in lutto. Qualcuno soccomberà all’incubo. Altri, alla fine, si sveglieranno.

COMMENTO DEL REGISTA

Ogni film che realizzo è come un esordio per me: un nuovo inizio che parte dalle memorie che hanno costruito il mio immaginario. A dieci anni, a Cesenatico, ebbi l’epifania di Suspiria: un poster in un cinema chiuso. Trentasette anni dopo debutto al cinema (dell’orrore) grazie al potere evocativo di Dario Argento, capace di scatenare gli immaginari. Suspiria nasce nel 1976 ed esce nel 1977. Il nostro Suspiria è ambientato nel 1977, un anno fecondo per le rivoluzioni femminili-femministe.

COMMENTO PERSONALE

Se ne subisce la fascinazione ma il film non convince. E non perché snatura l’originale di Dario Argento o scontenta il film che avevamo in testa, ma perché risulta appesantito da una patina intellettuale che annacqua i brividi e non sembra portare da nessuna parte. Poco convincenti alcune scelte, dalla svolta nazi al doppio personaggio interpretato dalla divina Tilda Swinton (ma perché?!), molto, troppo lungo, e con una protagonista (Dakota Johnson) che fatica a sfoggiare il carisma richiesto dal personaggio, anche solo per sostenere le scene di danza. Per farla sintetica: la forma prevarica la sostanza.  Moderatamente divertente e liberatorio anche il sabba horror finale, più punto di rottura che di arrivo di un racconto che si compiace della sua stratificazione.

 

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PETERLOO

Regia: Mike Leigh
Produzione: Thin Man Films (Geogina Lowe), Amazon Studios, Film 4, BFI, Lipsync
Durata: 154’
Lingua: inglese
Paesi: Gran Bretagna, Usa
Interpreti: Rory Kinnear, Maxine Peake, Pearce Quigley, David Moorst, Rachel Finnegan, Tom Meredith, Simona Bitmate

 

SINOSSI

Ritratto epico degli eventi legati al famigerato Massacro di Peterloo del 1819, quando un pacifico raduno pro-democrazia presso St Peter’s Field a Manchester si trasformò in uno degli episodi più sanguinosi e tristemente noti della storia britannica. Il massacro vide le forze governative britanniche attaccare una folla di oltre 60.000 persone, radunate per chiedere riforme politiche e per protestare contro i crescenti livelli di povertà. Molti manifestanti furono uccisi e centinaia rimasero feriti, dando vita a proteste in tutta la nazione, ma anche a nuove repressioni da parte del governo.

Peterloo rappresentò un momento fondamentale nella definizione della democrazia britannica e giocò un ruolo importante anche nella fondazione del quotidiano The Guardian.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Le forze e le debolezze dell’umanità. L’eterna battaglia di amore, dedizione, integrità e impegno contro potere, corruzione, avidità e cinismo. Se forse le lotte di due secoli fa in favore della democrazia si perdono in un lontano passato, il massacro di Manchester, evento fondamentale nella storia della libertà universale, ancora risuona per infinite ragioni nel nostro caotico mondo del XXI secolo. Peterloo è una celebrazione del potere della speranza, e un lamento contro l’inesauribile capacità di distruzione dell’uomo.

 

COMMENTO PERSONALE

Com’è bravo Mike Leigh a tradurre per immagini e a spiegare con chiarezza un episodio non tra i più noti della storia inglese. L’unico rischio, solo in parte circoscritto, è quello della ridondanza, con un eccesso di verbosità che non lascia dubbi sulle dinamiche del racconto ma rende la fruizione più assimilabile a un indottrinamento storico che a un’opera cinematografica. Dettaglio forse non così rilevante, ma nemmeno da sottovalutare. Per il resto, buona la ricostruzione storica ed efficaci le scene di massa.

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FRÈRES ENNEMIS

Regia: David Oelhoffen
Produzione: One World Films (Marc du Pontavice, Margaux Balsan), BAC Films (David Grumbach, Mathieu Robinet), Versus Production (Jacques- Henri Bronckart)
Durata: 111’
Lingua: francese
Paesi: Francia, Belgio
Interpreti: Matthias Schoenaerts, Reda Kateb, Adel Bencherif, Sofiane Zermani, Nicolas Giraud, Marc Barbe, Sabrina Ouazani, Gwendolyn Gourvenec, Astrid Whettnall

 

SINOSSI

Nati e cresciuti in una periferia in cui domina la legge del narcotraffico, Manuel e Driss erano come fratelli. Da adulti però finiscono per prendere strade opposte: Manuel ha scelto di abbracciare la vita del criminale, Driss l’ha rinnegata ed è diventato un poliziotto.

Quando il più grande affare di Manuel va storto, i due uomini si incontrano di nuovo e si rendono conto che entrambi hanno bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere nei loro mondi. Nonostante l’odio, fra tradimenti e rancori, riscoprono l’unica cosa rimasta a unirli nel profondo: l’attaccamento viscerale al luogo della loro infanzia.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Thriller mozzafiato in cui tradimento, vendetta e sopravvivenza spingeranno i due travolgenti protagonisti a mettere in dubbio la lealtà e la fiducia verso i loro due mondi. Il film è interpretato da due tra i più iconici e brillanti attori della loro generazione, Matthias Schoenaerts e Reda Kateb, per la prima volta insieme sullo schermo. Dopo l’acclamato successo di Loin des hommes, Oelhoffen va alla ricerca di una fratellanza che superi i legami di sangue.

COMMENTO PERSONALE

Un film che si ancora a un genere, il polar, ma si concede anche divagazioni o, meglio, che allarga il proprio sguardo fino a includere anche le dinamiche sociali sottese all’azione. Interessante soprattutto per la costruzione del racconto che segue, in fondo, uno schema classico, quello delle personalità contrapposte, ma che arriva a essere compreso appieno solo con lo scorrere dei titoli di coda. Al riguardo, meglio non leggere la trama che spiega ciò che occorre invece tempo per capire del tutto. Molto bravo il duo di protagonisti Matthias Schoenaerts e Reda Kateb. Se non fosse un film di genere riceverebbe molti più apprezzamenti, magari anche una Coppa Volpi o due per le interpretazioni, mentre l’essere in concorso finisce per penalizzarlo.

