Centraldocinema in diretta

dal Lido di Venezia

(2019)

Il festival giorno per giorno

di Luca Baroncini

Un festival cinematografico comincia in una data precisa: il giorno in cui finisce quello precedente. Si sono quindi appena spente le luci dei riflettori sul trionfo di ROMA di Alfonso Cuarón che subito si guarda avanti immaginando quello che succederà a Berlino e, soprattutto, a Cannes, se saranno in grado di cavalcare la contemporaneità e proporre film capaci non solo di imporsi nella stagione dei premi, ma di restare nel tempo e nel nostro immaginario.

Dopo una Berlinale 2019 sempre più rannicchiata su se stessa (vedremo se qualcosa cambierà con il cambio della guardia che ci aspetta nel 2020) e una Cannes che sulla carta sembrava sottotono e invece si è rivelata molto forte, tutta l’attenzione nei confronti di Venezia si è incrementata, come al solito, dopo la conferenza stampa di presentazione del programma che da fine luglio comincia a far parlare, non solo per astratto, del festival e ovviamente infiamma appassionati, accreditati e chi ama il cinema.

Un programma, quello che ci attende, sulla carta molto interessante, in cui a grandi nomi già dati per certi (Roman Polanski, Steven Soderbergh, James Gray, Hirokazu Korèeda, Noah Baumbach) si affiancano habitué (Pablo Larrain, Atom Egoyan, Mario Martone, Olivier Assayas, Roy Anderson, Robert Guédiguian, Franco Maresco), neo autori (Todd Phillips), scelte inaspettate (Ciro Guerra), ma anche nomi tra il meno noto e il decisamente meno noto (Haifaa Al-Mansour, Yonfan, Václav Marhoul, Pietro Marcello, Ye Lou, Tiago Guedes, Shannon Murphy).

Ovviamente fanno rumore anche gli assenti che si pensavano fossero presenti (ah, il cinefilo, che brutta bestia!), ma Martin Scorsese non ha ancora finito il film, Woody Allen sarebbe stato una scelta audace, vista la schiera di haters che lo stanno massacrando a livello mediatico, ma ormai il film è già bruciato per un festival che cerca il nuovo, mentre il film di Gianni Amelio su Bettino Craxi lo stanno ancora girando.

Da notare infine, ma si sapeva ed è ciò che caratterizza Venezia rispetto ai muri eretti da Cannes, la presenza in concorso di film targati Netflix. Si tratta di MARRIAGE STORY di Noah Baumbach con Scarlett Johannson e Adam Driver e THE LAUNDROMAT di Steven Soderbergh con Meryl Streep, Gary Oldman e Antonio Banderas), entrambi molto attesi.

Fuori Concorso un altro Netflix molto atteso, THE KING di David Michod con Timothée Chalamet sull’Enrico V.

Insomma, lo avrete capito, c’è di che leccarsi i baffi!

Non so voi, ma io ho già l’acquolina e non vedo l’ora che i giorni di festival diventino realtà.

Centraldocinema vi terrà compagnia per quasi tutte le giornate della manifestazione attraverso questo diario in cui le indicazioni del catalogo si uniranno ai pareri personali per tracciare un percorso che si spera si riveli il più possibile fruibile, sia per chi sarà presente al Lido, sia per chi invece sarà impegnato altrove e farà capolino al festival soltanto con lo spirito e attraverso le pagine della rivista.

Gli accessi su Centraldocinema per le edizioni scorse sembrano farci capire che siamo sulla strada giusta. Non resta che fare l’alzataccia, prendere il treno, sobbarcarsi la fila all’imbarcadero per il traghetto e aspettare quell’oretta pigiati sul vaporetto per raggiungere il Lido che ti accoglie, fuori dal tempo, con quella sua atmosfera decadente, malinconica e ricca di promesse.

Ci siamo! Che si aprino le danze e festival sia!

Buona lettura.

Mercoledì 28 agosto 2019

Il primo giorno è caos generale, il fermento è tangibile, l’ansia di partire con il piede giusto anche, ed è tutto un viavai di tecnici, valigie, trolley, gambe che corrono, file, saluti, abbracci, sguardi curiosi. Su tutto quel profumo dato dalla vegetazione (pino marittimo?) e rende l’atmosfera unica, magica e come sospesa nel tempo.

Il film di apertura quest’anno è sicuramente meno forte delle ultime edizioni, un po’ perché pare dovesse essere a Cannes ma poi è finito a Venezia, un po’ perché sembra il tipo di film che difficilmente uscirà dai confini di una fruizione d’essai, quindi piuttosto limitata. Insomma, non è LA LA LAND, ma neanche THE FIRST MAN. Potrebbe sembrare una premessa negativa,

 invece viene da dire finalmente!. Non si insegue, infatti, l’Oscar season a tutti i costi, ma si punta su un autore universalmente riconosciuto come Hirokazu Korèeda e sul fascino senza tempo di due divine del cinema francese come Catherine Deneuve e Juliette Binoche.

Intanto è anche il giorno della prima grande passerella, in cui sono presenti tutti ma proprio tutti, dalla madrina Alessandra Mastronardi che ieri ha fatto la foto tradizionale con i piedi in ammollo nelle acque del Lido, alla Giuria, su cui ci soffermeremo più avanti ma che è sempre un piacere poter vedere sfilare, ai nomi e nomignoli dell’italietta in vetrina (i vari personaggi televisivi di cui faremmo anche a meno in questo contesto).

A proposito di Giuria, fanno molto scalpore le dichiarazioni della presidentessa Lucrecia Martel che prende subito posizioni poco inclini al suo ruolo super partes: ”Non ci sarò alla cena di gala di Polanski per non dovermi alzare ed applaudire”. Riuscirà a svolgere il suo rolo con l’obiettività richiesta? Ovviamente le relative polemiche infiammano il web.

Apre anche la sezione Orizzonti con il film PELICAN BLOOD.

E questa sera una grande opportunità: rivedere o, come nel mio caso, vedere per la prima volta, un film cult come IRREVERSIBLE di Gaspar Noé, per l’occasione in versione lineare, quindi non dalla fine e poi a ritroso ma dove tutto comincia.

LA VÉRITÉ

Regia: Kore-eda Hirokazu
Produzione: 3B productions (Muriel Merlin), Bun-Buku (Miyuki Fukuma), M.I. Movies (Matilde Incerti), France 3 Cinéma, Jamal Zeinal-Zade, Jasmine Zeinal-Zade, Margot Zeinal-Zade, Garidi Films
Durata: 106’
Lingua: francese, inglese
Paesi: Francia, Giappone
Interpreti: Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke, Clementine Grenier, Ludivine Sagnier

SINOSSI

Fabienne è una stella del cinema francese, circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica le sue memorie, la figlia Lumir torna a Parigi da New York con il marito e la sua bambina. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà ben presto in un confronto: le verità verranno a galla, i conti saranno sistemati, e gli amori e i risentimenti confessati.

COMMENTO DEL REGISTA

Se ho voluto affrontare la sfida di girare il primo film all’estero – in una lingua che non è mia e con un cast tutto francese – è perché ho avuto il privilegio di incontrare attori e collaboratori che volevano fare un film con me.

La vérité è il risultato di questo atto di fiducia. Cos’è che rende tale una famiglia? La verità o le bugie? E cosa scegliereste, tra una verità crudele e una bugia a fin di bene? Queste sono le domande che non ho mai smesso di pormi durante la realizzazione del film. Spero che gli spettatori coglieranno l’opportunità per trovare le loro risposte.

COMMENTO PERSONALE

Il nuovo film di Kore-eda Hirokazu, il suo primo con un cast internazionale e lontano dal Giappone, non cambia il suo approccio ai personaggi e al racconto. Al centro abbiamo infatti una famiglia disfunzionale, con una mamma accentratrice e tanti segreti e bugie come in tutte le famiglie disfunzionali che si rispettino. Ciò che interessa come al solito il regista è il rapporto tra verità e finzione, un aspetto che chi ama il cinema conosce bene e su cui la riflessione è sempre stimolante. Una domanda che il film pone, perché di risposte ne dà poche, è se sia più vera la verità dei fatti o ciò che emerge dalla finzione, in grado di pungolare stati d’animo ed emozioni che forse sono in grado di approfondire il proprio vissuto personale più della mera realtà nuda e cruda. Anche perché la realtà, sfumata nei ricordi e nel percepito, finisce per essere tutto meno che oggettiva. Considerazioni interessanti, quindi, forse più del film stesso che scivola con leggerezza, affronta temi forti, ma assume spessore più nel ricordo che durante la visione. Tra la Binoche e la Deneuve, a bucare lo schermo è la giovane Manon Clavel, voce di velluto e forte presenza scenica, che si rivela giovane promessa da tenere d’occhio.

PELICAN BLOOD

Regia: Katrin Gebbe
Produzione: Junafilm (Verena Gräfe-Höft), Miramar Film (Mila Voinikova), Südwestrundfunk
Durata: 121’
Lingua: tedesco
Paesi: Germania, Bulgaria
Interpreti: Nina Hoss, Katerina Lipovska, Adelia-Constance Giovanni Ocleppo

SINOSSI

Wiebke vive con la figlia adottiva di nove anni, Nicolina, in un idilliaco allevamento di cavalli. Dopo aver atteso molto tempo, ora ha la possibilità di adottare Raya, bambina di cinque anni, per dare a Nicolina la sorella che ha sempre desiderato. Le prime settimane trascorrono in armonia, e le sorelle vanno d’amore e d’accordo. Ma poco dopo, Wiebke capisce che Raya, inizialmente timida e incantevole, sta diventando sempre più aggressiva e costituisce un pericolo per sé stessa e gli altri. La madre dovrà presto spingersi oltre i propri limiti e prendere delle decisioni estreme per proteggere le sue piccole.

COMMENTO DELLA REGISTA

Pelikanblut esplora uno scenario da incubo per un genitore. Il titolo si riferisce all’immagine cristiana della madre pellicano che nutre i suoi piccoli morti con il suo stesso sangue per riportarli in vita. È una metafora dell’amore e della fede altruistici. Anche la protagonista del mio film intraprende la strada del sacrificio personale per guarire la sua bambina ‘morta’ dal punto di vista emotivo. Comincia una discutibile cura e diventa sempre più ossessionata dal trovare una soluzione al suo dilemma.

COMMENTO PERSONALE

Finita la proiezione in Sala Darsena ero in giro per il Lido quando ho incontrato la delegazione del film al completo. Confesso che ero terrorizzato dalla piccola protagonista, ma armata di gelato sembrava inoffensiva. Sullo schermo, invece, è davvero quanto di più odioso e temibile si possa incontrare. Ed è questo l’aspetto più interessante del film. Porre una situazione già vista, il tema è quello dell’adozione, ma affrontarlo in una chiave inedita. La piccola che si unisce al nucleo familiare si rivela infatti tutto meno che amorevole, una sorta di baby demonio che declina il film al genere horror. Per buona parte il film, grazie all’originalità dell’approccio e a Nina Hoss che è sempre straordinaria nel dare umanità ai personaggi che interpreta, pone domande interessanti, non banalizza la situazione e colpisce nel profondo, poi la deriva sciamana gli fa perdere un po’ il filo del racconto o, forse, lo porta lontano dalle nostre aspettative e quindi finisce per perderci. Un’opera comunque interessante, anche se un po’ tronca.

