Recensione n.1
Splendido. Semplicemente splendido. Hero è una continua sorpresa, un continuo incanto per gli occhi e la mente, perfetto in tutte le sue parti e con una storia capace di coinvolgere e entusiasmare. L’eroe: è questa la figura centrale del film. L’eroismo porta con sé innumerevoli riflessioni, e in Hero tutti gli ideali e i valori che portano a morire un guerriero sono ampiamente sviscerati. La premessa è che si può uccidere per gli stessi motivi per i quali si può morire: patria, amore, amicizia. E Senza Nome, il protagonista della vicenda, è un eroe che compie entrambi gli atti: uccide e muore da eroe.
Diretto dal regista di Lanterne rosse, Zhang Yimou, Hero racconta la storia della Cina di 2000 anni fa, quando il paese era diviso in sette regni in lotta fra loro. L’obiettivo del re del regno di Qin è quello di riunire la Cina sotto un unico regno, senza esitare per raggiungerlo ad eliminare tutti i suoi nemici.
Il re, sotto ampia protezione a causa delle continue minacce alla sua vita, accetta un’incontro con Senza Nome, l’unico guerriero che sia riuscito ad uccidere i suoi tre nemici più grandi, Cielo, Spada Spezzata e Neve che cade. Senza nome racconta di come è riuscito nell’impresa che pareva impossibile, ma ben presto vedremo come i fatti da lui raccontati non corrispondano alla realtà, fino ad arrivare ad un totale di tre variazioni sulle uccisioni dei tre grandi guerrieri, che porteranno infine alla risoluzione finale e allo svelarsi della verità. Sacrificio, lotta, eroismo, amore per la tradizione, lealtà, sono molteplici i temi toccati da Yimou e non vengono perse di vista neanche le relazioni tra i personaggi (bravissimi a tal proposito gli interpreti, con menzione speciale per la sempre bravissima Maggie Cheung), dove viene anche raccontato l’amore e la sua fine in un meraviglioso finale.
Ma più che il contenuto e la storia (abbastanza semplice, ma raccontata con intelligenza), di Hero non possono non colpire i meravigliosi combattimenti, le maestose scenografie, la suggestiva musica e l’incantevole fotografia. Non vi è una sola scena che stoni con l’insieme, tutte le sequenze sono piene di pathos e adrenalina, perfette in tutte le loro parti, con punte di diamante come il combattimento tra Neve che cade e Luna, meritevole singolarmente dell’intera visione del film: una pioggia e una distesa di foglie fanno da sfondo ad una lotta senza indecisioni, piena di meraviglie e altamente coinvolgente. Tutti i combattimenti non si riducono ad un mera lotta di spade, ma sono invece innalzate a puri attimi di poesia, dove ogni minimo attacco si trasforma in danza e i colori avvolgono simbolicamente la scena rendendola sempre più simile ad un vero dipinto. Ralenti, effetti speciali, costumi magnifici, musica, fotografia ampiamente cromatica, tutti gli accorgimenti e le parti tecniche rendono Hero un vero e proprio film poetico, che pur trattando un tema come la morte non scade mai nella volgarità, ma sorprende continuamente con sequenze mai uguali l’una all’altra, combattimenti sempre differenti e ben costruiti, arricchiti da ampie distese desertiche o scenografie imponenti e che davvero non possono deludere. La storia che tocca livelli lirici, la maestria che esprime Yimou con ogni singola inquadratura e la splendida costruzione d’insieme dei combattimenti fanno di Hero un film impedibile, un film che di volta in volta diventa pura musica, pittura, poesia; in due parole, un’opera d’arte. VOTO: 9
Claudia Scopino
Recensione n.2
Dopo ben 2 anni di attesa, ringraziamo il signor Quentin Tarantino per aver portato da noi il primo wuxia-pian (storie di cavalieri erranti, vero genere culto del cinema asiatico) di Zhang Yimou.
Specifichiamo però, per non trarre in inganno gli spettatori, che Tarantino in questo film non ha fatto nulla, non l’ha diretto, nè prodotto, nè sceneggiato, ma si è “limitato” a dare i soldi per distribuirlo.