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Domenica 2 settembre 2018

 

Il festival è appena iniziato, eppure sembra di avere visto i migliori film degli anni a venire con Cuaron, Lanthimos e Assayas, per ora, su tutti. La domenica vede avvicendarsi un Fuori Concorso che si preannuncia torbido (La quietud), il documentario che non può mancare (Roberto Minervini) e l’autore che sfida le convenzioni di un genere che non sembra appartenergli (Jacques Audiard e il western)

 

LA QUIETUD

Regia: Pablo Trapero
Produzione: Matanza Cine (Pablo Trapero), Telefe (Axel Kuschevatzy)
Durata: 117’
Lingua: spagnolo, francese
Paesi: Argentina
Interpreti: Martina Gusman, Bérénice Bejo, Graciela Borges, Edgard Ramirez, Joaquim Furríel

 

SINOSSI

Dopo lunghi anni di assenza, e a seguito dell’ictus di suo padre, Eugenia ritorna a La Quietud, la tenuta di famiglia vicino a Buenos Aires, dove ritrova la madre e la sorella. Le tre donne sono costrette ad affrontare i traumi emotivi e gli oscuri segreti del passato che hanno condiviso sullo sfondo della dittatura militare. Emergono rancori sopiti da tempo e gelosie, il tutto amplificato dall’inquietante somiglianza fisica tra le due sorelle.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Questo è un film intimo sull’universo femminile e la sorellanza. All’inizio della storia i personaggi principali, Eugenia e Mia, presentati dalla stessa prospettiva, sono molto simili. La vicenda prende poi direzioni diverse, seguendo i differenti percorsi che i personaggi scelgono nel corso delle loro vite, mentre si confrontano con l’inquietante passato dei loro genitori. Il film si svolge in un’enorme, magnifica tenuta di campagna chiamata La Quietud. Un’atmosfera piena di ricordi, un presente ostile e segreti che erano rimasti sepolti per anni interferiscono con le scene e con i legami tra i personaggi.

La Quietud invita gli spettatori a condividere le peculiarità dei protagonisti, la loro storia e il loro ambiente, e a immergersi nei labirinti emotivi di questi disperati e magnifici personaggi.

 

COMMENTO PERSONALE

Storia e storie, l’intimo e l’universale, tutto si intreccia nella visione di Pablo Trapero, che abbandona lo stile viscerale con cui ha meritato il Leone d’Argento per la regia a Venezia nel 2015 con ”Il clan” per imbastire una sorta di melò. Ciò che continua a non mancare è la sua voglia di sondare le zone buie della storia del suo paese, l’Argentina, che si riverberano sul destino delle due mimetiche protagoniste. Quello che fuoriesce è un drammone colorito, forse fin troppo, che finisce per avvicinarsi alla telenovela. Molte le divagazioni, troppe perché ciò che sembra più premere al regista (il peso della Storia) arrivi forte e chiaro.

 

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THE SISTERS BROTHERS

Regia: Jacques Audiard
Produzione: Why Not Productions (Pascal Caucheteux, Grégoire Sorlat), Page 114 (Jacques Audiard, Valérie Schermann), Annapurna Pictures, KNM, Michael De Luca Productions, Top Drawer Entertainment, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, UGC, Apache Films, Mobra Films, Les Films du Fleuve
Durata: 120’
Lingua: inglese
Paesi: Francia, Belgio, Romania, Spagna
Interpreti: Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Jake Gyllenhaal, Riz Ahmed

 

SINOSSI

Charlie ed Eli Sisters vivono in un mondo selvaggio e ostile. Hanno le mani sporche di sangue: sangue di criminali, ma anche di innocenti. Non hanno scrupoli a uccidere. È il loro lavoro. Charlie, il fratello più giovane, è nato per uccidere. Eli, invece, sogna una vita normale. Il Commodoro li ingaggia per scovare un uomo e ucciderlo. Comincia così una spietata caccia dall’Oregon alla California: un viaggio iniziatico che metterà alla prova l’insano legame tra i due fratelli. Un sentiero che condurrà alla loro umanità?

 

COMMENTO PERSONALE

L’inizio è folgorante, con il buio della notte da cui emergono squarci di luce provenienti dai colpi di pistola. Il genere affrontato, atipico per il regista, è il western, ma la chiave interpretativa è parodica. Un western, quindi, affrontato con personalità e pervaso da uno humour nero moderatamente divertente. Joaquin Phoenix e John C. Reilly sono due fratelli, killer a pagamento, ingaggiati dal temibile Commodoro per rintracciare un chimico che avrebbe messo a punto una tecnica infallibile per trovare con facilità l’oro nei corsi d’acqua della California. Al Lido è piaciuto molto, soprattutto ai nostalgici che hanno ritrovato un po’ dei film che li hanno formati, ma al di là della prova dei due protagonisti (soprattutto John C. Reilly) e del trattamento che un po’ smitizza il mito (come anche i Coen proprio quest’anno), non va al di là del gioco piacevole e ben condotto.

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WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORLD’S ON FIRE?

 

Regia: Roberto Minervini
Produzione: Okta Film (Paolo Benzi), Pulpa Film (Denise Ping Lee, Roberto Minervini), Rai Cinema, Shellac Sud (Thomas Ordonneau), MYmovies.it (Gianluca Guzzo)
Durata: 123’
Lingua: inglese
Paesi: Italia, Usa, Francia
Interpreti: Judy Hill, Dorothy Hill, Michael Nelson, Ronaldo King, Titus Turner, Ashley King, Kevin Goodman, The New Black Panthers Party for Self Defense

 

SINOSSI

Estate 2017, una serie di brutali uccisioni di giovani africani americani per mano della polizia scuote gli Stati Uniti. Una comunità nera del Sud americano affronta gli effetti persistenti del passato, cercando di sopravvivere in un paese che non è dalla parte della sua gente. Intanto le Black Panthers organizzano una ferma manifestazione di protesta contro la brutalità della polizia. Una scottante riflessione sul concetto di razza in America.

COMMENTO DEL REGISTA

Ho raccontato storie del Sud americano che si sono svolte in forme inaspettate sotto i miei occhi. Ho documentato aree dell’America di oggi dove i semi della rabbia reazionaria e anti-istituzionale (cui il paese deve la presidenza di Donald Trump) erano già stati piantati, anche se solo pochi si erano presi la briga di accorgersene. Questa volta ho voluto scavare ancora più a fondo nelle radici della disuguaglianza sociale nell’America odierna, concentrandomi sulla condizione degli africani americani.

Nella fase di ricerca e preparazione del film siamo riusciti ad avere accesso a quartieri e comunità off-limits per i più. Mi sono presto reso conto che la maggior parte delle persone si sentiva molto coinvolta in due eventi drammatici della recente storia locale: l’uragano Katrina (2005) e l’uccisione di Alton Sterling per mano di due poliziotti (2016). Entrambi gli eventi erano stati una conseguenza diretta della negligenza istituzionale, del divario socioeconomico tra poveri e ricchi e del forte razzismo endemico. Mossa dalla collera e dalla paura, la gente cercava un’occasione per raccontare a voce alta le proprie storie. La mia speranza è che What You Gonna Do When the World’s on Fire? susciti un dibattito necessario sulle attuali condizioni dei neri americani che, oggi più che mai, vedono intensificarsi i crimini motivati dall’odio e delle politiche discriminatorie.