Concludo la già ricca giornata con la visione per la stampa di IRRÉVERSIBLE – INVERSION INTÉGRALE, il film cult di Gaspar Noé per l’occasione montato seguendo una cronologia inversa. L’originale infatti partiva dalla conclusione e andava a ritroso, ma in questa versione si segue un ordine temporale canonico. Insomma, per chi ha visto il film, non c’è il lieto fine. È uno di quei film di cui avevo sempre sentito parlare ma non lo avevo ancora visto, beh, direi proprio che è da non perdere, un’opera molto personale che dietro la provocazione, lo stile, nasconde una riflessione sul tempo e sull’animo umano. Interessante la trama del film che compare sul catalogo: Perché tutti ricordano solo il passato? Perché nessuno ascolta i sogni premonitori? Perché la percezione del tempo viaggia solamente in una direzione? Perché il libero arbitrio è un’illusione? Perché l’uomo è soltanto un animale?

Un film, quindi, che pone solo domande e non offre risposte che non siano le proprie. Monica Bellucci e Vincent Cassel sono meravigliosi e per la Bellucci mi colpisce la determinazione con cui ha inseguito ruoli audaci che le hanno permesso di non essere incasellata come solo bella, davvero complimenti per la capacità di osare. Film da vedere rigorosamente al cinema, non dà tregua. Il regista lo ha definito “come un vecchio disco il cui lato B è il mix meno concettuale del brano del lato A”.

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Giovedì 29 agosto 2019

Come ormai da copione rodato, un festival gioca le sue carte nei primissimi giorni, diciamo entro il primo week-end. Tanto i giornali parleranno sì dei film, ma tutti gli occhi e i riflettori saranno concentrati sulle star presenti e se fai parlare all’inizio c’è più probabilità di incrinare l’indifferenza del pubblico nei giorni a seguire. Poi a Venezia l’andamento è sempre il solito, durante il festival comincia quello di Toronto e quindi buona parte della stampa estera concentra la sua attenzione solo nelle prime giornate per poi volare oltreoceano. Per ribadire, insomma, che i primi giorni fanno la differenza. E Alberto Barbera non si smentisce, costruendo premesse davvero interessanti con un menù di star alquanto succulento. Oggi arriveranno, tra gli altri, Brad Pitt, Adam Driver, Laura Dern e Scarlett Johansson. What else?

THE PERFECT CANDIDATE

Regia: Haifaa Al Mansour
Produzione: Razor Film Produktion (Gerhard Meixner, Roman Paul), Haifaa Al Mansour’s Establishment for Audiovisual Media (Haifaa Al Mansour)
Durata: 101’
Lingua: arabo
Paesi: Arabia Saudita, Germania
Interpreti: Mila Alzahrani, Dhay, Nourah Al Awad, Khalid Abdulrhim

SINOSSI

La candidatura inaspettata di una giovane e determinata dottoressa saudita alle elezioni comunali sconvolge la sua famiglia e la comunità locale, che si misura con la difficoltà di accettare la prima candidata donna della città.

COMMENTO DELLA REGISTA

The Perfect Candidate è incentrato sulla figura di una dottoressa saudita che, sfidando il sistema patriarcale, si candida alle elezioni del consiglio municipale con l’obiettivo di riparare la strada che conduce all’ospedale dove lavora. Attraverso il suo percorso, voglio mostrare una visione ottimista del ruolo che le donne saudite possono ricoprire nella società unitamente al contributo che possono dare nell’atto di forgiare il proprio destino. Voglio incoraggiare le donne saudite a cogliere un’opportunità e a liberarsi dal sistema che ci ha deliberatamente ostacolato così a lungo. Il cambiamento deve necessariamente essere sostenuto e guidato dalle persone che hanno particolarmente bisogno di miglioramenti e di maggiore mobilità nella vita quotidiana. Il significato sottinteso del film ruota attorno alla necessità di celebrare e rendere omaggio alle nostre profonde tradizioni culturali e artistiche e di lasciare che esse guidino gli sforzi necessari a promuovere il processo di sviluppo e di modernizzazione del Paese. Tutte le manifestazioni artistiche pubbliche sono state proibite nella fase moderna di sviluppo del Paese. Ma con la riapertura di sale da concerto, cinema e gallerie d’arte in tutto il Regno, è importante volgere nuovamente lo sguardo alla ricca storia artistica che abbiamo quasi perduto. Esiste musica bellissima e un ricco patrimonio di immagini che dobbiamo riportare in vita, restaurare e rafforzare all’interno della nostra società. Con l’apertura dei cinema e il permesso di guidare concesso alle donne del Regno voglio mostrare lo sforzo immenso che il cambiamento reale comporterà. Le donne avranno l’opportunità di contribuire e partecipare a una società che per generazioni intere le ha estromesse. La parte più difficile per le donne ora è guardare oltre le antiquate convenzioni sociali e i modesti obiettivi che si erano prefissate precedentemente, mandare in frantumi i tabù che le attanagliano e decidere di tracciare nuovi percorsi per se stesse e le loro figlie.

COMMENTO PERSONALE

THE PERFECT CANDIDATE è il film che non può mancare a un festival: diretto da una donna, incentrato su tematiche attuali e forti, portatore di valori inclini al cambiamento di usi e costumi non in linea con la contemporaneità. Il risultato prova a conciliare tutte le variabili di cui si fa carico e attraverso uno stile che non si distingue per personalità riesce comunque a centrare il suo obiettivo: raccontare una storia e sensibilizzare.

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MARRIAGE STORY

Regia: Noah Baumbach
Produzione: Heyday Films (Noah Baumbach, David Heyman), Netflix
Durata: 135’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Scarlett Johansson, Adam Driver, Laura Dern, Alan Alda, Ray Liotta, Julie Hagerty

SINOSSI

Marriage Story è il ritratto incisivo e compassionevole di un matrimonio che va in pezzi e di una famiglia che resta unita.

COMMENTO DEL REGISTA

I film sono stati per me una cura in alcuni dei momenti più bui della mia vita e mi hanno aiutato a capire ciò che credevo andasse oltre la mia comprensione. Sedendomi in una sala cinematografica, lasciavo che il meccanismo dell’empatia insito nel cinema agisse su di me. Il divorzio è la storia che accomuna moltissimi matrimoni, ed è fonte di vergogna e isolamento. Il sistema giuridico che regolamenta il divorzio è inevitabilmente concepito per dividere. Divide le persone, la famiglia, la proprietà e il tempo. Isola ogni singolo individuo all’interno della propria storia e offusca il punto di vista dell’altra persona. Io volevo offrire una nuova prospettiva, fare una proposta più generosa. Volevo trovare la storia d’amore all’interno del crollo. La speranza nelle aule di tribunale, in mezzo ai documenti e alle regole. I film sono un antidoto al divorzio. Un mondo non di separazione ma di amore.

COMMENTO PERSONALE

Primo colpo di fulmine del festival. Il racconto, più che di un matrimonio, è della sua problematica fine e contrappone mentalità e stili di vita che si credevano uguali e si scoprono invece diversi. L’amore fa miracoli, unisce per poi dividere quando il mettersi da parte in nome del bene comune non si riesce più a contenere. Da una parte Los Angeles con il suo sole perenne e il mondo del cinema che si respira ovunque, dall’altra New York e il suo fermento ricco di stimoli e creatività. In mezzo un bimbo che ama entrambi i genitori e da entrambi ricambiato. Ma anche un amore che però si è gradualmente ridimensionato diventando una complicità, poi neppure quella. Noah Baumbach si dimostra abilissimo nel raccontare ciò che conosce, i sentimenti, il loro divenire e infrangersi nel quotidiano e trova in Scarlett Johansson e Adam Driver due interpreti straordinari che sembrano già candidarsi per la Coppa Volpi e tutti i premi possibili. Un film fatto di piccoli eventi, scritto in modo magistrale, dove le lacrime si alternano al sorriso e su tutto domina la misura di chi non cerca l’urlo per smuovere un sentimento. Laura Dern si prenota l’Oscar come non protagonista. La sua divorzista Nora buca lo schermo e ha un monologo acchiappaconsensi che non passerà nell’indifferenza.

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AD ASTRA

Regia: James Gray
Produzione: Plan B (Brad Pitt, Jeremy Kleiner, Dede Gardner), Keep Your Head Productions (James Gray, Anthony Katagas), RT Features (Rodrigo Teixeira), New Regency Productions (Arnon Milchan), Bona Film Group, MadRiver Pictures
Durata: 124’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler, Donald Sutherland

SINOSSI

Il cosmonauta Roy McBride viaggia fino ai confini estremi del sistema solare per ritrovare il padre scomparso e svelare un mistero che minaccia la sopravvivenza del nostro pianeta. Il suo viaggio porterà alla luce segreti che mettono in dubbio la natura dell’esistenza umana e il nostro ruolo nell’universo.

COMMENTO DEL REGISTA

Ho trovato una citazione di Arthur C. Clarke, autore di 2001: Odissea nello spazio: “Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe sono terrificanti”. Allora ho pensato che non avevo mai visto un film su di noi, soli nell’universo. L’idea dei viaggi nello spazio è bella e terrificante al tempo stesso: io sono un grande sostenitore delle esplorazioni spaziali, che però a volte sono semplicemente un modo per fuggire. Questo mi ha trasportato in una dimensione intima: la storia di un padre e di un figlio. Spero che le persone capiscano che dobbiamo apprezzare le esplorazioni e amare la Terra. Bisogna preservare la Terra e i legami umani, a ogni costo.

COMMENTO PERSONALE

Così a caldo pare il classico elefante che partorisce un topolino. Regista osannato (James Gray), star mondiale incline alle scelte autoriali (Brad Pitt), confezione extra lusso. Eppure l’insieme non convince. C’è questo prendersi costantemente sul serio, esaltato da una certa enfasi nel racconto e dalla fissità di Pitt che prilla nello spazio. Ambisce a mostrare chissà quale verità nel tentativo di sviscerare un rapporto di incomprensioni tra padre e figlio, ma le conclusioni arrivano abbastanza banali e molto spiegate. Che le cose semplici siano le più belle un po’ lo sapevamo, dai. Oscar per il superfluo a Liv Tyler, chissà se ridimensionata in sede di montaggio o dal minutaggio così risicato fin da subito.

Giornata come potete immaginare molto caotica, dato il tenore delle star presenti, con la conseguenza di rendere un po’ complicato fare tutto: conferenze stampa prese d’assalto, folla in delirio, ragazzini accampati fin dalle prime ore dell’alba per strappare un autografo o un selfie. La sensazione è di essere dove le cose accadono. E non è affatto male.

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Venerdì 30 agosto 2019

Si entra nel vivo del festival con alcuni dei film più attesi. Il nuovo Polanski è ovviamente al centro dell’attenzione mediatica dopo le dichiarazioni della presidentessa di giuria e noto già schieramenti preventivi tra chi lo adorerà e chi non lo andrà neanche a vedere. Come al solito il popolo festivaliero è vario e vive di estremismi, il che lo rende variopinto, magari divertente, ma anche poco affidabile a livello critico. Vediamo, intanto, il film. Ma oggi ci saranno anche Mario Martone e Kristen Stewart nei panni di Jean Seberg.