Il fattore che colpisce maggiormente di quest’opera di Yimou è sicuramente l’impatto visivo, di una eleganza formale che ha quasi dell’incredibile: duelli a slow motion che fanno pensare più a un balet piuttosto che ad un combattimento, il tuttto fotografato con colori volutamente eccessivi e con lucidezza attenzione per certi elementi come le gocce d’acqua o le foglie degli alberi.
Il regista intende sicuramente omaggiare Akira Kurosawa ed il suo Rashomon, l’intreccio narrativo che intende ricercare la verità nascosta tra le bugie, così della storia ci vengono narrate più versioni, e anche se il dubbio rimane aperto fino alla fine, il trionfo è nella morale della favola: Così come Kurosawa in Rashomon terminò la sua opera in un grande messaggio di pace, la stessa cosa fa Yimou in Hero.
Al contrario de La tigre e il dragone di Ang Lee però, ciò che manca in Hero è una attenta analisi psicologica, tralasciando certi personaggi che sicuramente potevano essere sviluppati meglio: non ci sarebbe piaciuto un potenziamento analitico nel personaggio di Cielo? E che ruolo ha esattamente Luna, nel rapporto tra Spada Spezzata e Neve che vola?
Forse per colpa anche delle difficoltà d’intreccio, Yimou non riesce quindi a dosare al meglio le varie parti filmiche, accennando a malapena gli ingredienti tipicamente wu-xia dell’amore o dell’orgoglio, si ha quasi l’impressione che il regista cinese voglia tappare i buchi inserendo numerosi combattimenti, certe volte addirittura inutili in quanto troppo ripetute, stancanti appunto. Interessante comunque i correlamenti che il regista fa tra l’arte della spada e l’arte della musica o della scrittura, concetti filosofici che vanno ad aggiungersi al tema principale della pellicola: Che cosa vuol dire essere un eroe.
La figura eroica delineata dal film è un uomo saggio e coraggioso, pronto a sacrificare la propria vita per la patria, pronto a cancellare i rancori per il bene della popolazione. In Hero nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo, sono semplicemente esseri umani alla ricerca del proprio essere, del proprio obiettivo da raggiungere, obiettivi che tutti raggiungeranno nell’epilogo.
Pierre Hombrebueno
Recensione n.3
L’ultimo film di Zhang Yimou è in realtà già il penultimo, la pellicola in questione è infatti del 2002, il film è stato campione di incassi in Cina, è passato in concorso al festival di Berlino nel 2003 ed è stato candidato agli Oscar come miglior film straniero nello stesso anno. Un successo tale da portare Yimou a realizzare un altro film nello stesso genere La fortezza dei pugnali volanti, che dovrebbe uscire in Italia nel 2005.
Cosa c’entra dunque Tarantino, il cui nome campeggia vistoso sul manifesto e apre il trailer? Assolutamente niente. L’ha visto e gli è piaciuto. La produzione infatti è interamente cinese (o meglio cino-hongkonghese) e la Miramax si occupa solo della distribuzione del film. Avendo nella sua scuderia Tarantino, la casa di distribuzione americana ha pensato di trasformare il suo regista in una sorta di testimonial. Se l’operazione non suonasse offensiva nella sua assurda falsità verrebbe persino da dire che sia stata una bella pensata, perché in America il film ha incassato bene e così si appresta a fare nel resto del mondo sull’onda di Kill Bill, di cui è Hero è però al massimo un precursore e con cui ha ben poco a che spartire.
Tutta questa incredibile vicenda è un segnale lampante dello spregiudicato cinismo di un mercato che, in barba ad ogni politique des autores, decide di cancellare virtualmente il nome di Zhang Yimou (che poi nemmeno è uno sconosciuto trattandosi del più famoso regista cinese contemporaneo, molto noto anche da noi per Lanterne Rosse e del quale tutti i film degli ultimi anni sono stati distribuiti in sala). Incidentalmente si è anche compiuto il miracolo di rendere simpatico un film che in oriente ha suscitato diverse polemiche per il suo presunto e acceso patriottismo.