 

COMMENTO PERSONALE

Roberto Minervini ha uno stile tutto suo che personalizza le realtà che decide di sondare. Ciò che vediamo è frutto di un lungo lavoro di ricerca in cui la vita prende forma anche attraverso la sua calcolata messa in scena. Non si tratta quindi di attimi rubati, ma di momenti scelti e il più delle volte recitati. Scelta lecita (cosa, del resto, non lo è al cinema in quella che diventa una personale rappresentazione?), ma anche ambigua, intanto perché non direttamente esplicitata. Non è chiaro, infatti, limitandosi a guardare le immagini proposte, ciò che è vero e ciò che invece è ricostruito. Può sembrare una differenza minima ai fini della resa, del resto non sappiamo cosa succede realmente negli altri documentari (Michael Moore è forse un candido?), ma la sensazione di sentirsi manipolati finisce per avere il sopravvento e inquinare il punto di vista che il film sostiene e vuole veicolare.   

 

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Lunedì 3 settembre 2018

 

“Passata è la tempesta, odo augelli far festa” diceva Leopardi. Gli augelli non si sentono, al limite qualche gabbiano, ma la tempesta (intesa come fiumi di persone) del week-end è davvero passata. Ancora oggi, massimo domani, poi la stragrande maggioranza della stampa estera prender il volo per Toronto, dove dal 6 al 16 settembre si decideranno le sorti del cinema mondiale. Molti i titoli veneziani che saranno riproposti e tante, tantissime, le anteprime succulente. Ma restiamo al Lido e vediamo cosa ci offre il programma di oggi: un atteso Fuori Concorso (il nuovo film di S. Craig Zahler), un regista discontinuo (Julian Schnabel, in concorso), un film che molti vogliono vedere (quello su Charles Manson di Mary Harron). Procediamo con ordine:

 

DRAGGED ACROSS CONCRETE

Regia: S. Craig Zahler
Produzione: Unified Pictures (Keith Kjarval, Dallas Sonnier, Jack Heller)
Durata: 159’
Lingua: inglese
Paesi: Canada, Usa
Interpreti: Mel Gibson, Vince Vaughn, Tory Kittles, Michael Jai White

SINOSSI

Due ispettori di polizia vengono sospesi dal servizio quando viene diffuso dai media un video che mette in luce i loro metodi violenti. Male in arnese economicamente e senza alternative, gli amareggiati poliziotti iniziano la loro discesa nel mondo della criminalità dove, ad attenderli nell’ombra, trovano più di quanto immaginassero.

COMMENTO DEL REGISTA

Volevo fare un poliziesco carico di suspense interpretato da un cast corale, sull’esempio di Prince of the city (Il principe della città), Taxi driver, Dog day afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani), Sweet smell of success (Piombo rovente). Mel Gibson è Ridgeman, il poliziotto istintivo e amareggiato. Vince Vaughn è il magistrale antagonista. L’acuto e carismatico Tory Kittles e il poliedrico Michael Jai White vestono i panni delle controparti malavitose. La bravissima Jennifer Carpenter è un’altra importante tessera del mosaico. La fiducia riposta dal cast nella mia sceneggiatura e regia, insieme all’affidabilità del direttore della fotografia Benji Bakshi, mi hanno aiutato a dirigere questa articolata produzione e a realizzare un film che sono entusiasta di mostrare in anteprima a Venezia.

COMMENTO PERSONALE

Vero e proprio colpo di fulmine del festival. Mi chiedo perché non sia in concorso. Un film potente, con una tensione costante, interessante anche per lo stile personale della regia che disattende ogni aspettativa prendendosi il suo tempo e arrivando agli scontri, agli inseguimenti, ai drammi, ai regolamenti di conti, senza alcuna fretta. Una scelta che probabilmente disorienterà chi, visto il cast, si aspetta un ritmo indiavolato, ma ciò cheil regista trova è il ritmo dell’empatia, quello che scava sottopelle e ti fa abbracciare i conflitti dei personaggi rendendoli veri, problematici, e soprattutto vivi. Devastante la parentesi con Jennifer Carpenter, che sembra una parentesi, in realtà è tassello di un quadro che si compone di tappe successive e giunge a mostrare con grande pessimismo le contraddizioni dell’America. Straordinario Mel Gibson che con quell’aria ruvida, quel baffo macho, quel codice comportamentale discutibile ma dato da una contingenza non certo facile, crea un personaggio vero, vivo e pulsante. Di santini siamo pieni, di eroi anche, di persone umane in cui specchiarci per magari trovare un’immagine che ci piace meno del previsto, invece, ne troviamo sempre meno. Al cinema perlomeno. Da non perdere.

 

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AT ETERNITY’S GATE

Regia: Julian Schnabel
Produzione: Rahway Road Production (Jon Kilik), Iconoclast Production
Durata: 110’
Lingua: inglese, francese
Paesi: Usa, Francia
Interpreti: Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Niels Arestrup

 

SINOSSI

Questa non è una biografia del pittore realizzata con precisione scientifica. È un film sul significato dell’essere artista. È finzione, e nell’atto di perseguire il nostro obiettivo, se tendiamo verso la luce divina, potremmo addirittura incappare nella verità. L’unico modo di descrivere un’opera d’arte è fare un’opera d’arte.

“Riuscire a creare qualcosa di imperfetto, di anomalo, qualcosa che alteri e ricrei la realtà in modo tale che ciò che ne risulta siano anche delle bugie, se si vuole, ma delle bugie più vere della verità letterale”. (Vincent Van Gogh).

COMMENTO PERSONALE

Giornata delle emozioni contrapposte. Dalle stelle alle stalle. Tale è infatti la sensazione dopo avere visto l’ambiziosa opera di Schnabel. Ambiziosa perché tenta una messa in scena che rievochi in qualche modo la pittura di Van Gogh, ma non sono sufficienti alcune scelte cromatiche e inquadrature sghembe per trasmettere un modo di essere e di intendere l’arte. Ma ciò che proprio non funziona è la verbosità didascalica dell’opera. Pittori che parlano continuamente di pittura, quasi come un film porno in cui gli attori descrivono le loro acrobazie invece di farle. Decisamente poco riuscito e con una evidente povertà di mezzi che non giova al risultato. Tra le punte più basse la figura di Gauguin interpretato da uno smarrito Oscar isaac che pare già una parodia. Di poco aiuto il cast di nomi noti, piazzati un po’ qui e un po’ là per fare colore. Willem Dafoe è bravo, molto bravo, ma questo lo sapevamo già. Il rischio è che sia ricordato per il film sbagliato.  

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CHARLIE SAYS

Regia: Mary Harron
Produzione: Epic Level Entertainment (Dana Guerin, Cindi Rice, John Frank Rosenblum)
Durata: 104’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Matt Smith, Hannah Murray, Marianne Rendón, Sosie Bacon, Merritt Wever, Suki Waterhouse, Chace Crawford, Annabeth Gish

 

SINOSSI

Uno sguardo sul vero Charles Manson, il famoso psicopatico americano, mediante l’analisi degli infami delitti perpetrati dalla Manson Family visti attraverso gli occhi di Karlene Faith, ricercatrice che lavora con tre giovani donne, entrate a far parte della setta dopo aver subito il lavaggio del cervello. Condannate alla pena di morte per il coinvolgimento nei crimini durante i quali furono assassinate nove persone, compresa l’attrice Sharon Tate, la loro pena fu in seguito convertita in ergastolo. Il film è una narrazione incentrata sul tentativo da parte di Karlene Faith di rieducare le tre donne, e sulle loro trasformazioni mentre lentamente comprendono l’efferatezza dei crimini commessi.

