Scheda film
Regia: Gianni Amelio
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Alberto Taraglio
Fotografia: Luan Amelio Ujkaj
Montaggio: Simona Paggi
Scenografie: Giancarlo Basili
Costumi: Maurizio Millenotti
Musiche: Nicola Piovani
Trucco: Andrea Leanza
Italia, 2020 – Drammatico/Biografico – Durata: 126’
Cast: Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Omero Antonutti,
Renato Carpentieri, Alberto Paradossi, Claudia Gerini, Giuseppe Cederna
Uscita: 9 gennaio 2020
Distribuzione: 01 Distribution

Vetri rotti

Sin dalla diffusione della prima immagine ufficiale di Hammamet, che mostrava un irriconoscibile Pierfrancesco Favino vestire i panni di Bettino Craxi, si è potuto intuire quale sarebbe stato il destino del dodicesimo film di finzione di Gianni Amelio. Ora che la nuova fatica dietro la macchina da presa del regista calabrese è approdata nelle sale nostrane a vent’anni circa dalla morte del leader socialista, ex Presidente del Consiglio, quella prima sensazione è diventata ai nostri occhi – e a quelli di moltissimi altri addetti ai lavori – una certezza.

Se la pellicola rimarrà più o meno a lungo nella memoria del pubblico, riuscendo a portare a casa qualche riconoscimento nei mesi a venire, sicuramente gran parte del merito va rintracciato proprio nella performance attoriale, che di fatto ha messo d’accordo tutti, anche coloro che dell’opera che la ospita non sono rimasti particolarmente soddisfatti. In tal senso, non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che ciò avviene. Di casi analoghi alle diverse latitudini se ne contano a migliaia nella storia della Settima Arte e in moltissimi di essi, come questo, la performance si è rivelata una vera e propria scialuppa di salvataggio. Quella alla quale abbiamo assistito è una trasformazione camaleontica che lascia a bocca aperta, frutto delle capacità mimetiche oltre che dell’indiscusso talento dell’attore capitolino e dello straordinario lavoro di make-up reso possibile dall’utilizzo dei prostetici. Quest’ultimi hanno dato forma a quella maschera che una volta indossata dopo cinque ore giornaliere di trucco ha permesso a Favino di “essere” Craxi, in una clonazione audiovisiva costruita, oltre che sull’impressionante somiglianza fisica, anche sulla riproduzione fedele dei gesti e del modo di parlare. Insomma, chiunque farebbe fatica a riconoscere l’originale dalla copia cinematografica.

Viene da sé che Hammamet gode e si regge del e sull’apporto davanti la macchina da presa di Favino, reduce da un’altra notevolissima interpretazione nei panni di Buscetta ne Il traditore di Bellocchio. È lui il valore aggiunto, il baricentro e il perno solido sul quale Amelio ha potuto contare per portare sul grande schermo un capitolo di un biopic che, a differenza dell’interpretazione del protagonista, non riproduce fedelmente la matrice ma sceglie una bisettrice circoscritta e altra. Il film, incentrato su quello che il regista ha definito il periodo di contumacia e non di esilio o di arresti domiciliari di Craxi nella celebre località balneare tunisina dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, trae spunto dai fatti reali senza riprodurli in maniera cronachistica. Si assiste di conseguenza a un frammento di un’esistenza colta sul viale del tramonto che mette da parte le vicende giudiziarie e politiche ben note, per focalizzare il racconto e la drammaturgia sui sei mesi conclusivi della permanenza terrena di un uomo sul quale è calato un silenzio assordante. L’esito altro non è che un dramma umano sulla solitudine di un gigante caduto, sconfitto e malato, chiuso e sorvegliato a vista in una sorta di eremo fortificato dove coltiva il suo ostinato credersi nel giusto misto a rancori, ricordi, segreti, non detti, delusioni, mentre gli alleati dei momenti di gloria e il mondo hanno preferito dimenticarsi di lui. Ed è lì dove ha trovato rifugio circondato da famigliari e ospiti cha vanno e vengono per mitigarne l’isolamento, confrontarsi, cucire strappi e provare ad avere da lui delle risposte, che l’uomo fa i conti con se stesso e il passato che sotto vestigia diverse bussa al portone della tranquilla villetta in terra tunisina.

Nel dipingere questa copia non conforme, la scrittura volutamente allude dicendo il peccato ma non il peccatore, omette o cambia nomi, lasciando sullo sfondo il contesto storico e storiografico dell’Italia di quel momento. Una scelta che di fatto sottrae e solleva il film dalla responsabilità di ricostruire per filo e per segno ciò che è stato scritto e passato in giudicato, per dare vita a una biografia che vira verso una tragedia greca che pone al centro un uomo che ha perso rovinosamente il potere e che va incontro alla morte. In questo modo Hammamet trova la sua strada, percorrendola tra alti e bassi, sali e scendi emotivi che raggiungono picchi quando Favino prende il testimone e regala allo spettatore dei monologhi davvero forti e incisivi. Ne emergono le crepe e le fragilità della persona e non del politico che è stato, in un controcampo che sinceramente per la direzione presa non riesce a riportare a galla completamente il rimosso se quelle erano le intenzioni dell’autore, ma ne sottolinea quantomeno l’esistenza. Dall’altra parte però si tratta di un film che consente nuovamente ad Amelio di tornare a parlare di temi a lui cari come i legami affettivi e il rapporto padre-figlio, centrali nella sua filmografia e dei quali sa approfondire con tatto le dinamiche, i conflitti e le contraddizioni. Forse è qui che va trovato il cuore pulsante del film e il suo vero motivo di essere.

Voto: 6 e ½

Francesco Del Grosso