L’UFFICIALE E LA SPIA

Regia: Roman Polanski
Produzione: Legende Films (Alain Goldman), RP Productions, Eliseo Cinema, Rai Cinema, Gaumont, France 2 Cinéma, France 3 Cinéma, Kinoprime Foundation, Kenosis, Horus Movies
Durata: 132’
Lingua: francese
Paesi: Francia, Italia
Interpreti: Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois

SINOSSI

Il 5 gennaio 1895 il capitano Alfred Dreyfus, giovane e promettente ufficiale dell’esercito francese accusato di essere un informatore dei tedeschi, viene degradato e condannato alla deportazione a vita nell’Isola del Diavolo nell’Oceano Atlantico, al largo delle coste della Guyana francese. Tra i testimoni della sua umiliazione c’è Georges Picquart, promosso a capo dell’unità di controspionaggio che lo ha accusato. Quando però Picquart scopre che le informazioni riservate continuano a essere passate ai tedeschi, viene attirato in un pericoloso labirinto di inganni e corruzione, che minaccia non soltanto il suo onore, ma la sua stessa vita.

COMMENTO DEL REGISTA

Il film è basato sull’affaire Dreyfus, argomento cui penso da molti anni. In questo scandalo di vaste proporzioni, forse il più clamoroso del diciannovesimo secolo, si intrecciano l’errore giudiziario, il fallimento della giustizia e l’antisemitismo. Il caso Dreyfus divise la Francia per dodici anni, causando una vera e propria sollevazione in tutto il mondo, e rimane ancora oggi un simbolo dell’iniquità di cui sono capaci le autorità politiche, nel nome degli interessi nazionali.

COMMENTO PErSONALE

Solido di film di un regista che non ha più nulla da dimostrare, però, va detto, non è il capolavoro di cui tutti stanno parlando. Sviscera la complessità di un fatto più noto che approfondito, ma in alcuni punti tira aria da sceneggiatone, anche nel celebre ”J’accuse” di Zola. E poi Emmanuelle Seigner sembra provenire da un altro film, soprattutto da un’altra epoca. Comunque sia un buon film, che si comporterà bene anche nelle sale.

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IL SINDACO DEL RIONE SANITA’

Regia: Mario Martone
Produzione: Indigo Film (Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori), Rai Cinema, Malìa (Alessandra Acciai, Giorgio Magliulo, Roberto Lombardi)
Durata: 118’
Lingua: dialetto napoletano, italiano
Paesi: Italia
Interpreti: Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe Gaudino

SINOSSI

Antonio Barracano, uomo d’onore che sa distinguere tra gente per bene e gente carogna, è ‘Il Sindaco’ del Rione Sanità. Con la sua carismatica influenza e l’aiuto dell’amico medico amministra la giustizia secondo suoi personali criteri, al di fuori dello Stato e al di sopra delle parti. Chi ‘tiene santi’ va in Paradiso e chi non ne ha va da Don Antonio, questa è la regola. Quando gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello, il figlio del fornaio, deciso a uccidere il padre, Don Antonio riconosce nel giovane lo stesso sentimento di vendetta che da ragazzo lo aveva ossessionato e poi cambiato per sempre. Il Sindaco decide di intervenire per riconciliare padre e figlio e salvarli entrambi. Il Sindaco del Rione Sanità di Eduardo De Filippo diventa un film di forte attualità, capace di raccontare l’eterna lotta tra bene e male.

COMMENTO PERSONALE

Ma quanto è ancora attuale Eduardo De Filippo? Mario Martone traspone il suo spettacolo teatrale tratto dal testo immortale di De Filippo e lo trasforma in cinema grazie a un perfetto amalgama di scrittura, messa in scena realistica e ottimi interpreti. Pare che uscirà nelle sale solo come evento per pochi, mentre potrebbe colpire una più ampia fetta di pubblico.

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Oltre ai due film in concorso lo sguardo è stato attirato anche da due opere, una Fuori Concorso e l’altra in Orizzonti. La prima è SEBERG, che ripercorre non la vita della celebre Jean Seberg, ma il periodo in cui fu sostenitrice del movimento “Black Power”, a favore dei diritti dei neri, e amante del suo leader Hakim Jamal. Scelta più che lecita, il cinema è libertà, ma anche occasione sprecata perché il lato pseudo thriller si risolve in modo abbastanza piatto e prevedibile, mentre della Seberg finiamo per sapere poco. La Stewart si conferma icona di stile e la confezione del film è suadente e ammalia.

Il secondo è invece SOLE di Carlo Sironi, riuscita opera prima che fa incontrare sul litorale laziale due solitudini. Premesse da solito film che invece il regista ammanta di personalità. Si concentra sui suoi due protagonisti, una ragazza incinta che venderà il bambino che porta in grembo e un ragazzo privo di un centro, e vuole loro bene. Il film è uno scavo di personaggi, non risolve, ma approfondisce e fa vivere. Pare lo abbia acquistato Officine Ubu, quindi uscirà nelle sale. Intercettatelo, non di soli effetti speciali e film che urlano vive l’uomo.

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Sabato 31 agosto 2019

Il primo sabato del festival occorre essere determinati e organizzati perché, insieme alla domenica, è il giorno di maggiore affluenza al Lido. Tutti corrono, tutti cercano di vedere cose, tutti sembrano impazziti. È anche il giorno di due film molto attesi, EMA e JOKER, Il primo di uno degli autori più coccolati da Venezia, il cileno Pablo Larrain, il secondo di un regista molto professionale come Todd Phillips che attraverso una personale reinterpretazione di uno dei villain più noti dei fumetti cerca la promozione a ruolo di autore. Ho visto a Ciné – la presentazione annuale che gli esercenti fanno dei loro listini per gli esercenti a Riccione in luglio – i primi dieci minuti di film e devo dire che sono rimasto molto colpito, soprattutto dalla trasfigurazione di Joaquin Phoenix, quindi la curiosità ha preso la forma un hype altissimo; detto da uno che ormai non ne può più di uomini in calzamaglia a cui affidare il destino del mondo.

EMA

Regia: Pablo Larraín
Produzione: Fabula (Juan de Dios Larraín)
Durata: 102’
Lingua: spagnolo
Paesi: Cile
Interpreti: Mariana Di Girolamo, Gael García Bernal

SINOSSI

Ema, giovane ballerina, decide di separarsi da Gastón dopo aver rinunciato a Polo, il figlio che avevano adottato ma che non sono stati in grado di crescere. Per le strade della città portuale di Valparaíso, la ragazza va alla ricerca disperata di storie d’amore che l’aiutino a superare il senso di colpa. Ma Ema ha anche un piano segreto per riprendersi tutto ciò che ha perduto.

COMMENTO DEL REGISTA

Una meditazione sul corpo umano, sulla danza e sulla maternità.

COMMENTO PERSONALE

Pablo Larrain proprio non ce la fa a essere leggero. Ci prova, mette il suo talento per le immagini a disposizione di un racconto incentrato su una giovane donna che attraverso la danza cerca se stessa. Sono varie le tematiche che il film affronta, le famiglie disfunzionali, il corpo come espressione di sé, le problematiche legate all’adozione, la crisi di coppia, ma su tutto si impone lo stile del regista che prova a imporre personalità a ogni inquadratura. Il risultato non è privo di fascino ma si accontenta di andare dove gli pare senza che sia ben chiaro dove. Ecco quindi immagini psichedeliche, dialoghi sopra le righe, differenti registri, balletti underground, e chi più ne ha più ne metta. Senza che nulla scalfisca l’indifferenza, anzi, solo una battuta, il monologo con cui Gael García Bernal massacra il reggaeton, davvero irresistibile. Un po’ poco per un’opera ambiziosa ma fondamentalmente irrisolta. Dato il contesto festivaliero non è da escludere che trovi estimatori pronti a strapparsi le vesti.

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JOKER

Regia: Todd Phillips
Produzione: Joint Effort (Todd Phillips, Bradley Cooper, Emma Tillinger)
Durata: 118’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conr

SINOSSI

Joker è un film sul nemico per eccellenza ed è un racconto originale e autonomo, mai visto sul grande schermo. L’analisi sviluppata da Phillips del personaggio di Arthur Fleck, interpretato in maniera indimenticabile da Joaquin Phoenix, ci restituisce un uomo che cerca di trovare il suo posto nella società in frantumi di Gotham City. Clown di giorno, la notte aspira a essere comico di cabaret, ma si accorge di essere uno zimbello. Prigioniero di un’esistenza ciclica, tra apatia e crudeltà, Arthur prende una decisione sbagliata che innesca una reazione a catena di eventi, in questo crudo studio di personalità.

COMMENTO DEL REGISTA

Mi ha sempre attratto la complessità di Joker e ho pensato che sarebbe stato interessante esplorarne le origini visto che nessuno lo aveva ancora fatto. Parte del suo mistero stava proprio nel non avere un’origine definita, quindi Silver Scott e io ci siamo seduti a scrivere una versione di come poteva essere prima che tutti lo conoscessimo. Abbiamo conservato certi elementi canonici e abbiamo ambientato la storia in una fatiscente Gotham City a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, epoca a cui risalgono alcuni grandi studi di personalità del cinema che amo. L’abbiamo scritta pensando a Joaquin Phoenix perché quando recita è capace di trasformarsi e va sempre fino in fondo. Speriamo di aver creato un personaggio per il quale emozionarsi, per cui parteggiare, fino al punto in cui non sarà più possibile.

COMMENTO PERSONALE

Wow! Che dire, il JOKER di Todd Phillips con uno straordinario Joaquin Phoenix mantiene le premesse e grazie al crescendo che lo contraddistingue arriva dove vuole destabilizza. Non è un cinecomic (mi sa che su questo aspetto molti puristi avranno da ridire per lungo tempo), ma trae spunto da un universo arcinoto per raccontare la caduta agli inferi di un uomo provato dalla vita e dalle scelte sbagliate, vittima ma anche carnefice, in un percorso che lo porterà ad abbracciare il lato oscuro, l’unico in grado di garantirgli quel riscatto da cui sembra dipendere. Joaquin Phoenix si trasfigura nel protagonista, certo è sopra le righe ma è il suo personaggio a esserlo, e mi sa che la stagione dei premi se l’è già tutta prenotata. Anche la messa in scena di Phillips è perfetta per coadiuvare la presa di coscienza del protagonista che, sì, viene da un mondo di fumetti di cui ripropone alcuni agganci, ma da esso finisce anche per prendere le distanze diventando altro. Echi di Scorsese connotano più di una sequenza, ma non è un male, solo un riferimento. Al riaccendersi delle luci in sala siamo tutti sovrastati dalle emozioni perché è un film che finisce per colpire nel profondo. E non è cosa da dare per scontata. Insomma, wow!