 

COMMENTO DEL REGISTA

È facile considerare le ragazze di Manson come dei mostri, come “diverse” o eccezioni alla normale esperienza umana. In realtà, l’aspetto più disturbante è proprio la loro normalità. Come hanno potuto queste giovani donne, sane e carine, arrivare a commettere crimini tanto orribili? “Lascia che il tuo ego muoia”, dice Charlie. Il film ripercorre l’esperienza della setta, passo dopo passo, assieme a Leslie Van Houten, adescata in quella che sembra una comunità felice, poi soggetta a un lavaggio del cervello che a poco a poco erode la coscienza e la volontà individuale.

La violenza quando accade è improvvisa e orribile, quasi come un sogno, cui segue, anni dopo, un lento e terribile risveglio in prigione.

 

COMMENTO PERSONALE ,

Il tema è di questi tempi bollente, pare infatti che Tarantino sia al lavoro su un soggetto affine. Mary Harron è regista un po’ discontinua e mediamente sottovalutata. Il suo ”American Psycho” resta un vivido ricordo degli anni ’90 e anche il trascurabile ”The Moth Diaries” aveva più personalità della media del genere. La nuova opera prende il tema di petto, sviscera approfonditamente la figura di Charles Manson ma soprattutto di tre sue fedelissime adepte giungendo a una presa di coscienza che illumina contraddizioni e conflitti del periodo storico rappresentato. Accurato e non così scontato, anche se un po’ scolastico nella scansione degli eventi. Ciò che preme alla regista, più dei fatti storici rappresentati, è comunicare il potere delle scelte personali nel cammino di ricerca e affermazione della propria identità. Obiettivo che centra perfettamente.

 

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Martedì 4 settembre 2018

 

Cosa ci riserverà il martedì? In concorso ci sono due film agli antipodi: l’ultima opera di Florian Henckel von Donnersmarck (sarà ”Le vite degli altri” o “The Tourist”?) e quella di Brady Corbet che, dopo la presentazione (per molti folgorante) nella sezione Orizzonti  a Venezia 2015 di “The Childhood of a Leader”, è stato promosso al Concorso principale. Ma c’è anche spazio, finalmente, per un’incursione nelle Giornate degli Autori, quest’anno, con un Concorso così sontuoso, un po’ snobbate. Come al solito, procediamo con ordine.

 

NEVER LOOK AWAY

Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Produzione: Pergamon Film (Jan Mojto, Florian e Christiane Henckel von Donnersmarck), Wiedemann&Berg Film (Quirin Berg, Max Wiedemann)
Durata: 188’
Lingua: tedesco
Paesi: Germania
Interpreti: Tom Schilling, Paula Beer, Sebastian Koch, Saskia Rosendahl, Oliver Masucci

 

SINOSSI

Ispirato a fatti realmente accaduti, Werk ohne Autor attraversa tre epoche della storia tedesca narrando le vicende di Kurt, giovane studente d’arte che si innamora di Ellie, sua compagna di corso. Il padre della ragazza, il professor Seeband, rinomato medico, disapprova la scelta della figlia e promette di porre fine alla relazione. Nessuno sa però che le loro vite sono già legate da un orrendo crimine, commesso da Seeband decenni prima.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Parlando di Tennessee Williams e Marlon Brando, il regista Elia Kazan disse che il talento dei geni è la crosta sulle ferite ricevute nella loro infanzia. Ciò significa che gli esseri umani hanno una capacità quasi alchemica di trasformare un trauma in qualcosa di glorioso. Werk ohne Autor è il tentativo di osservare questa alchimia, attraverso il prisma dei traumi storici del mio paese, la Germania.

 

COMMENTO PERSONALE

Che bello entrare al mattino in una sala cinematografica e abbandonarsi al racconto uscendo tre ore dopo pacificati e satolli di cinema. È forse il polpettone del festival, ma la cosa che emerge maggiormente è la capacità del regista tedesco di raccontare una storia e di coinvolgere lo spettatore nelle dinamiche universali messe in scena. Tre diverse epoche storiche che mescolano orrori nazisti, aspirazione artistica, comunismo e Rdt. La carne al fuoco è tanta, forse troppa, la sintassi un po’ televisiva, ma il film scivola tutto d’un fiato e si assume anche i suoi rischi come, ad esempio, quando mostra il protagonista scoprire le proprie inclinazioni artistiche. Per molti didascalico, per me invece cinematografico, cioè in grado di mitizzare gli eventi rendendoli coinvolgenti e bigger than life. Può sembrare poco. Provateci voi.

 

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VOX LUX

Regia: Brady Corbet
Produzione: Bold Films (Gary Michael Walters, Michel Litvak, Svetlana Metkina, David Litvak), Killer Films (Christine Vachon, David Hiojosa), Andrew Lauren Productions (Andrew Lauren, DJ Gugenheim), Three Six Zero (Brian Young)
Durata: 110’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Natalie Portman, Jude Law, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Jennifer Ehle

 

SINOSSI

Il film segue da vicino l’ascesa di Celeste dalle ceneri di un’immensa tragedia nazionale a superstar pop. Il film abbraccia un arco di tempo di diciotto anni, dal 1999 al 2017, delineando alcuni importanti momenti culturali attraverso lo sguardo della protagonista.

COMMENTO DEL REGISTA

Il mio film precedente, The Childhood of a Leader, è ambientato in Europa all’inizio del Ventesimo secolo e prende in esame eventi che hanno, spesso inavvertitamente, definito quell’era. Testimone delle atrocità di un’epoca, il giovane protagonista del film è causa di altrettante atrocità perpetrate nell’epoca seguente. Il film è ispirato alle storie revisioniste di Robert Musil e W.G. Sebald, costrutti labirintici che concepiscono personaggi di fantasia nei panni di testimoni oculari di svolte storiche cruciali, o personaggi della vita reale calati in ambientazioni storiche alterate. Dal mio punto di vista, queste storie testimoniano un contratto con il lettore più trasparente rispetto alla tradizionale biografia storica: infatti, consentono di accedere al passato senza mettere in dubbio come l’autore possa fornire un resoconto dettagliato di un evento a cui non ha assistito personalmente. E poi, se fosse stato presente, come nel caso di un’autobiografia, non c’è da chiedersi se il ricordo delle esperienze passate non possa essere stato ingannevole? Vox Lux è la continuazione di quel tema ma sull’altro versante del secolo: un melodramma storico ambientato in America tra il 1999 e il 2017, che narra eventi cruciali e modelli culturali che ad oggi hanno plasmato la prima parte del XXI secolo, visti attraverso gli occhi della protagonista, una popstar di nome Celeste.

