Scheda film
Regia e Sceneggiatura: Wes Anderson
Soggetto: Wes Anderson e Hugo Guinness, ispirato ai lavori di Stefan Zweig
Fotografia: Robert D. Yeoman
Montaggio: Barney Pilling
Scenografie: Adam Stockhausen
Costumi: Milena Canonero
Musiche: Alexandre Desplat
Suono: Burak Topalakci
USA/Germania, 2014 – Commedia – Durata: 100′
Cast: Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel
Uscita: 10 aprile 2014
Distribuzione: 20th Century Fox
Una storia
Nell’Europa del 1920, Gustave H, un concierge che lavora in un leggendario Hotel di Praga, diventa amico di uno dei suoi collaboratori più giovani, Zero Moustafa, il quale crescerà fino a diventare il suo protetto. La storia coinvolge il furto e il recupero di un dipinto rinascimentale inestimabile e la battaglia per un enorme patrimonio di famiglia.
Se uno studioso di cinema dovesse scrivere un’opera monografica sul cinema di Wes Anderson la prima cosa che dovrebbe fare sarebbe vedere questo film, che riassume in sé stesso l’intera poetica che il regista texano ha sempre affrontato nei suoi lavori: un’attenzione maniacale per l’estetica delle proporzioni (la centratura perfetta dei personaggi all’interno delle inquadrature e il posizionamento degli oggetti); un uso dei colori atto a suscitare emozioni ben precise, come teorizzò Kandinsky (la passione di Anderson per la pittura e per la fotografia è innegabile) e dei personaggi che fanno del contegno, dell’umorismo british e spesso della timidezza una delle loro caratterizzazioni più forti. Troverete tutto questo in Grand Budapest Hotel, uno scrigno di un tipo cinema unico nel suo genere, che fa dell’originalità e della settima arte fine a se stessa il suo punto di forza maggiore.
E proprio di cinema fine a stesso si parla qui: Anderson infatti non cerca riferimenti esterni o richiami di educazione civile, rappresentativi del periodo in cui viviamo (tendenza che è ormai dilagante nel cinema di oggi), ma si distacca volutamente da tutto questo e cerca semplicemente di raccontare una bella storia di amicizia, inserendoci anche un po’ di nostalgia nel finale, lasciando sullo sfondo un rimpianto dei bei tempi passati, proprio perché forse fare solo del cinema e non anche della socio-politica è un lusso che oggi non ci si può più permettere.
Sulla scia di questo “qualunquismo buono”, se così vogliamo chiamarlo, si riesce a parlare anche di temi cupi come la morte, il tradimento e il rimpianto, in modo prettamente favolistico e fumettistico, riuscendo a delineare una vera e propria fiaba per adulti, tentando di far dimenticare per un paio d’ore i problemi del mondo esterno, senza per forza incorrere nel rischio di avvallare una tendenza alla superficialità che molte commedie oggi giorno purtroppo portano con sé.
Un ultimo punto, che è forse quello più innovativo di questo film, rispetto agli altri lavori di Anderson, è la concentricità dei racconti. L’arco narrativo di sviluppa su tre racconti concentrici: una studentessa ai giorni nostri legge un libro davanti alla statua di uno scrittore, il libro si intitola “Grand Budapest Hotel” e all’interno della storia raccontata da questo libro un altro narratore racconta un’altra storia, che si dimostra essere il cuore di tutto il lungometraggio. Come a voler dire che il piacere di raccontare una storia non finisce mai e si sviluppa lungo i decenni, crisi o non crisi. Se poi la storia è raccontata bene, ancora meglio. Questo sembra proprio essere uno di questi fortunati casi.
Voto: 8
MB VC