Recensione n.1

Truce e avvincente quanto basta, con morti e violenze, un Harry Potter veramente maturo.
Fa finalmente la sua comparsa Voldermort-Sauron, e sono dolori per tutti!
Da vedere.

VC

Recensione n.2

Crisi adolescenziali, ricerca di identità e confronto con il proprio io. Sembrano essere queste le tematiche portanti del quarto capitolo della saga di J. K. Rowling, portato sugli schermi dal talentuoso regista di Quattro matrimoni e un funerale Mike Newell. Il film risulta meno cupo del capitolo precedente, Il prigioniero di Azkaban, eppure il sottotitolo “tempi bui in arrivo” non trae in inganno, presentandoci infatti l’imminente ritorno del malvagio Lord Voldemort, acerrimo nemico di Harry. L’aspetto magico della saga regge grazie al fantastico torneo Tre Maghi, competizione sportiva che vede la partecipazione di giovani e talentuosi maghi provenienti da scuole di magia di tutto il mondo (compreso l’ignaro Harry, ma c’è lo zampino di Voldemort…). Il torneo non và sottovalutato all’interno della saga potteriana, poichè riveste il luogo deputato al confronto di culture diverse, e le fondamenta di una nuova alleanza contro il male. L’aspetto ludico tipicamente british della Rowling viene attinto a piene mani dal libro originale, come si nota nelle scene del ballo natalizio del Ceppo o nei primi tentativi di abbordaggio di Harry e Ron, decisamente divertenti.
L’azione vera e propria è in realtà un po’ troppo dilatata nel corso del film (che ricordo dura 2 ore e mezza), le prove del torneo tengono impegnato Harry meno di quanto vorremmo, ma lo sforzo di Newell è comunque da lodare, soprattutto data la mole di informazioni che il libro può dare. Il confronto finale con Lord Voldemort è una chicca per gli appassionati, non solo perché il malvagio si presenta per la prima volta in carne ed ossa, ma soprattutto per l’ispirata interpretazione di Ralph Fiennes.
Il prodotto finale è di ottima fattura, coinvolgente dal punto di vista emotivo, e con lo sviluppo di una trama sempre più drammatica, con un finale che non lascia adito a dubbi. Non ancora pronto a diventare un uomo, ma sollecitato da una realtà sempre più adulta, Harry dovrà far ricorso a tutte le sue forze psicologiche e fisiche per sopravvivere all’ennesima prova di coraggio: Voldemort è tornato!

Stefano Mura

Recensione n.3

Piccoli maghi crescono (male)
Chiedersi perché la brutta e convenzionale favola a puntate della Rowling, sia un fenomeno mondiale tradotto in 62 lingue non è un quesito che mi tiene sveglio la notte. In fondo banalità, convenzionalità e serialità sono premiate dalla scarsa propensione all’attenzione contemporanea. Ma il successo planetario degli episodi cinematografici della saga di Harry Potter mi lascia maggiormente perplesso. Perplesso perché manca alla saga almeno la continuità narrativa assicurata dalla scrittrice inglese in letteratura. I primi due episodi diretti da Columbus facevano l’occhiolino al cinema americano per l’infanzia risultando ingenui. Cuaron ha cercato di dare spessore alla favola con simbolismi e immagini dense e dark. Ora Mike Newell ritorna verso un cinema descrittivo e mai come adesso pieno di effetti speciali e invenzioni che cercano di vivacizzare il ritmo dei (troppi) 157 minuti. Nessuna continuità stilistica quindi (avete presente il signore degli anelli?) e nessuna struttura narrativa per l’opera di Newell. Harry Potter e il calice di fuoco per quasi due ore si trascina attraverso cliché narrativi e psicologici disarmanti. Le situazioni che sviluppano la sinossi sono isolate, episodiche. Non permettono un preciso ritmo alla pellicola schiava di invenzioni e “magie” edulcorate e estemporanee. Poi dal labirinto in poi, fino al cimitero e al finale, il film prende corpo. Finalmente permette l’immedesimazione dello spettatore e risulta avvincente, divertente e drammatico al contempo. Troppo tardi per risollevare una pellicola piena di frasi fatte e di luoghi comuni sull’adolescenza così ingenui e superficiali da risultare narcotizzanti. Continuo a non capire il successo del libro e ancora meno il successo dei lungometraggi, che non hanno nessuna parentela con il mondo della magia e del sogno, contribuendo invece all’annullamento di fatto della magia cinematografica. P.s. Pensandoci bene anche in Italia la pellicola avrà successo, la TV di Maria De Filippi e la talpa sono in fondo i nostri riferimenti visivi quotidiani.

Paolo Bronzetti

Recensione n.4

Si perde tempo nel quarto capitolo della saga harrypotteriana. Il giovane mago dopo aver scoperto l’amicizia come fondamento esistenziale (la pietra filosofale e la camera dei segreti), la morte come presenza indelebile della vita (il prigioniero di Azkaban), nel Calice di fuoco scopre l’amore e il dolore per l’assenza, che diviene sempre più tema centrale della saga più famosa del mondo. Giunto al quarto anno, Harry partecipa controvoglia al torneo Tre-maghi, facendo infine la conoscenza personale di Voldemort, finalmente tornato in vita. Ciò che più interessa in quest’ultimo film tratto dai romanzi di J. K Rowling non è la storia in sé, che come si diceva si perde in intrattenimenti piuttosto superficiali, ma è la sottotrama, il sottotesto tematico che accompagna da sempre i film di Harry Potter. Il mistero sull’origine e sulla destinazione di Harry viene svelato ogni volta un po’ di più, tingendosi continuamente di fattori inquietanti. Ma il problema di Harry Potter e il Calice di fuoco, che trova la regia dell’inglese Mike Newell, è che tale sottotrama rimane eccessivamente “sotto”, viene sviluppata in funzione della situazione contingente, che poco interessa e che esagera in durata (due ore e mezza). Nonostante tutto l’innovazione portata avanti da questa saga di maghetti risulta sempre piacevole, per gli occhi e per la mente, facendoci dimenticare le ingenuità tematiche e le operazioni commerciali che stanno dietro al film.

Andrea Fontana