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Domenica 1 settembre 2019

La prima domenica Venezia si trasforma nel luogo più frequentato del mondo, è il posto dove le cose accadono ed è quindi bello esserci. A complicare gli spostamenti la tradizionale regata storica che blocca le comunicazioni con il Lido per parte del giorno. Molte le star attese per oggi, da Meryl Streep a Gary Oldman per THE LAUNDROMAT di Steven Soderbergh, a Penelope Cruz ed Edgar Ramírez per WASP NETWORK, il nuovo film di Olivier Assayas. Ma c’è pure un grande fermento intorno alla presentazione di THE NEW POPE 2, d cui vengono presentati gli episodi 2 e 7, scelta ovviamente bizzarra in linea con il suo autore Paolo Sorrentino.

THE LAUNDROMAT

Regia: Steven Soderbergh
Produzione: Grey Matter (Lawrence Grey), Sugar 23 / Anonymous Content (Michael Sugar), Netflix
Durata: 96’
Lingua: inglese
Paesi: Usa
Interpreti: Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Jeffrey Wright, Matthias Schoenaerts, James Cromwell, Sharon Stone

SINOSSI

Quando la sua vacanza idilliaca prende una piega inattesa, Ellen Martin comincia a fare ricerche su una polizza assicurativa falsa, per ritrovarsi in un giro infinito di loschi traffici, riferibili a uno studio legale di Panama specializzato nell’aiutare i cittadini più ricchi del mondo ad accumulare fortune ancora più grandi.

COMMENTO DEL REGISTA

Gli affascinanti – ed elegantissimi – soci fondatori Jürgen Mossack e Ramón Fonseca sono esperti nel trovare soluzioni seducenti, attraverso società fittizie e conti offshore, per aiutare i ricchi e potenti a prosperare. Ci mostreranno che il problema di Ellen è solo la punta dell’iceberg dell’evasione fiscale, delle tangenti e di altre assurdità con le quali i super ricchi sostengono il sistema finanziario corrotto del mondo. Il film – un adattamento di Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite del reporter investigativo e vincitore del premio Pulitzer Jake Bernstein – sfreccia attraverso un caleidoscopio di comiche deviazioni in Cina, Messico, Africa (via Los Angeles) e Caraibi, fino all’incidente dei Panama Papers del 2016, occasione in cui i giornalisti fecero trapelare i documenti segreti criptati dei clienti di alto profilo di Mossack Fonseca.

COMMENTO PERSONALE

Film piacevole, di quelli un po’ tipici di Soderbergh, dove tanti tasselli formano un quadro che mira a colpire al cuore l’establishment mostrandone le contraddizioni. Si cerca quindi di sbugiardare un sistema finanziario marcio e corrotto che finisce per azzerare i risparmi dei piccoli e arricchire sempre più i miliardari. Tutto raccontato con leggerezza dando l’impressione di far capire cose che invece non si capiscono per niente. In tal senso mi ha ricordato un po’ LA GRANDE SCOMMESSA che la buttava un po’ in caciara senza che nulla fosse sufficientemente chiaro per essere davvero compreso. Il film comunque scorre ed è piacevole, ma la denuncia di un sistema corrotto è altrove. Meryl è sempre Meryl, qui donna più comune che mai, e gli altri sembrano divertirsi un sacco. Più di noi.

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WASP NETWORK

Regia: Olivier Assayas
Produzione: RT Features (Rodrigo Teixeira, Lourenço Sant’Anna), CG Cinéma (Charles Gillibert), Nostromo Pictures, Scope Pictures
Durata: 123’
Lingua: spagnolo, inglese, russo
Paesi: Brasile, Francia, Spagna, Belgio
Interpreti: Penélope Cruz, Edgar Ramírez, Gael García Bernal, Wagner Moura, Ana de Armas, Leonardo Sbaraglia

SINOSSI

L’Avana, dicembre 1990. René González, pilota di linea cubano, ruba un aereo e fugge dal Paese, lasciando moglie e figlia. Comincia una nuova vita a Miami, presto raggiunto da altri dissidenti cubani, tutti impegnati nella destabilizzazione del regime di Castro. Basato su una storia vera.

COMMENTO DEL REGISTA

La politica, come Shakespeare scrisse a proposito della vita, è un racconto narrato da uno stolto, pieno di rumore e furore, che non significa nulla. Ma è di questa passione che gli uomini vivono. E muoiono. I conflitti della Guerra Fredda hanno definito la mia generazione e delineato i contorni del presente. Le ceneri sono ancora accese e ci si può facilmente bruciare. Tuttavia, mi pare che oggi la distanza storica permetta di discuterne. Non certo con distacco, ma con la libertà e il rigore di un’analisi magnanima, seppur prudente. Senza farsi ingannare dalle maschere dell’ideologia. Mi interessa la storia moderna vista attraverso la lente della sua umanità, per come rivela nei suoi attori l’intima verità che definisce le azioni, la fede e gli errori. C’è un motivo per cui facciamo ciò che facciamo? Chi può essere giudice? Trascinati dalla ruota della storia, preda di demoni e illusioni, ma anche vittime di entrambi, gli attori nel dramma della politica sono nostri fratelli, così come noi siamo loro complici.

COMMENTO PERSONALE

Olivier Assayas gira un film lontano dalle sue corde. Il racconto gravita intorno a una storia vera, una sorta di dramma di spionaggio basato sulla vita di un piccolo gruppo di profughi cubani legati ai servizi segreti del regime di Fidel Castro che si infiltrano negli Stati Uniti. Non che il regista francese sia per forza da abbinare a opere intimiste: QUALCOSA NELL’ARIA raccontava il ’68, PERSONAL SHOPPER esplorava l’horror e il metafisico. Anche in quei casi, però, si prediligeva lo scavo dei personaggi all’azione. In WASP NETWORK, invece, il genere richiede uno sguardo che probabilmente è quanto di più lontano da quello di Assayas. Sta di fatto che il film scorre piatto, non sempre comprensibile in tutte le sue dinamiche e anche poco interessante nelle caratterizzazioni dei personaggi nonostante la buona volontà del cast.

Come previsto il caos ha regnato con numerose difficoltà logistiche. Nuove regole per l’accesso alle conferenze stampa ne limitano la fruibilità anche per gli accrediti Stampa e le file, finora prerogativa di Cannes, stanno diventando un’abitudine anche a Venezia. Ad accentrare gli sguardi non solo Meryl e Penelope, ma anche un Jude Law in ottima forma.

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Lunedì 2 settembre 2019

Passata è la tempesta, odo augelli far festa” recita ”La quiete dopo la tempesta” di Giacomo Leopardi e in effetti è una perfetta metafora del lunedì dopo il primo week-end al Lido durante il Festival di Venezia. Il delirio, insomma, ha avuto la sua effervescenza ma ora si torna a più mite movimento. In realtà il fermento è grande anche oggi perché, al di là di quell’antipatichino di Chalamet (mi sa che il netflixiano THE KING lo bypasserò), dell’atteso MARTIN EDEN di Pietro Marcello e dell’outsider di animazione cinese, è il giorno di JULIE ANDREWS.

NO 7 CHERRY LANE

Regia: Yonfan
Produzione: Far Sun Film (Monica Chao, Yonfan)
Durata: 125’
Lingua: mandarino, cantonese, francese
Paesi: Hong Kong SAR, Cina
Interpreti: voci di Sylvia Chang, Zhao Wei, Alex Lam, Yao Wei, Tian Zhuangzhuang

SINOSSI

Negli anni Sessanta, mentre si definisce uno stile di vita materialistico, a Hong Kong emergono anche correnti alternative. Ji yuan tai qi hao narra la storia di Ziming, uno studente dell’Università di Hong Kong combattuto tra i sentimenti che nutre per la signora Yu, una madre in autoesilio da Taiwan negli anni del Terrore Bianco, e la sua bellissima figlia Meiling. Ziming le porta a vedere diversi film e, attraverso i momenti magici catturati sul grande schermo, si fanno strada passioni proibite. L’arco temporale coincide con gli eventi turbolenti vissuti a Hong Kong nel 1967.

COMMENTO DEL REGISTA

Ji yuan tai qi hao parla soprattutto di me.

Si tratta della storia di un amore disperato, farcito di ingredienti contraddittori: dentro e fuori, alti e bassi, vizio e virtù, guerra e pace, la bella e la bestia, est e ovest, eterodosso e classico, spirituale e fisico… il tutto mescolato a migliaia di immagini realizzate a mano che costellano l’intera pellicola. È il mio primo tentativo nell’ambito dell’animazione, perché è solo attraverso questa forma d’arte che posso trasmettere il mio sentimento di “desolazione nello splendore”. È la mia lettera d’amore dedicata a Hong Kong e al cinema. Una storia che parla di ieri, oggi e domani. E soprattutto, è un film che parla di liberazione.

COMMENTO PERSONALE

E ora qualcosa di completamente diverso. Se dovessi dire che è un film nelle mie corde mentirei, ma un utilizzo così personale, ardito e bizzarro dell’animazione non lascia indifferenti. Un film senza tempo, non semplice da seguire nella scansione degli eventi, perché spazia dal personale allo storico, dall’amore per il cinema al risalto delle pulsioni, dai dettagli stridenti alla bellezza di certi accostamenti. Il tutto permeato da un amore incondizionato per la città di Hong Kong che permea e accompagna le vicende raccontate. Un andamento onirico con cui il regista 71enne Yonfan ripercorre con tutta probabilità momenti della sua vita. Non privo di fascino, non riesce però a essere mai davvero comunicativo. Forse non si preoccupa proprio di esserlo. E va bene così.

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MARTIN EDEN

Regia: Pietro Marcello
Produzione: Avventurosa (Pietro Marcello), RaiCinema (Paolo Del Brocco, Paola Malanga), IBC (Giuseppe Caschetto), Shellac Sud (Thomas Ordonneau), Match Factory Productions (Michael Weber, Viola Fügen)
Durata: 129’
Lingua: italiano, diversi dialetti italiani, francese
Paesi: Italia, Francia
Interpreti: Luca Marinelli, Carlo Cecchi, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Sardisco, Carmen Pommella

SINOSSI

Dopo aver salvato da un pestaggio Arturo, giovane rampollo della borghesia industriale, il marinaio Martin Eden viene ricevuto nella casa della famiglia del ragazzo. Qui conosce Elena, la bella sorella di Arturo, di cui si innamora al primo sguardo. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi. A costo di enormi fatiche e affrontando gli ostacoli della propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e – influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden – si avvicina ai circoli socialisti, entrando per questo in conflitto con Elena e il suo mondo borghese.

COMMENTO DEL REGISTA

Martin Eden racconta la nostra storia, la storia di chi si è formato non nella famiglia o nella scuola, ma attraverso la cultura incontrata lungo la strada. È il romanzo degli autodidatti, di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione e ne è stato, in parte, deluso. Un libro di grande attualità politica, che rivela la capacità di Jack London di vedere le fosche tinte del futuro, le perversioni e i tormenti del ventesimo secolo. Abbiamo immaginato il nostro Martin attraversare il Novecento, o meglio una ‘crasi’, una trasposizione trasognata del secolo, libera da coordinate temporali, ambientata non più nella California del romanzo ma in una Napoli che potrebbe essere una qualsiasi città portuale (non solo) d’Italia.