COMMENTO PERSONALE

Arriva il film divisivo, quello per cui si passa da ”capolavoro” a ”boiata pazzesca”. Lo so, è insopportabile, ma se la verità stesse nel mezzo? Alcune cose colpiscono, altre meno. L’ambizione è quella di catturare lo spirito di un’epoca (dal 1999 ai giorni nostri) attraverso soprattutto i meccanismi, spesso poco virtuosi, dello show business. L’atmosfera, grazie anche a un sound design molto ricercato, è gelidamente straniante ed efficace, il giudizio tranchant e giudicante esplicitato soprattutto dalle parole della onnipresente voce fuori campo dice più di quello che la sceneggiatura è in grado di offrire. Natalie Portman si butta a capofitto in un personaggio antipatico e sembra credere molto al progetto ma rischia  di ridurre la protagonista Celeste a un eccesso di moine. Nel complesso è uno di quei film su cui occorre pensarci su.

 

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RICORDI?

Regia: Valerio Mieli
Durata: 106’
Paesi: Italia
Interpreti: Luca Marinelli, Linda Caridi, Giovanni Anzaldo, Camilla Diana

 

SINOSSI

Una lunga storia d’amore raccontata attraverso i ricordi, falsati dagli stati d’animo, dal tempo, dalle differenze di punto vista dei giovani protagonisti. Il viaggio di due persone negli anni: insieme e divise, felici, infelici, innamorate tra loro, innamorate di altri, in un unico flusso di emozioni e colori. Nel corso del film lui scopre che è possibile un amore che duri, lei impara invece la nostalgia. Ma anche i loro ricordi cambiano col tempo: sbiadiscono, o invece si saturano di gioia, in un presente che scivola via per farsi subito memoria.

 

COMMENTO DEL REGISTA

«È la nostalgia che rende tutto bello, e inventiamo una felicità perfetta che non c’è mai stata, o siamo stati davvero felici ma lo capiamo solo dopo? È da questa domanda che sono partito. Come il ricordo permea la nostra esistenza, è un tema affascinante da trattare al cinema perché permette di raccontare oltre alla vita, l’esperienza della vita: di realizzare per così dire un film in soggettiva emotiva. Spero che la storia dei personaggi risuoni con i ricordi e le emozioni di ciascuno di noi, essendo secondo me anche la nostra vita, un unico flusso di sensazioni e memoria».

 

COMMENTO PERSONALE

Valerio Mieli è un regista molto interessante, lo ha già dimostrato con l’opera prima ”Dieci inverni”. Il suo secondo film è molto ambizioso e mira a mettere in scena il percepito di una storia d’amore attraverso la divergenza dei punti di vista che si fanno ricordi non sempre allineati. Operazione di grande fascino ma apprezzabile più nelle intenzioni perché, al di là della struttura ondivaga e dell’interessante idea di fondo, quella rappresentata è una storia d’amore fin troppo stereotipata dove i due protagonisti riescono solo di rado a diventare interessanti. Se quindi idea e messa in scena si distinguono, il contenuto meno. Per fortuna, però, che nel panorama italiano c’è chi osa affrontare opere così ambiziose.

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Mercoledì 5 settembre 2018

 

Si è giunti al mercoledì e comincia l’ormai classico calo di presenze causa avvicinarsi del festival di Toronto. Si inizia anche a ipotizzare chi potrebbe essere, tra i film proposti, a meritare il Leone d’Oro. Come al solito regna il soggettivo, ma alcune opere come Roma e La favorita hanno messo d’accordo quasi tutti. Intanto vediamo cosa propone la giornata odierna. Cominciamo con un Fuori Concorso che incuriosisce (una delle poche registe donne di questa selezione), proseguiamo con un altro film Netflix altrettanto stuzzicante e poi con un regista messicano molto apprezzato dalla critica.

 

LES ESTIVANTS

Regia: Valeria Bruni Tedeschi
Produzione: Ad Vitam (Alexandra Henochsberg), Ex Nihilo (Patrick Sobelman), BiBi Film (Angelo Barbagallo), Rai Cinema
Durata: 126’
Lingua: francese, italiano
Paesi: Francia, Italia
Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Pierre Arditi, Valeria Golino, Noémie Lvovsky, Yolande Moreau, Laurent Stocker, Riccardo Scamarcio, Bruno Raffaelli, Marisa Borini, Oumy Bruni Garrel, Vincent Perez, Stefano Cassetti, Xavier Beauvois

 

SINOSSI

Una grande e bella casa sulla Costa Azzurra. Un posto che sembra fuori dal tempo e distante dal resto del mondo: è qui che Anna si reca con la figlia per qualche giorno di vacanza. Tra famiglia, amici e personale di servizio, Anna deve affrontare la sua recente rottura con il compagno e la scrittura del suo nuovo film.
Tra risate, rabbia e segreti emergono paure, desideri e rapporti di potere. Ognuno dei villeggianti ignora i rumori del mondo per far fronte ai misteri della propria vita.

COMMENTO DELLA REGISTA

Da quando sono nata, ho sempre trascorso le vacanze in una grande e bella casa sulla Costa Azzurra. È un posto senza tempo e lontano dal resto del mondo. Con questo film, racconto la storia di un gruppo di persone in questa casa: la famiglia dei proprietari, gli amici e i dipendenti. Descrivo la solitudine di ognuno di essi, nonostante si trovino insieme, le dispotiche dinamiche nei rapporti, le paure, la vergogna, la rivolta, i desideri e gli amori. La mia intenzione è di raccontare come ogni persona scelga deliberatamente di ignorare il frastuono del mondo esterno, il tempo che passa, la morte in agguato; come ognuno sia solo di fronte al mistero della propria esistenza.

COMMENTO PERSONALE

Valeria Bruni Tedeschi è regista sensibile e attrice simpatica, ma l’ennesimo biopic di famiglia ha causato un fuggi fuggi generale dalla sala. Reazione comprensibile perché il film parte dall’ombelico dell’artista torinese e lì si ferma non riuscendo a rendere universali le dinamiche familiari messe in scena. Vedendo il film si capisce perché non sia stato messo in concorso: produce un po’ l’effetto del filmino tra amici che se le ridono e se le cantano escludendo tutti gli altri. Insomma, provaci ancora Valeria, ma solo se cambi soggetto.

                                                

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22 JULY

Regia: Paul Greengrass
Produzione: Scott Rudin Productions (Scott Rudin, Eli Bush), Paul Greengrass, Gregory Goodman, Netflix
Durata: 143’
Lingua: inglese
Paesi: Norvegia, Islanda
Interpreti: Anders Danielsen Lie, Jonas Strand Gravli, Jon Øigarden, Isak Bakli Aglen, Seda Witt, Maria Bock, Thorbjørn Harr

 

SINOSSI

Paul Greengrass racconta la vera storia delle conseguenze del peggior attacco terroristico perpetrato in Norvegia. Il 22 luglio 2011, un estremista di destra uccise 77 persone facendo esplodere un’autobomba a Oslo, prima di compiere un omicidio di massa in un campeggio di adolescenti. 22 July segue il viaggio fisico ed emotivo di un sopravvissuto e narra la strada intrapresa dalla nazione per cercare di riprendersi e trovare la riconciliazione.

