Garfield è uno dei più celebri personaggi del mondo dei comics, non ha nulla a che vedere coi super-eroi della Marvel, e non possiede nemmeno la magia dei personaggi Disney, eppure conquistò subito la sua grande fetta di pubblico. Nato dalla matita di Jim Davis, il fumetto diviene poi cartone animato, che riesce addirittura a superare il grande successo che stava già avendo il comics. Era quindi logico pensare che prima o poi (e soprattutto di questi tempi), che la moda delle trasposizioni cinematografiche avrebbe portato sul grande schermo un film in pelle ed ossa su questo personaggio, che è sicuramente uno dei più commerciabili di tutti i tempi. Innanzitutto si creano inevitabilmente delle aspettative, non solo da parte dei fans, ma anche da quelli che solamente hanno potuto godere questo personaggio alla lontana. Il personaggio in questione non ha stregato solo il pubblico dei più piccoli, ma anche gli adulti, ma di questo, ahimè, il regista Peter Hewitt non sembra aver tenuto conto. Presentato in anteprima al Giffoni Film Festival, questo adattamento di Garfield si dimostra una grande delusione, in tutti i sensi. Ciò che Hewitt dovrebbe imparare è che non bisognerebbe fare un film se si ha una sceneggiatura poverissima di idee interessanti. Egli punta tutto sul personaggio del gatto mattacchione, ce lo mostra in tutto il suo cinismo, sarcasmo e humour quasi noir per la cattiveria di sfondo, ma la storia è praticamente inesistente, messo su a tavolino come pretesto per poter girare una pellicola che sicuramente andranno a vedere molte famiglie, e non tolleriamo questo modo di fare cinema, questa furbezza che va tanto di moda nell’attuale industria statiunitense. Prima di fare una trasposizione, il regista deve innanzitutto amare il personaggio che trasporta, così come Raimi adorava Spiderman o Burton impazziva per Batman; Hewitt non sembrerebbe ne amare ne conoscere Garfield, così manca totalmente la cura per il personaggio che solo l’amore per esso può dare, presentandoci un Garfield vuoto, non solo carnalmente (è l’unico animale del film prodotto dalla computer grafica, e questo ci va anche bene), ma proprio emotivamente.
Il regista dimentica apposta i numerosi fan della serie e confeziona un prodotto destinato unicamente agli under10, un prodotto che non riesce mai a decollare per le situazioni che sono le tipiche gag per bambini che annoierà un qualsiasi adulto in quanto manca totalmente il senso di avventura e di excitement.
Lo humour cala a dismisura con l’andare del film, sceneggiatura piatta al limite che elimina ogni senso di dinamismo, fotografia tipicamente televisiva, insomma, il vero sollievo arriva solo dopo la scritta FINE. Ora il pericolo potrebbe essere il tanto indesiderato sequel.

Pierre Hombrebueno