Recensione n.1

Non accade frequentemente che il terzo film con protagonista lo stesso personaggio sia migliore dei precedenti. In questo caso nell’episodio tratto da quello che è considerato dai più come il migliore della serie, Harry Potter diventa grande sia cinematograficamente che anagraficamente (eh si, il tempo passa anche per lui…). Nelle mani di Alfonso Cuaròn, che ricordiamo per il bel “Y tu mama tambien”, la visionarietà supportata dalla letteratura è più libera e non intaccata da quell’umorismo infantile dei primi due film, e in particolare modo nella seconda parte, nel momento in cui il tempo si ferma, per contrasto il ritmo accelera vorticosamente.
Il nostro piccolo mago, tornato alla Hogwarts School, dopo essersi vendicato dell’insopportabile zia, gonfiata come un dirigibile, scopre che un criminale, Sirius Black, è fuggito dalla prigione di Azkaban e sarebbe alla sua caccia, dopo la presunta uccisione dei suoi genitori. Ma c’è qualcosa che non è chiaro. I nemici più terribili di Harry si rivelano così i Dissennatori, secondini del fantastico che hanno il compito di proteggere i ragazzi dal fuggiasco. Quando tutto sembra essere perduto, un repentino balzo indietro nel tempo può condurlo a scoprire la verità.
L’elemento principale del “Prigioniero di Azkaban” sono i personaggi che abitano il mondo e la scuola di Harry Potter. Difficile resistere al fascino dell’ Ippogrifo Fierobecco, che ricorda “Falkor” salamandra volante con la testa di cane de “La storia infinita”, i cui voli nel cielo, sono emozionanti simboli di libertà, una vera magia. E poi il maestro di difesa, il Professor Lupin , che insegnerà a Harry come affrontare i guardiani della prigione, e ancora Sirius Black, un misterioso (e quando mai non lo è) Gary Oldman, uomo dal grande cuore.
La maturità del personaggio in questo terzo film è percepibile, e il trattamento adulto che ne consegue è esternato nei toni dark, presenti sino dalle prime scene. Il viaggio nel pullman notturno della scuola esprime un salto in avanti, rapido, un passo risoluto dall’infanzia alla crescita inevitabile. I problemi sono più tattili e meno immaginifici, reali per quanto sia possibile.
Il terrificante lupo mannaro, forse il mostro più presente nel cinema di quest’anno (Van Helsing, Underworld, La Leggenda degli uomini straordinari), ha origine nelle leggende, parte della nostra cultura e lontane dalle fantasie da bacchetta magica.
Cuaron riesce nell’intento complesso di affrontare una grande produzione, trovando delle soluzioni registiche interessanti. D’altra parte il regista aveva già raccontato delle favole e del fantastico nella “Piccola Principessa” dove aveva dimostrato grande sensibilità d’animo.
Divertente nei dettagli, estenuante nella lunghezza (2 ore e 20) e qualche volta stucchevole per l’abbondanza di situazioni che meritano una grande attenzione dello spettatore, “Il Prigioniero di Azkaban” è un incantesimo noir per adulti.

Mattia Nicoletti

Recensione n.2

È un climax ascendente la saga di Harry Potter. Il primo capitolo (Harry Potter e la pietra filosofale, diretto da Chris Columbus) era stato concepito (e realizzato) come film per bambini, ma già si distingueva da tanta simile produzione per originalità e contenuti. Il secondo capitolo, Harry Potter e la camera dei segreti, approfondiva maggiormente la difficile psiche del protagonista, e aggiungeva cupezza e mistero all’atmosfera della saga. Quest’ultimo capitolo si distingue quasi totalmente dai precedenti: per regia, affidata al messicano Alfonso Cuaron ( autore del forte Y tu mama tambien), per i tempi (almeno mezzora in meno rispetto ai capitoli precedenti), e per atmosfere, assolutamente più dark. Peraltro Harry non è più il bambino del primo episodio: la sua crescita, il suo passaggio all’adolescenza, comporta sofferenza, presa di coscienza del proprio ruolo. La minaccia questa volta proviene dall’evasione di Sirius Black (un ottimo Gary Oldman), intenzionato ad uccidere Harry Potter. Gli effetti speciali si sono affinati e perfezionati (ancora!), s’infittiscono i rapporti fra i tre amici protagonisti, c’è qualche accenno a potenziali storie d’amore future. Ma questo terzo capitolo tratto dal fortunato romanzo di J. Rowling, si distingue dai precedenti anche per uno stile registico brioso e studiato. Dove infatti Columbus cedeva ad un classicismo di movimenti che dimostrava una rinuncia voluta a qualsiasi tipo di virtuosismo (eccezion fatta per le strabilianti scenografie e gli effetti speciali), Cuaron da vita alla regia con inquadrature originali, che culminano con una sorta di ideale piano sequenza, paradossalmente spezzato al suo interno dal montaggio. Lo considero piano sequenza perche inizia e finisce con lo stesso movimento (che segue Harry ed Hermione correre) nello stesso luogo. Un piano sequenza che ricorda quello di Antonioni in Professione: reporter, anche se non raggiunge la sua densità di significati, la sua perfezione, la sua potenza metaforica, la profondità. Almeno due sequenza da antologia: il pullman iniziale che passa in mezzo ad altri due autobus, e il viaggio nel tempo finale (con omaggi al Ritorno al futuro di Zemeckis). Ottimo questo Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, potente e solido nella costruzione narrativa, più intricata e distribuita su più livelli rispetto ai primi due film. Promette bene il quarto capitolo, previsto per Novembre 2005, diretto da Mike Newell (Quattro matrimoni e un funerale e Mona Lisa Smile).

Andrea Fontana