COMMENTO DEI REGISTI

Il cinema include forme e soggetti diversi, ma ha sempre per tema la nostra umanità. Può mostrarci amore e meraviglia, trovare verità e bellezza nei momenti privati più minuti o intrattenerci con lo spettacolo magnifico di mondi immaginari. Qualche volta, però, il cinema deve guardare con coraggio e risolutezza il mondo così com’è, come si muove, dove va e come possiamo affrontarlo. Sono partito da questa idea per raccontare la storia della reazione norvegese all’attacco terrorista di destra del 22 luglio 2011.

COMMENTO PERSONALE

Inevitabile paragonare l’opera di Greengrass con “Utøya 22. Juli”, il film norvegese di  Erik Poppe che affronta, in un virtuosistico piano sequenza, lo stesso tragico soggetto. Nella nuova versione l’andamento è televisivo e confronti e dinamiche previsti dallo script si succedono senza particolari picchi. Anestetizzata la forma, resta la tragedia dei fatti narrati che inevitabilmente è talmente forte da arrivare comunque a colpire. Non si capisce, poi, perché chiamare attori norvegesi per farli parlare in inglese. È uno dei tanti film Netflix presentati al festival. Non saranno troppi??

 

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NUESTRO TIEMPO

Regia: Carlos Reygadas
Produzione: Mantarraya Producciones (Jaime Romandía), NoDream Cinema (Carlos Reygadas), The Match Factory Snowglobe, Le Pacte, Luxbox, Mer Films, Film i Väst, Detalle Films, Bord Cadre Films
Durata: 173’
Lingua: spagnolo, inglese
Paesi: Messico, Francia, Germania, Danimarca, Svezia
Interpreti: Carlos Reygadas, Natalia López, Eleazar Reygadas, Rut Reygadas, Phil Burgers

 

SINOSSI

Una famiglia vive nella campagna messicana allevando tori da combattimento. Esther si occupa della gestione del ranch, mentre suo marito Juan, un poeta di fama mondiale, alleva e seleziona gli animali. Quando Esther si infatua di un addestratore di cavalli di nome Phil, la coppia lotta per superare la crisi.

COMMENTO DEL REGISTA

Quando amiamo qualcuno, quello che vogliamo più di tutto è veramente la sua felicità? Oppure solo nella misura in cui questo implicito atto di generosità non richieda troppo da parte nostra? In altre parole: l’amore è una questione relativa?

COMMENTO PERSONALE

Si apprezza l’utilizzo del cinema come laboratorio in cui sperimentare e mettere in scena se stessi, le proprie paure e debolezze, sperando poi di riverberarsi sul pubblico. Una sorta di “Scene da un matrimonio” in salsa messicana con l’esplicitazione di una personale crisi coniugale. L’autorialità sottesa al progetto un po’ lo schiaccia (libera da qualsiasi vincolo e preparatoria la lunga sequenza iniziale, ma anche estenuante), un po’ lo valorizza (il regista si mette completamente in gioco attraverso il film). La sensazione, però, è che dietro a tanta ricerca, sperimentazione, stratificazione, le conclusioni siano molto meno sofisticate delle intenzioni. Ne è una riprova la discutibile metafora finale in cui tra i due tori antagonisti vince chi elimina il rivale. Come dire, tra ragione e istinti primordiali, alla fine a vincere è il più forte.  Ah, basta che non mi dite che è una riflessione sul cinema!

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Giovedì 6 settembre 2018

 

Mentre impazza il toto-leone e Roma è in pole position, il Lido gradualmente si svuota, le file sono molto minori dei giorni precedenti e il festival spara le ultime cartucce. È anche il mio ultimo giorno perché venerdì devo rientrare per precedenti impegni, ma il più è sicuramente fatto. Tranquilli, tornerò sabato per commentare i premi. Giovedì è anche il giorno in cui viene consegnato il Leone d’Oro alla Carriera a David Cronenberg, a cui seguirà la proiezione di M Butterfly.

 

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THE NIGHTINGALE

Regia: Jennifer Kent
Produzione: Causeway Films (Kristina Ceyton), Made Up Stories (Bruna Papandrea, Steve Hutensky), Jennifer Kent
Durata: 136’
Lingua: inglese, palawa kani, gaelico
Paesi: Australia
Interpreti: Aisling Franciosi, Sam Claflin, Baykali Ganambarr, Damon Herriman, Harry Greenwood, Ewen Leslie, Michael Sheasby, Charlie Shotwell

 

SINOSSI

  1. Clare, una giovane detenuta irlandese, attraversa il selvaggio e aspro paesaggio della Tasmania per dare la caccia a un ufficiale britannico, spinta dalla vendetta per un terribile atto di violenza che l’uomo ha commesso nei confronti della sua famiglia. Per portare a termine l’impresa, si avvale di una guida aborigena di nome Billy, che a sua volta è traumatizzato da un passato intriso di violenza.

COMMENTO DELLA REGISTA

Volevo raccontare una storia di violenza. In particolare, le conseguenze della violenza da una prospettiva femminile. A questo fine, ho ripercorso la storia del mio paese. La colonizzazione dell’Australia è stata un’epoca contrassegnata dalla violenza: nei confronti degli aborigeni, delle donne e del paese stesso, strappato ai suoi primi abitanti. Per sua natura, la colonizzazione è un atto brutale. E l’arroganza che l’ha contraddistinta persiste nei tempi moderni. Per questo motivo, ritengo che questa storia sia attuale a dispetto della sua ambientazione nel passato. Sulla questione della violenza, non ho tutte le risposte. Ma ritengo che si trovino nell’umanità, nell’empatia che dimostriamo a noi stessi e al nostro prossimo.

 

COMMENTO PERSONALE

C’era molta attesa per l’unico film diretto da una regista donna incluso nel concorso. E l’opera ha lasciato il segno, sia per la capacità di Jennifer Kent dopo il riuscito “Babadook” di andare alle origini della storia del suo paese e di raccontare l’orrore del quotidiano in cui la violenza sembra essere l’unico linguaggio possibile. Ma anche per un fatto extra-cinematografico che ha finito per fare parlare più del film. Al termine della proiezione per la stampa, infatti, un sedicente giornalista ha gridato chiaramente in Sala Darsena, davanti a un pubblico di più di 1000 persone “Vergogna! Puttana!”. Un episodio che non ha lasciato indifferente nessuno con immediate reazioni sui social e anche in loco e con il tentativo, per ora vano, di individuare il giornalista che si è permesso di lasciarsi andare a simili commenti sessisti. Una notizia che ha fatto il giro del web, quindi del mondo. In effetti è peculiare che qualcuno, per l’unico film diretto da una donna, si sia sentito libero di offendere pensando di poterlo fare impunemente. Se si fosse trattato di un regista uomo avrebbe fatto lo stesso? Sicuramente utilizzando altri termini, il che è già una discriminante. Un brutto episodio, purtroppo cartina di tornasole dei tempi che corrono, in cui modalità sessiste inquinano anche il solo semplice atto di commentare un film.  