COMMENTO PERSONALE

L’omonimo romanzo di Jack London nelle mani di Pietro Marcello diventa una liberissima trasposizione in cui si combinano temi e stili differenti per dare forma al dramma esistenziale del protagonista, un bravo bravissimo Luca Marinelli che si candida subito alla Coppa Volpi come migliore attore. Il salto dalla California a Napoli è notevole, ma la città non viene mai connotata con precisione e diventa un covo di tensioni, personali e sociali. Il film racconta il cambio di prospettiva di un marinaio che grazie a un incontro fortuito entra a contatto con un mondo fatto di nobiltà e cultura che a lui sarebbe precluso. Un mondo che gli apre le porte della conoscenza e che gli consentirà un riscatto sociale a cui non corrisponderà mai la felicità. A una prima parte intensa e originale, con una regia che si sofferma su ciò che ritiene opportuno per dare spessore al personaggio e profondità ai suoi conflitti (non mancano inserti d’archivio e citazioni sparse), segue una parte finale in cui la resa dei conti e il fallimento delle proprie aspirazioni arrivano un po’ brusche.

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Lo so che vi state chiedendo: e JULIE ANDREWS? È stata meravigliosa. Dopo una fila lunghissima in cui stavo per non farcela e invece ce l’ho fatta sono riuscito a entrare in sala Grande, per l’occasione gremitissima. Con grande grazia la Andrews è arrivata accompagnata da Paolo Baratta, Alberto Barbera e Luca Guadagnino e si è prestata docilmente al rito della celebrazione, con tanto di vocalizzo in cui ha subito ricordato le sue doti da soprano. Una grande emozione trovarsi davanti un pezzo di storia del cinema, inteprete di film che sono diventati classici intramontabili e accompagneranno per sempre intere generazioni nel regno della fantasia, dove tutto è possibile, da TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE a MARY POPPINS. A seguire uno dei suoi ruoli più divertenti, anzi, dei suoi ruoli, visto che è sia Victoria Grant che il Conte Victor Grazinski. Rivedere VICTOR VICTORIA su grande schermo è un privilegio raro.

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Martedì 3 settembre 2019

Il martedì comincia un fisiologico svuotamento/ricambio. Cominciano tra oggi e domani le partenze dei rappresentanti della stampa estera che prendono il volo verso Toronto, che inizia il 5 settembre e per 10 giorni mostrerà di tutto e di più del panorama mondiale per la stagione autunno/inverno 2019/2020. Il ricambio è invece di quelli, pochi ma ci sono, che evitano gli assembramenti delle prime giornate, succose ma logisticamente complesse, e si godono la seconda parte del festival. Oggi Egoyan, Andersson e il possibile outsider ceco in bianco e nero di tre ore, ma, soprattutto, A CONVERSATION WITH JULIE ANDREWS, un incontro tra la star, fresca Leone d’Oro alla Carriera, il pubblico e gli accreditati. Occorrerà mettersi in fila con un po’ di anticipo, un bel po’, ma ci proverò.

THE PAINTED BIRD

Regia: Václav Marhoul
Produzione: Silver Screen (Václav Marhoul)
Durata: 169’
Lingua: esperanto slavo, ceco, russo, tedesco
Paesi: Repubblica Ceca, Ucraina, Slovacchia
Interpreti: Petr Kotlár, Udo Kier, Lech Dyblik, Jitka Čvančarová, Stellan Skarsgård, Harvey Keitel, Julian Sands, Barry Pepper, Aleksey Kravchenko

SINOSSI

Tratto dal famoso romanzo di Jerzy Kosinski, The Painted Bird è una pellicola 35mm girata in bianco e nero, una meticolosa evocazione della selvaggia, primitiva Europa dell’Est alla fine della sanguinosa Seconda guerra mondiale. Il film ripercorre il viaggio del Ragazzo, affidato dai genitori perseguitati a un’anziana madre adottiva. Presto, però, l’anziana donna viene a mancare e il Ragazzo rimane solo a vagare per le campagne e a spostarsi tra villaggi e fattorie. Nella sua lotta per la sopravvivenza, il Ragazzo è esposto all’atroce brutalità messa in atto dai superstiziosi contadini locali e assiste alla violenza inaudita dei soldati russi e tedeschi, efficienti e spietati. Al termine della guerra, il Ragazzo è cambiato, per sempre.

COMMENTO DEL REGISTA

The Painted Bird non è un film di guerra e nemmeno un film sull’Olocausto. A mio vedere, è una storia senza tempo. La lotta tra le tenebre e la luce, tra il bene e il male e tra molti altri opposti. Questa storia ci obbliga a farci numerose domande scomode e a trovare da soli risposte spesso molto dolorose. Instilla dubbi profondi sullo scopo e sul destino della specie Homo sapiens, dubbi tanto dolorosi da farci aggrappare a qualsiasi spiraglio positivo. Solo nelle tenebre possiamo vedere la luce. Almeno questa è la mia lettura di The Painted Bird. Per me la speranza risplende attraverso tutti gli orrori possibili. Per ogni artista, trattare questi temi è una sfida: quasi una questione di vita o di morte.

COMMENTO PERSONALE

Il terzo lungometraggio di Václav Marhoul si ispira al romanzo omonimo di Jerzy Kosinski che non conosco ma che racconta la fuga di un ragazzo dagli orrori della guerra. Una fuga che si rivelerà inutile perché il Male è insito nell’uomo. I temi affrontati sono molti, dalla diversità alla superstizione, dalla stregoneria all’assenza di empatia e per dare voce al suo sentire il regista opta per il pugno nello stomaco. Il suo sguardo va sempre dove non vorremmo, ci accompagna nell’abisso, inanella truculenze e orrori non risparmiandoci nulla con una confezione extra lusso dalla fotografia meravigliosa e il sostegno di volti noti in piccole parti (Stellan Skarsgård, Harvey Keitel, Julian Sands, Udo Kier). L’effetto è straniante. C’è chi ha gridato alla pornografia, al vile ricatto. Può essere. Ma non è scontato costruire immagini, comporre inquadrature, con una tale magnificenza visiva. Si dirà che scuotere così è facile. Beh, allora fatelo voi. Non è lo stile che preferisco, ma liquidarlo in fretta mi pare ingiusto.

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ABOUT ENDLESSNESS

Regia: Roy Andersson
Produzione: Roy Andersson Film Produktion (Pernilla Sandström, Johan Carlsson), Essential Films (Philippe Bober), 4 1⁄2 Fiksjon (Håkon Øverås)
Durata: 76’
Lingua: svedese
Paesi: Svezia, Germania, Norvegia
Interpreti: Jan-Eje Ferling, Martin Serner, Bengt Bergius, Tatiana Delaunay, Anders Hellström, Thore Flygel

SINOSSI

Una riflessione sulla vita umana in tutta la sua bellezza e crudeltà, splendore e banalità. Trasportati in un sogno, siamo guidati dalla gentile voce narrante di una Sherazad. Momenti irrilevanti assumono lo stesso significato degli eventi storici: una coppia fluttua su una Colonia devastata dalla guerra; mentre accompagna la figlia a una festa di compleanno, un padre si ferma per allacciarle le scarpe sotto una pioggia battente; ragazze adolescenti ballano all’esterno di un caffè; un esercito sconfitto marcia verso un campo di prigionia. Ode e lamento al tempo stesso, Om det oändliga è un caleidoscopio di tutto ciò che è eternamente umano, una storia infinita sulla vulnerabilità dell’esistenza.

COMMENTO DEL REGISTA

La cornucopia è il mitico corno di una capra, ed è ricolma di simboli di ricchezza e abbondanza. Di solito è rappresentata traboccante di prodotti e di frutta di ogni genere: un’abbondanza generosa che, secondo il mito, non diminuisce mai, perché vera e propria rappresentazione dell’inesauribilità infinita. È stato il mito greco a ispirarmi a unire tutte queste scene, tutti questi temi in uno stesso film. Io voglio sottolineare la bellezza di essere vivi e umani, ma per dimostrarlo ci vuole un contrasto, bisogna rivelare anche il lato peggiore. Questo film è sull’infinità dei segni dell’esistenza.

COMMENTO PERSONALE

Probabilmente è un errore, però il nuovo film di Roy Andersson viene da liquidarlo in fretta. Perché sembra fatto con gli scarti di UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL’ESISTENZA, esagerato Leone d’Oro di qualche anno fa (nell’anno di BIRDMAN, ho detto tutto) che però ha avuto il pregio di favovire la diffusione di un regista fino ad allora non così noto e anche poco prolifico al cinema. Lo stile è simile al film precedente: una riflessione sulla banalità della vita umana attraverso una successione di tableaux vivants, con una ricerca cromatica che ricorda i quadri di Hopper e una messa in scena tra l’onirico e il surreale. Belle, anche bellissime, certe immagini (una coppia sospesa in cielo che fluttua tra le nuvole), fa sorridere in alcuni momenti, ma è una derivazione meno organica del film precedente con poco da aggiungere.

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GUEST OF HONOUR

Regia: Atom Egoyan
Produzione: Ego Film Arts (Atom Egoyan, Marcy Gerstein), The Film Farm (Simone Urdl, Jennifer Weiss)
Durata: 104’
Lingua: inglese, armeno
Paesi: Canada
Interpreti: David Thewlis, Laysla De Oliveira, Luke Wilson, Rossif Sutherland

SINOSSI

Jim e la figlia Veronica, una giovane insegnante di musica al liceo, cercano di dipanare le loro complicate storie e il groviglio di segreti che le avviluppano. In seguito a uno scherzo finito male, la figlia di Jim viene ingiustamente condannata per abuso di autorità nei confronti del diciassettenne Clive. Veronica è tuttavia convinta di meritare una punizione, ma per reati commessi molto tempo prima. Confuso e frustrato di fronte all’intransigenza di Veronica, l’angoscia di Jim inizia a ripercuotersi sul suo lavoro come ispettore alimentare: ha un grande potere nei confronti dei piccoli ristoranti a gestione famigliare, e lo esercita senza remore.

COMMENTO DEL REGISTA

In che modo possiamo accedere alle parti cruciali di una storia personale quando le persone che custodiscono queste storie non sono più presenti? Ho sviluppato un’autentica ossessione per un padre e una figlia che agiscono stranamente per ragioni che nessuno dei due riesce a comprendere. Esistono svariate versioni del loro passato che si contendono l’attenzione. Usano argomenti diversi per segnalare cose di cui nessuno dei due riesce a parlare. In molti dei miei film la tecnologia riveste un ruolo fondamentale tra rituali dimenticati e promesse fuori luogo. Sono affascinato dalla complessità di come alla fine la verità si manifesta. Ci sono cose che un genitore può dire a un figlio e storie che sono nascoste fino a quando è troppo tardi.

COMMENTO PERSONALE

Continuo ad apprezzare Atom Egoyan per le storie che sceglie di raccontare, per l’impasto di vita e memoria dei racconti che sceglie di dirigere. Accade anche con questo nuovo film, non memorabile, soprattutto perchè perde vigore nella parte finale, ma comunque in grado di regalare riflessionii non banali sulla vita e le sue svolte, spesso inattese. Famiglie disfunzionali, vendetta, sensi di colpa, tecnologia, sono tutti elementi che caratterizzano lo sguardo del regista armeno e che non mancano nel film che si caratterizza come una sorta di thriller degli affetti. Andamento piacevole, sceneggiatura abbastanza equilibrata nel disseminare il racconto di indizi e rivelazioni, un finale un po’ irrisolto. L’aspetto che più intriga è l’assenza di grandi eventi e la soggettività della percezione che rende difficile ricostruire verità parziali e spesso mai uscite dalla propria testa. Temo sarà un film di cui ci dimenticheremo presto, ma lo prenoto già come ”da rivalutare”.

