Nel 2000 la “Triste Mietitrice” sembrava aver compiuto il suo ineluttabile compito, ma il successo del primo episodio ha vivamente consigliato un remunerativo colpo di coda, nonostante all’originale spunto (nessun maniaco, serial-killer, creatura mascherata, mostro dentato, trauma da rimuovere o virus, ma solo la Morte all’opera) ci fosse ben poco da aggiungere. Ecco quindi Jeffrey Reddick ancora al lavoro, affiancato da due nuovi co-sceneggiatori (J.Mackey Gruber e Eric Bress) per un sequel che, almeno nella prima parte, pare piu’ un remake. Cambia infatti il mezzo (l’automobile al posto dell’aereo) ma non la sostanza, con ancora un gruppo di persone sopravvissute a un disastroso incidente e costrette a fronteggiare nientepopodimenoche la Morte, nuovamente ostacolata nel suo originario disegno di sterminio.
Se la lista dei passeggeri dell’aereo forniva nel primo episodio un circoscritto memorandum per il faccia a faccia con il tragico destino, lo stesso principio trova piu’ difficolta’ a concretizzarsi in questa seconda parte, dove gli scampati al crash automobilistico sono in teoria centinaia e a fare da filo conduttore e’ solo la preveggenza della protagonista, che ha visto l’ordine in cui si sarebbero dovuti succedere i decessi. Piu’ slabbrata, quindi, l’idea di partenza, con, in aggiunta, ulteriori visioni ad annacquare la plausibilita’ e confondere le idee (avvengono solo quando lo script non sa piu’ dove andare). I personaggi non escono dal “tipo” (la carrierista, la mamma, il fumato) e sono interpretati con moine da sit-com, mentre le sfumature psicologiche sono sostituite dalla meccanicita’ degli eventi che si susseguono a ritmo frenetico, prediligendo l’accumulo a scapito della logicita’. L’obiettivo primario sembra essere, sempre e comunque, il temibile “Dio Teen-ager”: come non annoiarlo dandogli una sensazione di inesauribilita’ dei pop-corn. Nonostante una certa gratuita’ (piu’ evidente rispetto al capostipite) ha pero’ modo di divertirsi anche la parte bambina dello spettatore piu’ scafato. Il “countdown”, infatti, funziona a dovere e, pur sapendo chi morira’, si resta il piu’ delle volte spiazzati dal come (“Scream 2” docet: in un sequel le uccisioni devono essere piu’ elaborate). Molti i depistaggi presenti nello script, assecondati da una regia funzionale al racconto e da un montaggio serrato ed efficace. Alta, rispetto all’anestetizzata media soprattutto americana, la dose di splatter, con sangue in abbondanza e amputazioni varie goliardicamente esibite. L’ironia beffarda del primo episodio si trasforma (nel passaggio di regia da James Wong all’ex stuntman David R. Ellis) in comicita’. Ne risente un po’ la tensione, ma non il divertimento: l’immedesimazione scatta con i possibili segnali di avvertimento piuttosto che con gli scipiti personaggi e il gioco funziona. Dura il soffio della visione e non lascia alcun sotterraneo retrogusto, ma nell’immediato sortisce il non disprezzabile effetto di intrattenere.
Luca Baroncini