 

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CAPRI-REVOLUTION

Regia: Mario Martone
Produzione: Indigo Film (Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori), Rai Cinema, Pathé Films (Jérôme Seydoux, Ardavan Safaee, Muriel Sauzay)
Durata: 122’
Lingua: italiano, dialetto napoletano, inglese, francese, tedesco, russo
Paesi: Italia, Francia
Interpreti: Marianna Fontana, Reinout Scholten van Aschat, Antonio Folletto, Gianluca Di Gennaro, Eduardo Scarpetta, Jenna Thiam, Ludovico Girardello, Lola Klamroth, Maximilian Dirr, Donatella Finocchiaro

 

SINOSSI

Siamo nel 1914, l’Italia sta per entrare in guerra. Una comune di giovani nordeuropei trova sull’isola di Capri il luogo ideale per la propria ricerca nella vita e nell’arte. Ma l’isola ha una propria, forte identità, che si incarna in una ragazza, una capraia di nome Lucia. Il film narra l’incontro tra la comune guidata da Seybu, la ragazza e il giovane medico del paese. E narra di un’isola unica al mondo, la montagna dolomitica precipitata nel Mediterraneo, che all’inizio del Novecento ha attratto come un magnete chiunque sentisse la spinta dell’utopia e coltivasse ideali di libertà, come i russi che, esuli a Capri, si preparavano alla Rivoluzione.

 

COMMENTO DEL REGISTA

Il film prende spunto dalla comune che il pittore Karl Diefenbach creò a Capri all’inizio del Novecento. Nel film tutto viene rielaborato con la più totale libertà: l’azione si sposta più avanti, alla vigilia della prima guerra mondiale, e il protagonista lascia la vecchia pelle del pittore spiritualista Diefenbach per tramutarsi in un giovane artista performativo, la cui filosofia deriva dai concetti che verranno elaborati molti decenni più avanti da Joseph Beuys. Di Diefenbach era interessante soprattutto la scelta di praticare l’arte dentro una radicale rivoluzione umana, in cui il rapporto con la natura diventa centrale. Le scelte compiute in anni lontanissimi dalla comune di Capri, come da quella di Monte Verità in Svizzera, parlano direttamente al nostro tempo, in cui la questione di che senso dare al progresso e al rapporto tra uomo e natura è centrale per la sopravvivenza stessa degli esseri umani.

 

COMMENTO PERSONALE

È interessante l’emncipazione del personaggio di Lucia, giovane donna che vive in una realtà ancestrale e maschilista dove qualunque evoluzione o uscita dalle convenzioni del tempo sembra impossibile. Sarà il nuovo ad avanzare e a insinuarsi in Lucia attraverso una comunità che si stabilisce nell’isola di Capri per meditare, sperimentarsi artisiticamente e trovare il proprio posto nel mondo lontano dalle gabbie ideologiche dell’epoca (siamo nel 1914). Racconto di formazione, riflessione intellettuale, presa di coscienza sociale e politica, il film è tutto questo. Stride un po’ l’eccesso di bellezza che caratterizza gli appartenenti alla comune, forse troppo performer, o la rapidità con cui Lucia passa dalla pastorizia in dialetto alle dissertazioni in inglese.

 

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Venerdì 7 settembre 2018

 

Nella giornata di Shin’ya Tsukamoto, in concorso con Zan, ultimo film della competizione, visto che non sarò al Lido può essere utile ricordare quali sono le giurie che domani consegneranno i premi del Festival.

 

VENEZIA 75

La Giuria internazionale del Concorso di Venezia 75 è composta: dal regista, sceneggiatore e produttore messicano Guillermo del Toro (presidente); dall’attrice, regista, sceneggiatrice e produttrice Sylvia Chang, nata a Taiwan; dall’attrice danese Trine Dyrholm; dall’attrice e regista francese Nicole Garcia; dal regista e sceneggiatore italiano Paolo Genovese; dalla regista, sceneggiatrice e produttrice polacca Malgorzata Szumowska; dall’attore, regista, produttore e sceneggiatore neozelandese Taika Waititi; dall’attore austro-tedesco Christoph Waltz; dall’attrice inglese Naomi Watts.

La Giuria Venezia 75 assegnerà ai lungometraggi in Concorso i seguenti premi ufficiali: Leone d’Oro per il miglior film, Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, Leone d’Argento – Premio per la migliore regia, Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, Premio per la migliore sceneggiatura, Premio Speciale della Giuria, Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente.

ORIZZONTI

La Giuria internazionale della sezione Orizzonti è composta dalla regista, sceneggiatrice e produttrice greca Athina Tsangari (presidente), dal regista, sceneggiatore e produttore americano Michael Almereyda; dall’attrice iraniana Fatemeh Motamed-Aria (Simin); dal critico cinematografico Frédéric Bonnaud; dallo sceneggiatore e produttore egiziano Mohamed Hefzy; dalla regista e sceneggiatrice canadese Alison Mclean; dal regista e sceneggiatore italiano Andrea Pallaoro.

La Giuria Orizzonti assegnerà –  senza possibilità di ex-aequo – i seguenti premi: Premio Orizzonti per il miglior film, Premio Orizzonti per la migliore regia, Premio Speciale della Giuria Orizzonti, Premio Orizzonti per la miglior interpretazione maschile, Premio Orizzonti per la migliore interpretazione femminile, Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura, Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio.

PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”

La Giuria internazionale del Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”- Leone del Futuro, è composta dal regista e sceneggiatore iraniano e americano Ramin Bahrani (presidente); dall’attrice italiana Carolina Crescentini; dalla regista e sceneggiatrice tunisina Kaouther Ben Hania; dalla curatrice e direttrice artistica giapponese Hayashi Kanako; dal regista argentino Gastón Solnicki.

Tutte le opere prime di lungometraggio presenti nelle diverse sezioni competitive della Mostra (Selezione Ufficiale e Sezioni Autonome e Parallele) concorrono all’assegnazione del Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”. La Giuria Internazionale assegnerà senza possibilità di ex-aequo un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore.

VENICE VIRTUAL REALITY

La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality è composta dalla  regista e sceneggiatrice danese Susanne Bier (presidente), lo scrittore italiano Alessandro Baricco, l’attrice francese Clémence Poésy.

La Giuria Venice Virtual Reality assegnerà – esclusa la possibilità di ex aequo – i seguenti premi: Miglior VR Storia ImmersivaMigliore Esperienza VR per contenuto interattivoMigliore Storia VR per contenuto lineare.