E JULIE ANDREWS? Ce l’ho fatta. Sono arrivato in fila con un’ora e mezza abbondante di anticipo ed ero tra i primi, pubblico escluso che ovviamente aveva la priorità in quanto pagante. La hostess ha distribuito un bigliettino con un numero che garantiva ai primi 100 l’accesso in sala, quindi almeno si aveva la presumibile (nulla è mai certo qui) garanzia di aspettare per un motivo. E così è stato. Nella sala conferenze stampa, gremitissima, Julie Andrews ha mostrato tutta la sua luce e si è raccontata spaziando dal passato al presente. È bello sapere che una persona anziana, che dalla vita ha avuto probabilmente molto più di quello che si aspettava, comunque più di quasi tutti i comuni mortali, ha ancora sogni nel cassetto e aspirazioni e passare un paio d’ore insieme è stato rigenerante.

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Mercoledì 4 settembre 2019

Continua il progressivo calo di presenze a conferma che come al solito sono le prime giornate a definire il successo di un festival. C’è sempre fermento ma meno dei giorni precedenti, come è fisiologico in tutte le manifestazioni così lunghe in cui pochi hanno il privilegio di poter permettersi uno stacco di 10 giorni. Oggi ci attendono l’opera prima BABYTEEH dagli antipodi (Australia) e un film cinese con Gong Li. Questa sera, poi, proverò a vedere il documentario su Chara Ferragni UNPOSTED per cui è previsto il tutto esaurito.

BABYTEETH

Regia: Shannon Murphy
Produzione: Whitefalk Films (Alex White)
Durata: 120’
Lingua: Inglese
Paesi: Australia
Interpreti: Eliza Scanlen, Toby Wallace, Emily Barclay, Eugene Gilfedder, Essie Davis, Ben Mendelsohn

SINOSSI

Quando Milla Finlay, adolescente gravemente malata, si innamora del piccolo spacciatore Moses, si avvera il peggior incubo dei suoi genitori. Ma poiché il primo incontro di Milla con l’amore fa nascere in lei una nuova gioia di vivere, le cose si fanno confuse e la morale tradizionale va a farsi friggere. Milla mostra a tutti coloro che gravitano nella sua orbita – i suoi genitori, Moses, un sensibile insegnante di musica, un piccolo violinista in erba e una vicina incinta dotata di un’onestà disarmante – come vivere quando non si ha niente da perdere. Quello che avrebbe potuto essere un disastro per la famiglia Finlay, la spinge invece a lasciarsi andare e a trovare la grazia nel meraviglioso caos della vita. Babyteeth racconta gioiosamente quanto sia bello non essere morti e quanto lontano si possa andare per amore.

COMMENTO DELla REGISTA

Desideravo trovare un linguaggio cinematografico in grado di rispecchiare il particolare tono di irriverenza e sentimentalismo del brillante copione di Rita Kalnejais. Sono stata ispirata dalla sfida di armonizzare questa dualità di umorismo e dolore in ogni fotogramma del film. Non ci potevano essere mezze misure nel mio approccio per rappresentare in modo autentico la protagonista, che a quindici anni si trova sul punto di sentirsi più viva che mai, ma allo stesso tempo deve fare bruscamente i conti con la sua mortalità. Il linguaggio del film presenta dei momenti di rottura resi stilisticamente attraverso testi, musica e l’abbattimento della quarta parete: questo ci consente di muoverci al passo veloce di Milla. L’adolescente si innamora di Moses: lo vede come vede un’opportunità per spingersi oltre i limiti in modo estremo. Mano a mano che ci addentriamo nelle vite dei genitori della ragazza, scopriamo le disfunzioni e le complicate tensioni che li caratterizzano mentre affrontano il loro incubo peggiore. Entrambi vengono così spogliati fino a mettere in luce la loro natura più cruda. Spero che gli spettatori abbiano un’esperienza viscerale, profonda, nel guardare Babyteeth, che li spinga a desiderare e celebrare le loro relazioni.

COMMENTO PERSONALE

Uno di quei film che potrebbe colpire per il modo sincero con cui cerca di ritrarre il fermento giovanile all’interno di una famiglia, disfunzionale come tante, dove provare a essere se stessi comporta una ribellione all’ordine costituito. Per la giovane problematica protagonista tale ribellione prende la forma di un amore fuori dalle convenzioni con il ragazzo sbagliato agli occhi del mondo esterno. Il problema, tutto mio probabilmente, è che per dare voce a un sentire sincero e interessante si decide di far muovere i personaggi all’interno e fuori da stereotipi e cliché ormai insopportabili. Per cui lei è gravemente malata e lui tossicodipendente. Non sono né la malattia né la droga il fulcro del racconto, però che barba.

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SATURDAY FICTION

Regia: Ye Lou
Produzione: Yingfilms (Ma Yingli), Qianyi Times, Lou Ye, Bai An Films, Tianyi Movie & Tv
Durata: 126’
Lingua: mandarino, inglese, giapponese, francese, tedesco
Paesi: Cina
Interpreti: Gong Li, Mark Chao, Joe Odagiri, Pascal Greggory, Tom Wlaschiha, Huang Xiangli

SINOSSI

1941: sin dall’occupazione giapponese, la Cina è terreno di una guerra di intelligence tra gli Alleati e le potenze dell’Asse. La celebre attrice Jean Yu ritorna a Shanghai, apparentemente per recitare in Saturday Fiction, diretta dal suo ex amante. Ma qual è il suo vero scopo? Liberare l’ex marito? Carpire informazioni segrete per le forze alleate? Lavorare per il padre adottivo? O fuggire dalla guerra con il suo amato? Nel momento in cui intraprende la sua missione e diventa sempre più difficile distinguere gli amici dagli agenti sotto copertura, mentre tutto sembra sfuggire al controllo, Jean Yu inizia a chiedersi se rivelare ciò che ha scoperto sull’imminente attacco di Pearl Harbor.

COMMENTO DEL REGISTA

Quando ero bambino, seguivo i miei genitori che lavoravano dietro le quinte del Teatro Lyceum di Shanghai. Lì ho trascorso molti momenti interessanti; mi mescolavo agli attori in costume e li osservavo recitare nei ruoli più disparati, mettere in scena l’amore e l’odio, le separazioni, la vita e la morte. Poi li vedevo uscire di scena e chiacchierare nei camerini. Li seguivo anche in quei momenti, quando lasciavano il teatro per ritornare alla vita reale, monotona e scialba. Fu un’esperienza fantastica vivere il passaggio continuo tra finzione e realtà. Molti anni più tardi, la lettura di La donna vestita di rugiada di Hong Ying (un romanzo sul periodo di ‘isola solitaria’ di Shanghai) suscitò in me le stesse sensazioni.

La prima settimana del dicembre 1941 cambiò la storia del mondo, sebbene le persone allora non lo sapessero. Inconsapevoli del loro futuro, vivevano la propria vita come sempre, calate nella routine quotidiana e inseguendo i propri obiettivi. Durante quel periodo, dentro e fuori dal teatro, sul palcoscenico e lontano dal palcoscenico, le persone si stavano lentamente avvicinando all’ignoto ‘sabato’ che avrebbe segnato il loro destino.

Questo film parla del destino di diverse persone negli anni di una complessa crisi mondiale. È anche un dialogo con la cosiddetta Scuola del ‘sabato’, un’importante corrente nella storia della letteratura contemporanea cinese.

COMMENTO PERSONALE

Confessioni pericolose: più che un film un labirinto. Mi sono perso all’interno di un racconto di cui ho smarrito presto le coordinate; del resto non è detto che lo spettatore debba essere informato dei fatti reali prima di vedere un film. Anche perché si tratta di premesse piuttosto complesse: siamo nel 1941, nel periodo in cui la Cina ha visto svilupparsi una intensa attività di intelligence tra Alleati e potenze dell’Asse sin dall’occupazione giapponese, un capitolo di Storia non così noto a noi occidentali. Un po’ melodramma, un po’ storia di spie, il film prova a introdurci nel complesso intrigo attraverso un bianco e nero che si vorrebbe evocativo ma che in realtà risulta abbastanza opprimente. Se si ha pazienza la seconda parte è più dinamica. Il più è arrivarci. Gong Li è sempre Gong Li.

Conclusione della giornata con il documentario UNPOSTED su Chiara Ferragni. Un pubblico di ragazzine urlanti la insegue per tutta la giornata. Per trovare posto evito la prima delle due proiezioni previste e mi metto in fila per la replica. Ovviamente la cricca benpensante del festival è molto critica sull’evento che invece secondo me ci sta, anche in un contesto festivaliero. Non solo perché sdrammatizza, ma anche perché non dimentica la contemporaneità di cui la Ferragni e il suo folto seguito fanno parte. Per la gioia dei fan la Ferragni presenta anche la replica. La folla, soprattutto ragazzine armate di cellulare, è in completo delirio Quanto al documentario, beh, è esattamente ciò che mi aspettavo. Un ulteriore tassello della promozione della sua immagine. Nessun momento di vera verità, nessun retroscena mai visto, nessun fotogramma che non sia calcolato al millesimo per suscitare consensi. Insomma, quello che per chi la segue su Instagram è pane quotidiano: la recita della vita davanti all’obiettivo. Anche perché, appunto, non si tratta di scatti rubati, ma di un progetto fortemente voluto dalla stessa Ferragni di cui la regista Elisa Amoruso si fa semplice strumento. Nulla per cui indignarsi, quindi, ma nemmeno esaltarsi. Un prodotto adatto ai suoi fan e all’ottenimento di nuovi follower.

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Giovedì 5 settembre 2019

Comincia la mia ultima giornata di festival. Quest’anno non starò fino alla fine, ma tranquilli, continuerò a tenervi informati e commenterò alla fine i premi attribuiti. Giornate, queste ultime, abbastanza tranquille. Un po’ di fermento giusto per la presenza domani di Johnny Depp, la cui stella è un po’ in declino rispetto a un tempo ma ancora in grado di attirare le folle.

Oggi è tempo di un habituée come Robert Guédiguian e del portoghese fiume THE DOMAIN.

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THE DOMAIN

Regia: Tiago Guedes
Produzione: Leopardo Filmes (Paulo Branco), Alfama Films Production, CB Partners, Ana Pinhão Moura Produções
Durata: 164’
Lingua: portoghese
Paesi: Portogallo, Francia
Interpreti: Albano Jerónimo, Sandra Faleiro, Miguel Borges, Ana Vilela da Costa, João Vicente, João Pedro Mamede

SINOSSI

Il film racconta la storia di una famiglia portoghese che possiede una delle più grandi proprietà fondiarie d’Europa sulla riva meridionale del fiume Tago. A herdade scava nei segreti della loro proprietà, rappresentando le vicende storiche, politiche, economiche e sociali del Portogallo a partire dagli anni Quaranta, passando per la Rivoluzione dei garofani fino ad arrivare ai nostri giorni.