Hero è infatti un affresco in cinque colori sulla nascita dell’impero cinese, una sorta di canto di fondazione, come si trattasse di un’Eneide. Il peso di un futuro migliore (chi non ha visto il film smetta qui di leggere) viene posto sulle spalle dell’imperatore, ma è un’onore appesantito dal sangue e dal sacrificio di più di un eroe. Una lettura politica e non grossolana del film risulta però ostica allo spettatore occidentale perchè si ignorano le eventuali spinte independentiste delle province cinesi, come si stenta a capire davvero quanto una produzione che glorifica la Cina imperiale di oltre duemiladuecento anni fa possa apparire come un’apologia di regime. Meglio allora non addentrarsi oltre in questi aspetti limitandosi ad osservare che la nascita dell’impero è figlia del sacrificio (di pochi) assai più di quanto non lo sia della forza di un condottiero o dei suoi numerosissimi soldati.
Hero dunque, pur appartenendo allo stesso genere cinematografico, il wuxia pian, non ha molto in comune neppure con la Tigre e il dragone, a cui il manifesto rimanda. Nelle recensioni poi si è spesso letto in questi giorni il nome di Rashomon, per la struttura narrativa evocata dalle differenti versioni della storia raccontata. Ma ove Rashomon era un modello di modernismo nella sua impossibilità di giungere alla verità, l’esatto contrario accade in Hero dove ad una menzogna si contrappone un’ipotesi errata, cui segue infine l’ammissione della verità.
Il racconto inizia con le tonalità cupe e grigio scure del palazzo dell’imperatore, un terribile tiranno, e dello scontro con Cielo, passa poi ai rossi della passione dei primi confronto con spada spezzata e fiocco di neve alla scuola di calligrafia. Il colore seguente è il blu ove il senza nome dimostra la sua abilità ai due assassini ottenendo il loro sacrificio, seguito dal verde del confronto tra l’imperatore e spada spezzata e infine dal bianco dell’apoteosi degli eroi. I colori sarebbero legati ai cinque elementi del confucianesimo (Confucio infatti era morto nel periodo di poco precedente a quello in cui è ambientato il film): legno, fuoco, terra, metallo, acqua, la cui successione porta ad un ciclo di distruzione/rigenerazione. L’aspetto cromatico dunque costituisce uno sforzo di rappresentare non solo una società o un periodo, ma il cosmo stesso.
Hero dunque è un wuxia assolutamente astratto, infatti nonostante la storia sia sanguinosissima, il sangue e la brutalità ne sono come banditi, tanto che due combattimenti sono mentali, solo immaginati, come in quelle storie di samurai dove già in uno scambio di sguardi tra i due guerrieri entrambi sanno già chi sarà a perire. Si va dunque oltre alle pur mirabili acrobazie dei combattenti (come era invece ne La tigre e il dragone), in una continua a reiterata sfida alla fisica e alla gravità, dove i colpi dei personaggi sono in grado di deviare centinaia di frecce, dove il tempo si ferma e tutto si decide nella durata del rimbalzo di una goccia d’acqua.
Visivamente, tra duelli in volo su un lago, con tanto di riflessi del cielo e dei combattenti, e mulinelli di foglie dorate che si tingono di rosso, è una delle opere più impressionanti che siano mai state portate sul grande schermo; vero e proprio capolavoro di Christopher Doyle (In the mood for love) alla fotografia e Ching Siu-Tung alla direzione coreografica dei combattimenti. Il film si avvale inoltre di un cast cino-hongkonghese all star: sul manifesto appare solo il nome di Jet Li, famoso tra gli amanti nostrani dei film di arti marziali, ma fanno ottima mostra di sé anche Zhang Ziyi, Maggie Cheung, Tony Leung Chiu Wai e Chen Daoming.
Le recensioni sui quotidiani di questi giorni rimproverano in tanta e forse troppa perfezione una certa assenza d’anima, che è in effetti riscontrabile ma per lo più a causa della stessa struttura narrativa del film: rivedere gli stessi personaggi tre volte e ogni volta con caratteri e motivazioni diverse non aiuta ad empatizzare con loro. C’è poi la perplessità che tutto questo sfarzo di incastri, colori, sfide alla gravità nasconda una certa vacuità concettuale, anche per la difficoltà a farsi comprendere dallo spettatore occidentale. Basta però confrontare Hero ad alcuni blockbuster occidentali semi-storici (Troy, King Arthur) per rendersi conto di dove stia la qualità. Hero insomma non è il miglior film di Zhang Yimou, né tantomeno il miglior Wuxia mai prodotto (pur essendo il più costoso), ma entra comunque di diritto nella categoria, oggi estremamente ristretta, dei film epico-storici senza essere stupidi.
Andrea Fornasiero