VENEZIA CLASSICI

La Giuria di Venezia Classici è composta da 26 studenti – indicati dai docenti – dei corsi di cinema delle università italiane, dei DAMS e della veneziana Ca’ Foscari. Assegnerà i Premi Venezia Classici per i rispettivi concorsi Miglior Film Restaurato e per il Miglior Documentario sul Cinema. La Giuria è presieduta dal regista e sceneggiatore italiano Salvatore Mereu.

 

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Sabato 8 settembre 2018

 

Giornata dedicata al recupero delle forze ma soprattutto ai tanto attesi premi.

 

CONCORSO

LEONE D’ORO per il miglior film a:
ROMA
di Alfonso Cuarón (Messico)

 

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
THE FAVOURITE
di Yorgos Lanthimos (UK, Irlanda, USA)

 

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Jacques Audiard
per il film THE SISTERS BROTHERS (Francia, Belgio, Romania e Spagna)

 

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione femminile a:
Olivia Colman
nel film THE FAVOURITE di Yorgos Lanthimos (UK, Irlanda, USA)

 

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione maschile a:
Willem Dafoe
nel film AT ETERNITY’S GATE di Julian Schnabel (USA, Francia)

 

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Joel Coen Ethan Coen 
per il film THE BALLAD OF BUSTER SCRUGGS di Joel Coen e Ethan Coen (USA)

 

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
THE NIGHTINGALE
di Jennifer Kent (Australia)

 

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Baykali Ganambarr
nel film THE NIGHTINGALE di Jennifer Kent (Australia)

 

PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA

 

LEONE DEL FUTURO 
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:

YOM ADAATOU ZOULI (THE DAY I LOST MY SHADOW)
di Soudade Kaadan (Repubblica Araba Siriana, Libano, Francia, Qatar)
ORIZZONTI

nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.

 

ORIZZONTI

 

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
KRABEN RAHU (MANTA RAY)
di Phuttiphong Aroonpheng (Thailandia, Francia, Cina)

 

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Emir Baigazin
per il film OZEN (THE RIVER) (Kazakistan, Polonia, Norvegia)

 

il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
ANONS (THE ANNOUNCEMENT)
di Mahmut Fazıl Coşkun (Turchia, Bulgaria)

 

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Natalya Kudryashova
nel film TCHELOVEK KOTORIJ UDIVIL VSEH (THE MAN WHO SURPRISED EVERYONE) di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov (Russia, Estonia, Francia)

 

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Kais Nashif
nel film TEL AVIV ON FIRE di Sameh Zoabi (Lussemburgo, Francia, Israele, Belgio)

 

PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Pema Tseden
per il film JINPA di Pema Tseden (Cina)

 

PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
KADO
di Aditya Ahmad (Indonesia)

 

il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE
EUROPEAN FILM AWARDS 2018 a:
GLI ANNI
di Sara Fgaier (Italia, Francia)

VENEZIA CLASSICI

 

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
THE GREAT BUSTER: A CELEBRATION
di Peter Bogdanovich (USA)

 

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
LA NOTTE DI SAN LORENZO
di Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 1982)

VENICE VIRTUAL REALITY

 

PREMIO MIGLIOR VR (STORIA IMMERSIVA) a:
SPHERES
di Eliza McNitt (USA, Francia)

 

PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR (PER CONTENUTO INTERATTIVO) a:
BUDDY VR
di Chuck Chae (Repubblica di Corea)

 

PREMIO MIGLIORE STORIA VR (PER CONTENUTO LINEARE) a:
L’ÎLE DES MORTS
di Benjamin Nuel (Francia)

 

È andata come si pensava andasse e doveva andare. Roma è il film che più ha colpito la platea festivaliera e buona parte della critica, un cinema intimo e universale in grado di parlare a tutti. Anche Lanthimos ha subito colpito tutti, forse più difficile scegliere tra le tre attrici, in fondo tutte protagoniste, ma la Colman è comunque molto brava. Sul premio a Dafoe che dire, lui è molto bravo, ma il film è proprio un “non ci siamo”. Anche la regia a Audiard mi pare attiri l’attenzione su un’opera non così memorabile, ma in fondo i premi lasciano sempre in parte insoddisfatti, è inevitabile. Del resto è una giuria di artisti eterogenei che si confrontano e decidono sotto la guida di un Presidente, non un voto popolare. Il doppio premio alla Kent farà sicuramente discutere e si dirà che è un contentino dopo l’offesa subita (a proposito, pare sia stato individuato il facinoroso e si stiano prendendo provvedimenti), in realtà il film è potente e in grado di colpire. Su Orizzonti non mi esprimo perché ho visto davvero poco. Valutando l’edizione nel complesso, che dire, sono stati dieci giorni di cinema molto intensi in grado di anticipare quelli che probabilmente sono tra i migliori e più interessanti film che vedremo al cinema nella prossima stagione. Che volere di più?

Dalle pagine di Centraldocinema è tutto. Alla prossima!!

 

 

I nostri voti dal Lido!

CONCORSO

Roma 8

The favourite 8

First Man 7,5

The Ballad of Buster Scruggs 7,5

Suspiria 7

Werk ohne author 7

Doubles vies 7

The sisters brothers 7

Sunset 7

Nuestro tiempo 7

A star is born 7

Peterloo 6,5

Freres ennemis 6,5

Vox Lux 6

The Mountain 6

At eternity’s gate 6

Acusada 6

22 July 5

 

FUORI CONCORSO

Dragged across concrete 8

A star is born 6,5

L’amica geniale 7

La quietud 6,5

 

ORIZZONTI

Sulla mia pelle 7

 

GIORNATE DEGLI AUTORI

Continuer 7

 

VENICE VIRTUAL REALITY

Eclipse 9

Spheres 1,2 e 3 8

l’ile des morts 8

Arden’s wake. Tide’s fall 8

1943 Berlin Blitz 7

Ghost in the shell 7

Isle of dogs: behind the scenes. 6,5

Ballavita 6

 

CLASSIFICA GENERALE!!

Eclipse 9

Spheres 1,2 e 3 8

l’ile des morts 8

Arden’s wake. Tide’s fall 8

Roma 8

The favourite 8

Dragged across concrete 8

First Man 8

The Ballad of Buster Scruggs 7,5

Suspiria 7,5

Werk ohne author 7

Doubles vies 7

The sisters brothers 7

Sunset 7

Nuestro tiempo 7

L’amica geniale 7

Sulla mia pelle 7

Continuer 7

1943 Berlin Blitz 7

Ghost in the shell 7

Isle of dogs: behind the scenes. 6,5

A star is born 6,5

La quietud 6,5

Peterloo 6,5

Freres ennemis 6,5

Vox Lux 6

The Mountain 6

At eternity’s gate 6

Acusada 6

Ballavita 6

22 July 5

 

MEDIA VOTO 7,06!!!

LA PIU ALTA DELLA STORIA DI CENTRALDOCINEMA!!! UN’EDIZIONE INCREDIBILE !