COMMENTO DEL REGISTA

La ‘herdadè, che ha origine dal latino ‘hereditas’, è in questo film un regno dominato da un uomo carismatico e progressista, in un Paese sottoposto a una dittatura fascista. Il luogo funge da metafora di tutto ciò che accade al nostro straordinario protagonista. Sia la proprietà che l’uomo, entrambi inizialmente grandiosi, con il passare del tempo sono inevitabilmente destinati a scontrarsi con i venti del cambiamento, a rivelare le imperfezioni, le zone grigie, e a crollare. Lungo tutto il corso della vita, le scelte che facciamo ci definiscono, ma portiamo con noi qualcosa che non riusciamo a percepire né a controllare. Qualcosa che è nato con noi, che abbiamo ereditato. Questo film ci racconta delle inevitabili connessioni che ci definiscono e ci condizionano.

COMMENTO PERSONALE

Un film che racconta una saga familiare, se ben fatto come in questo caso, è sempre un dono prezioso perché consente di vivere le vite degli altri e di riflesso le nostre. Ti siedi e cominci che i protagonisti sono giovani, mentre dopo tre ore la vita li ha travolti con tutti i suoi alti e bassi e loro sono più vecchi e pieni di esperienza e tu un po’ più leggero perché ti sei confrontato nel profondo, dando voce a corde irrazionali. Tutto ciò per dire che l’abbandono alla saga fiume portoghese mi ha convinto portandomi altrove, tra l’altro in un contesto socio politico che non conoscevo, quindi particolarmente interessante. Il regista è Tiago Guedes, frequentatore abituale di San Sebastián e Torino, alla sua quarta regia. Siamo dalle parti di storie e Storia e la durata generosa gli imprime l’ampio respiro necessario all’impresa, titanica ma efficace.

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GLORIA MUNDI

Regia: Robert Guédiguian
Produzione: Ex Nihilo (Marc Bordure, Robert Guédiguian), AGAT Films (Marc Bordure, Robert Guédiguian), France 3 Cinéma, Bibi Film TV (Angelo Barbagallo)
Durata: 107’
Lingua: francese
Paesi: Francia, Italia
Interpreti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin, Lola Naymark

SINOSSI

A Marsiglia una famiglia si riunisce per la nascita della piccola Gloria. Nonostante la gioia, per i giovani genitori sono tempi duri. Mentre lottano per uscire dalla difficile situazione, si ricongiungono con il nonno di Gloria, un ex carcerato.

COMMENTO DEL REGISTA

Parafrasando Marx: ovunque regni, il neocapitalismo ha schiacciato relazioni fraterne, amichevoli e solidali, e non ha lasciato altro legame tra le persone, se non il freddo interesse e il denaro, annegando tutti i nostri sogni nelle gelide acque del calcolo egoistico. Ecco cosa vuole dimostrare questo crudele racconto sociale attraverso la storia di una famiglia ricostituita, fragile come un castello di carte. Ho sempre pensato che il cinema dovrebbe commuoverci, a volte donandoci un esempio del mondo come potrebbe essere, altre volte mostrandoci il mondo così com’è. In breve, abbiamo bisogno sia di commedie sia di tragedie per continuare a mettere in discussione il nostro stile di vita. E dobbiamo continuare a interrogarci più che mai in questi tempi difficili, per non soccombere all’illusione che ci sia qualcosa di naturale nelle società in cui viviamo.

COMMENTO personale

Il regista francese Robert Guédiguian continua a farsi portatore dei valori e delle problematiche del proletariato marsigliese. Non manca la moglie Ariane Ascaride, tassello del quadro perché l’opera è corale. A muovere il regista è sempre quella volontà politica di dare voce a chi generalmente fatica ad averla, soprattutto al cinema che predilige ambienti sofisticati e alto boghesi da cui la maggior parte dei cineasti proviene. Fedele alla sua poetica il regista si sofferma su un nucleo familiare e sulle sue disfunzionalità, indagando un quotidiano dove i soldi sono un problema e finiscono per inquinare anche i rapporti sociali. Il film non è di quelli che lasceranno il segno nella Storia del Cinema, ma resta uno sguardo problematico sulla contemporaneità che, se non necessario (aggettivo quanto mai abusato), è comunque sempre più raro. A colpire particolarmente sono l’assenza di buoni e cattivi e la presenza di personaggi umani e fallibili, pieni di vita e contraddizioni.

Ed ora è tempo di andare. Bye bye Venezia. Ma il reportage continua.

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Venerdì 6 settembre 2019

Non sono presente fisicamente ma ecco i due film in concorso nella giornata odierna, l’ultima prima del palmares.

LA MAFIA NON È PIU’ QUELLA DI UNA VOLTA

Regia: Franco Maresco
Produzione: ILA PALMA (Rean Mazzone, Anna Vinci), Dream Film (Daniele Moretti, Paolo Quaregna), Tramp Limited (Nicola Picone, Attilio De Razza)
Durata: 107’
Lingua: italiano, dialetto siciliano
Paesi: Italia
Interpreti: Letizia Battaglia, Ciccio Mira

SINOSSI

Nel 2017, a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, Franco Maresco decide di realizzare un nuovo film. Per farlo, trova impulso in un suo recente lavoro dedicato a Letizia Battaglia, fotografa ottantenne che con i suoi scatti ha raccontato le guerre di mafia, definita dal New York Times una delle “undici donne che hanno segnato il nostro tempo”. Il regista sente il bisogno di affiancare a Letizia una figura proveniente dall’altra parte della barricata: Ciccio Mira, ‘mitico’ organizzatore di feste di piazza, già protagonista nel 2014 di Belluscone. Una storia siciliana.

Nei pochi anni che separano i due film, Mira sembra cambiato. Forse cerca un riscatto, come uomo e come manager, al punto da organizzare un singolare evento allo Zen di Palermo: i neomelodici per Falcone e Borsellino. Eppure le sue parole tradiscono ancora una certa nostalgia per “la mafia di una volta”. Intanto, assistendo alle celebrazioni dei martiri dell’antimafia, il disincanto di Maresco si confronta con la passione di Battaglia.

COMMENTO DEL REGISTA

Questo film è l’inevitabile seguito di Belluscone. Una storia siciliana, presentato a Venezia nel 2014. Devo ammettere che non è stato per niente facile, cinque anni dopo, tornare a raccontare una storia con dentro, ancora una volta, i cantanti neomelodici e la mafia. La mia sensazione, però, è di essermi spinto oltre rispetto al film precedente. In un territorio in cui la distinzione tra bene e male, tra mafia e antimafia, si è azzerata e tutto, ormai, è precipitato in uno spettacolo senza fine e senza alcun senso.

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WAITING FOR THE BARBARIANS

Regia: Ciro Guerra
Produzione: Iervolino Entertainment (Michael Fitzgerald, Olga Segura, Monika Bacardi, Andrea Iervolino)
Durata: 112’
Lingua: inglese, mongolo
Paesi: Italia
Interpreti: Mark Rylance, Johnny Depp, Robert Pattinson, Gana Bayarsaikhan, Greta Scacchi

SINOSSI

Un magistrato, amministratore di un isolato avamposto di frontiera al confine di un impero senza nome, aspetta con impazienza la tranquillità della pensione, fino all’arrivo del colonnello Joll. Incaricato di riferire sulle attività dei barbari e sulla sicurezza al confine, Joll conduce una serie di spietati interrogatori. Il trattamento dei barbari per mano del colonnello e la tortura di una giovane donna barbara spingono il magistrato a una crisi di coscienza che lo porterà a compiere un atto di ribellione donchisciottesco.

COMMENTO DEL REGISTA

Quando abbiamo incominciato a lavorare all’adattamento del romanzo di J. M. Coetzee, pensavo che la vicenda fosse ambientata in un mondo e in un’epoca lontani. Tuttavia, mentre le riprese del film procedevano, la distanza nel tempo e nello spazio si è ridotta sempre più. Ora che abbiamo concluso, la trama si è trasformata in una storia sulla contemporaneità.

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Sabato 7 settembre 2019

A questo punto chi vincerà? Difficile fare previsioni, come sempre sono poche persone, con gusti non per forza allineati a quelli della maggioranza. a valutare le opere. In base all’accoglienza ricevuta e alle tante discussioni di confronto, ecco i titoli papabili per il palmares:

MARRIAGE STORY (perché la sceneggiatura vincerà l’Oscar)

EMA (perché è il tipico film, balengo d’autore, che può emergere in un contesto festivaliero)

THE PAINTED BIRD (perché è divisivo e come tale adatto)

L’UFFICIALE E LA SPIA (perché ha i maggiori voti della critica, non premiarlo dopo le dichiarazioni della Martel sarebbe un autogol, ma lo sarebbe anche premiarlo, insomma, un bel pasticcio!)

MARTIN EDEN (perché è un film che non stonerebbe affatto e Virzì in giuria è sicuramente un osso duro)

JOKER (perché anche se potrebbe essere snobbato, visto che la sua strada è appena partita e non ha bisogno del festival per farsi notare, sarebbe ingiusto escluderlo da tutto)

Ma qualcosa mi dice che le scelte della giuria potrebbero spiazzarci.

A breve lo scopriremo.

Ma prima di scoprire il palmares vediamo come sono composte le Giurie.

VENEZIA 76

La Giuria Venezia 76 assegnerà ai lungometraggi in Concorso i seguenti premi ufficiali: Leone d’Oro per il miglior film, Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria, Leone d’Argento – Premio per la migliore regia, Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, Premio per la migliore sceneggiatura, Premio Speciale della Giuria, Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente. La Giuria internazionale del Concorso di Venezia 76 è composta da:

· Lucrecia Martel – Presidente (Argentina), regista

· Piers Handling (Canada), storico e critico

· Mary Harron (Canada), regista

· Stacy Martin (UK), attrice

· Rodrigo Prieto (Messico), direttore della fotografia

· Tsukamoto Shinya (Giappone), regista

· Paolo Virzì (Italia), regista

ORIZZONTI

La Giuria Orizzonti assegnerà – senza possibilità di ex-aequo – i seguenti premi: Premio Orizzonti per il miglior film, Premio Orizzonti per la migliore regia, Premio Speciale della Giuria Orizzonti, Premio Orizzonti per la miglior interpretazione maschile, Premio Orizzonti per la migliore interpretazione femminile, Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura, Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio. La Giuria internazionale della sezione Orizzonti è composta da:

· Susanna Nicchiarelli – Presidente (Italia), regista

· Mark Adams (UK), direttore artistico

· Rachid Bouchareb (Francia), regista

· Álvaro Brechner (Uruguay), regista

· Eva Sangiorgi (Italia), direttore artistico

PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS”

Tutte le opere prime di lungometraggio presenti nelle diverse sezioni competitive della Mostra (Selezione Ufficiale e Sezioni Autonome e Parallele) concorrono all’assegnazione del Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”. La Giuria Internazionale assegnerà senza possibilità di ex-aequo un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che saranno suddivisi in parti uguali tra il regista e il produttore. La Giuria internazionale del Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”- Leone del Futuro, è composta da:

