Scheda film
Regia: Ninagawa Mika
Sceneggiatura: Arisa Kaneko
Fotografia: Daisuke Soma
Montaggio: Hiroaki Morishita
Scenografia: Hiroyasu Koizumi
Costumi: Tetsuro Nagase
Musiche: Koji Ueno
Giappone, 2012 – Drammatico – Durata: 127′
Cast: Sawajiri Erika, Mamoi Kaori, Mizuhara Kiko, Harada Mieko, Suzuki Anne, Terajima Shinobu, Omori Nao
Uscita nel paese d’origine: 14 luglio 2012
“Ridere assomiglia molto a urlare”
Lilico è l’”aidoru” del momento, corteggiata dai media e idolatrata alla follia dalle adolescenti che vorrebbero assomigliarle. La sua immagine campeggia sulle copertine delle riviste di moda, nei siti web, nelle pubblicità, nelle serie televisive e anche al cinema. Ma Lilico nasconde un segreto, che qualora fosse divulgato la condurrebbe alla rovina: la sua bellezza è artificiale, opera della chirurgia estetica. Quando sulla scena arriverà la debuttante Kozue, più giovane e bella, il mondo dorato di Lilico comincerà a disgregarsi.
La fotografa di moda Ninagawa Mika aveva debuttato nel 2007 con Sakuran, film che a qualcuno parve una rivelazione, ma che in realtà si risolveva in una sequela di immagini patinate e studiatissime. Un classico “jidaigeki” ambientato nel periodo Edo, rivisitato però in salsa pop alla maniera della Marie Antoinette di Sofia Coppola, in un tripudio di costumi e scenografie magistralmente accordati e poco altro. Questa volta, ispirandosi al premiatissimo manga di Okazaki Kyoko, compone un mélò feroce e, verrebbe da dire, “fassbinderiano” nelle dinamiche coercitive della messa in scena, intorno ai meccanismi dello star-system, alla necessità della società di massa di innalzare idoli in cui rispecchiare i propri desideri, per poi distruggerli subito dopo. Si pensa a Fassbinder per il valzer di sesso predatorio, inteso come strumento di dominio e sopraffazione, che regola i rapporti tra Lilico, la sua assistente personale Hada Michiko e il fidanzato Shin, ma anche per il set soffocante in cui i personaggi tramano soavi crudeltà, per la cupa atmosfera da “kammerspiel in cui non esistono vie di scampo”, cui fa da contrappunto una colonna sonora debordante, orchestrale e operistica.
La casa di Lilico diventa un monumento all’”horror vacui”, naturalmente a dominante rosso sangue: Veneri di Milo, vasche da bagno settecentesche, ninnoli, specchi barocchi, crocefissi, acquasantiere, santi pop, maschere veneziane. L’ipertrofia dell’arredamento e la saturazione cromatica fanno deflagrare il concetto stesso di “kawaii”. Come nota il procuratore Hasada, il quale sta investigando sulle irregolarità della clinica “Platina”, la cosa più affascinante dello star-system è che lo si può paragonare a una deformità: come un cancro, sul punto di andare in metastasi. L’ossessione del look nella società dello spettacolo nasconde un corpo già corrotto, come quello di Lilico e delle altre pazienti della clinica, la cui epidermide necessita di trattamenti periodici per arrestare il rigetto. Chi non possiede il denaro sufficiente per proseguire le cure, preferisce allora togliersi la vita.
La bellezza è un montaggio di immagini, nota ancora il procuratore/filosofo, la sintesi dei nostri desideri, e le “aidoru” sono solo mezzi, macchine che veicolano il desiderio del pubblico, finchè quest’ultimo non passerà a un altro corpo, a un altro viso. I corpi perfetti delle modelle sono merce da consumare, al pari di qualsiasi altro oggetto di consumo. Ne è consapevole la giovane Kozue, la quale fronteggia con sprezzante indifferenza l’aggressione di Michiko, mentre Lilico non riesce a rinunciare alla propria posizione di predominio, perché “essere dimenticate è come morire”. Il mito della bellezza e del successo l’ha portata a trasformarsi da sgraziata ragazza di campagna a stella dello spettacolo, ma nel far ciò Lilico ha smarrito la propria identità. Peraltro il suo nuovo corpo e il suo viso sono modellati a sua insaputa sull’immagine di un’altra donna, e quindi due volte fasulli. La manager di Lilico, non a caso chiamata “Mama”, le ha infatti donato le fattezze di una se stessa più giovane, come un Pigmalione affetto da narcisismo patologico. Manipolata da “Mama”, dalle aspettative del suo staff e dai desideri del pubblico, Lilico si avvita in una spirale di follia autodistruttiva, trovando un inaspettato alleato proprio nel procuratore Hasada il quale, in una sequenza memore de La Signora di Shanghai, le confessa la propria ammirazione per il suo coraggio, paragonandola a Tiger Lily, la principessa indiana di Peter Pan.
L’Helter Skelter del titolo sembra richiamarsi, più che alla canzone dei Beatles, all’interpretazione che ne diedero i seguaci di Charles Manson, quando la tracciarono sui muri dello Spahn Ranch: anarchia e caos totale. Tale sembra essere anche il credo di Ninagawa Mika, la quale, per nostra fortuna, sembra mancare del tutto di senso della misura, fino al punto di inanellare ben tre finali diversi. L’eccesso diventa la cifra stilistica prevalente, pur nella cura maniacale nella composizione dell’inquadratura e degli accostamenti cromatici, che già erano i punti di forza di Sakuran. Una macchina da presa tarantolata si avventa letteralmente sui personaggi, mentre dal cielo precipitano piume scarlatte in stile “anime”, dilagano farfalle allucinatorie in CGI e le mitragliate dei flash dei fotografi assomigliano molto a quelle di un plotone d’esecuzione.
Helter Skelter è un’acida satira sociale sulla cultura popolare, scevra da moralismi, ravvivata dalla straordinaria performance di Sawajiri Erika (Shinobi), assente dalle scene da cinque anni, che riesce nella difficile impresa di essere allo stesso momento tirannica, fragile ed egocentrica. Ugualmente all’altezza i coprotagonisti, fra cui spiccano la Michiko di Terashima Shinobu (Caterpillar), la “Mama” di Mamoi Kaori (Kagemusha) e l’Hasada di Omori Nao (Golden Slumbers).
RARISSIMO perché… è un’acida satira sociale sulla cultura popolare giapponese, perciò probabilmente limitata al contesto locale.
Note: il film non è MAI uscito in Italia.
Voto: * * *½
Nicola Picchi