· Emir Kusturica – Presidente (Serbia), regista

· Antonietta De Lillo (Italia), regista

· Hend Sabry (Tunisia), attrice

· Michael J. Werner (Hong Kong SAR, USA), produttore

· Terence Nance (USA), regista

VENICE VIRTUAL REALITY

La Giuria Venice Virtual Reality assegnerà – esclusa la possibilità di ex aequo – i seguenti premi: Gran Premio della Giuria per la migliore opera VR immersiva, Migliore esperienza VR immersiva per contenuto interattivo, Migliore storia VR immersiva per contenuto lineare. La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality è composta da:

· Laurie Anderson – Presidente (USA), compositrice, artista, regista

· Francesco Carrozzini (Italia), fotografo

· Alysha Naples (Italia), designer

VENEZIA CLASSICI

La Giuria di Venezia Classici, composta da 22 studenti – indicati dai docenti – dei corsi di cinema delle università italiane, dei DAMS e della veneziana Ca’ Foscari, assegnerà senza possibilità di ex aequo, il Premio Venezia Classici per il Miglior film restaurato. La Giuria potrà altresì premiare il Miglior documentario sul cinema presentato all’interno della Sezione. La Giuria è presieduta da:

· Costanza Quatriglio (Italia), regista

Ed ora i premi:

Venezia 76

LEONE D’ORO per il miglior film a:
JOKER
di Todd Phillips (USA)

LEONE D’ARGENTO – GRAN PREMIO DELLA GIURIA a:
J’ACCUSE
di Roman Polanski (Francia, Italia)

LEONE D’ARGENTO – PREMIO PER LA MIGLIORE REGIA a:
Roy Andersson
per il film
OM DET OÄNDLIGA (ABOUT ENDLESSNESS) (Svezia, Germania, Norvegia)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione femminile a:
Ariane Ascaride
nel film
GLORIA MUNDI di Robert Guédiguian (Francia, Italia)

COPPA VOLPI
per la migliore interpretazione maschile a:
Luca Marinelli
nel film
MARTIN EDEN di Pietro Marcello (Italia, Francia)

PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA a:
Yonfan
per il film
JI yuan tai qi hao (no.7 cherry lane) di Yonfan (Hong Kong SAR, Cina)

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA a:
LA MAFIA NON È PIÙ QUELLA DI UNA VOLTA
di Franco Maresco (Italia)

PREMIO MARCELLO MASTROIANNI
a un giovane attore o attrice emergente a:
Toby Wallace
nel film
BABYTEETH di Shannon Murphy (Australia)

Orizzonti

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR FILM a:
ATLANTIS
di Valentyn Vasyanovych (Ucraina)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE REGIA a:
Théo Court
per il film
BLANCO EN BLANCO (Spagna, Cile, Francia, Germania)

il PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA ORIZZONTI a:
VERDICT
di Raymund Ribay Gutierrez (Filippine)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE a:
Marta Nieto
nel film
Madre di Rodrigo Sorogoyen (Spagna, Francia)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE a:
Sami Bouajila
nel film
BIK ENEICH – UN FILS di Mehdi M. Barsaoui (Tunisia, Francia, Libano, Qatar)

il PREMIO ORIZZONTI PER LA MIGLIOR SCENEGGIATURA a:
Jessica Palud, Philippe Lioret, Diastème
per il film
REVENIR di Jessica Palud (Francia)

il PREMIO ORIZZONTI PER IL MIGLIOR CORTOMETRAGGIO a:
DARLING
di Saim Sadiq (Pakistan, USA)

il VENICE SHORT FILM NOMINATION FOR THE EUROPEAN FILM AWARDS 2019 a:
CÃES QUE LADRAM AOS PÁSSAROS (DOGS BARKING AT BIRDS)
di Leonor Teles (Portogallo)

Venezia Classici

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR DOCUMENTARIO SUL CINEMA a:
BABENCO – ALGUÉM TEM QUE OUVIR O CORAÇÃO E DIZER: PAROU (BABENCO – TELL ME WHEN I DIE)
di Bárbara Paz (Brasile)

il PREMIO VENEZIA CLASSICI PER IL MIGLIOR FILM RESTAURATO a:
EXTASE (ECTASY)
di Gustav Machatý (Cecoslovacchia, 1932)

Premio Venezia Opera Prima

LEONE DEL FUTURO
PREMIO VENEZIA OPERA PRIMA “LUIGI DE LAURENTIIS” a:
YOU WILL DIE AT 20
di Amjad Abu Alala (Sudan, Francia, Egitto, Germania, Norvegia, Qatar)
GIORNATE DEGLI AUTORI

nonché un premio di 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore.

Venice Virtual Reality

il GRAN PREMIO DELLA GIURIA PER LA MIGLIORE OPERA VR IMMERSIVA a:
THE KEY
di Céline Tricart (USA)

il PREMIO MIGLIORE ESPERIENZA VR IMMERSIVA PER CONTENUTO INTERATTIVO a:
A LINHA
di Ricardo Laganaro (Brasile)

il PREMIO MIGLIORE STORIA VR IMMERSIVA PER CONTENUTO LINEARE a:
DAUGHTERS OF CHIBOK
di Joel Kachi Benson (Nigeria)

COMMENTO

Leone d’Oro meritatissimo che darà molto discutere perché JOKER è il film di una major e probabilmente non ha bisogno del festival per incassare milioni di dollari al botteghino, ma sarebbe stato ingiusto non riconoscergli il valore che ha e il forte impatto che avrà sul pubblico. Altrimenti non avrebbe senso invitare film americani per poi non premiarli mai. Anche se forse gli avrei attribuito la Coppa Volpi per l’interpretazione maschile perché Joaquin Phoenix è bravissimo. Quanto a Polanski, fa piacere che la presidentessa Lucrecia Martel sia stata di parola nell’imparzialità promessa, anche se L’UFFICIALE E LA SPIA non è il capolavoro che leggerete sui giornali. Deciso no, invece, per la regia di Roy Andersson e non perché non sia bravo, ma perché il nuovo film non aggiunge davvero nulla al precedente, già Leone d’Oro al Festival di qualche anno fa. Quanto agli interpreti, molto contento per Luca Marinelli, anima inquieta di MARTIN EDEN e anche per Arianne Ascaride, anche se non è proprio la protagonista perché OMNIA MUNDI è più un’opera corale. La sceneggiatura di NO.7 CHERRY LANE non è il punto di forza del film, ma fa piacere un riconoscimento a un’opera che si distingue di sicuro per originalità e ardire. Non ho particolarmente amato BABYTEETH ma il premio Mastroianni al giovane protagonista non stona. Il film di Franco Maresco, invece, non l’ho visto.

Senza parlare di film, ecco i 10 SI (in ordine sparso) del festival:

  • lo charme, la gentilezza, il carisma, la voce e l’inglese di Julie Andrews

  • le tante chiacchiere durante le file per accedere alle proiezioni

  • la professionalità e figaggine della ex coppia Bellucci/ Cassell (a Venezia per il montaggio lineare di Irreversile)

  • l’entusiasmo degli accrediti CINEMA (però docciati!)

  • la disponibilità di Brad Pitt ad accontentare i fan firmando autografi e regalando sorrisi a tutti

  • il meteo: sì, i primi giorni è stato caldissimo ma il tanto atteso tifone del lunedì non è arrivato

  • il rosso, colore dei festival e presente in ogni look in passerella degno di nota

  • i fondi di carciofo del bar Trento

  • i controlli di accesso all’area festival, nell’immediato una seccatura, ma necessari per garantire la sicurezza della manifestazione e condotti con professionalità e cortesia

  • il bagno non previsto nelle acque adriatiche dell’ultimo giorno (grazie a Francesco e Fabiano)

Senza parlare di film, ecco i 10 NO (in ordine sparso) del festival:

  • la delegazione di A MARRIAGE STORY (Baumbach/Johansson/Driver), gioiosi come a una riunione di lavoro sugli sconfini di conti correnti

  • la concentrazione di troppi film attesi nei primissimi giorni con alcune giornate centrali eccessivamente sguarnite

  • l’incapacità della presidentessa di giuria Lucrecia Martel di distinguere l‘uomo dall’artista (in relazione a Roman Polanski)

  • chi si lamenta non rendendosi conto di essere privilegiato

  • i selfie con spritz

  • i detrattori a prescindere di Chiara Ferragni

  • gli esaltati a prescindere per James Gray

  • la pulizia dei bagni lasciata esclusivamente a persone nere

  • l’aria condizionata tipo freezer di certe sale

  • ciò che trapela del festival al di fuori della bolla festivaliera: red carpet, scollature e personaggi tv

10 cose, anzi 11, sui film di Venezia:

  • AD ASTRA è un’occasione mancata

  • LA VÉRITÉ, il film di apertura, diverte e fa riflettere con moderazione ma non lascia traccia

  • MARRIAGE STORY ha una sceneggiatura perfetta

  • L’UFFICIALE E LA SPIA è un buon film ma non è un capolavoro

  • EMA è il tentativo di leggerezza di un regista greve, quando Almodovar finisce in ghiacciaia

  • JOKER è potente

  • THE LAUNDROMAT appartiene al genere “ti spiego la finanza facendoti fare due risate ma alla fine non ci capirai nulla come sempre”

  • MARTIN EDEN ha una prima parte molto intensa, nella seconda funziona meno

  • Il film di Egoyan (il titolo GUEST OF HONOUR continuo ad attribuirlo a un altro film), pur non essendo completamente riuscito, non è nemmeno da buttare come si legge

  • BABYTEETH non è davvero niente di che

  • THE PAINTED BIRD è visivamente meraviglioso ma pure molto ricattatorio. Che fare? Applaudire o scappare?

  • Venezia 76. Miglior commento sentito in fila: ”Comunque non capisco perché la Ferragni ha 14 milioni di followers e io che faccio foto molto carine solo 678!”

Direi che anche per quest’anno è andata. L’esperienza festivaliera si conclude e mentre sui social si digitano commenti, ovviamente divisivi, sul verdetto della giuria, i quotidiani nazionali si soffermano soprattutto sul costume (dettagli che un accreditato spesso non coglie del tutto) e la routine si appropinqua di nuovo rivestendo con tratti onirici l’esperienza vissuta.

Dalle pagine di Centraldocinema è tutto. Non dimenticate di andare a vedere i film che più vi incuriosiscono e lasciatevi attirare anche da qualche titolo che vi incuriosisce meno. Buon anno e buone visioni.

Luca Baroncini

Voti dalla redazione di Centraldocinema

Joker 9
Irreversibile 8,5
The new Pope 8
Gloomy eyes VR 8
To the moon VR 8
Bonfire VR 7,5
Wolves in the walls VR 7,5
Eleven Eleven VR 7,5
Ema 7,5
Marriage story 7,5
The Painted bird 7,5
Le Cri VR 7
The Laundromat 7
J’accuse 7
Ad astra 7
Whisperes VR 6,5
no 7 cherry lane 6,5
Pelikanblut 6,5
La verite 6,5
Seberg 6,5
About endlessness 6
The perfect candidate 6
Il sindaco del rione sanità 6
Lessons of love 6
Passenger 6
Battle Hymnn 6
Wasp Network 5,5
The king 5,5
Martin Eden 5,5