Scheda film
Regia: Martin Scorsese
Soggetto: dalla graphic-novel “The invention of Hugo Cabret” di Brian Selznick
Sceneggiatura: John Logan
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Scenografie: Dante Ferretti
Costumi: Sandy Powell
Musiche: Howard Shore
USA, 2011 – Avventura – Durata: 126′
Cast: Asa Butterfield, Chloë Grace Moretz, Christopher Lee, Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Ray Winstone, Emily Mortimer
Uscita: 3 febbraio 2012
Distribuzione: 01 Distribution
Méliès di così si muore…
Anni trenta, il piccolo Hugo Cabret (Asa Butterfield) vive nel mastodontico scenario della stazione di Parigi, continuando a mandare avanti da solo il complesso sistema di orologi architettato dal padre (Jude Law), brillante inventore scomparso in un incidente. Hugo cerca nei tanti oggetti indcompiuti lasciati dal genitore qualcosa che gli parli di lui e, come tanti altri, rimane l’ossessione dell’ispettore del posto (Sacha Baron Cohen), perennemente a caccia di balordi e randagi. Esperto di ingranaggi grandi e piccoli, cattura l’attenzione di un’anziano ex prestigiatore (Ben Kingsley) che gestisce un chioschetto di dolciumi e giocattoli presso la Gare de Lyon. In realtà quell’uomo è il pioniere del cinema Georges Méliés, ritiratosi dalle scene, deluso dalla vita e dall’arte. I due hanno ciascuno un elemento che li unisce, ma ancora non lo sanno…
Se c’è sempre una prima volta nell’esistenza di ognuno, in quella di Scorsese stavolta ce ne sono almeno tre: il debutto nel genere “per famiglie”, il ricorso al 3D e l’assenza di DiCaprio, almeno negli ultimi due lustri. Ma non è la prima volta che mette al centro di un film la settima arte stessa, dopo The aviator e senza contare i numerosi documentari, come quelli dedicati al cinema italiano o a suoi idoli come Elia Kazan. E se per un altro regista questo potrebbe sembrare un ripiego o l’inizio della fine, per il “giovane” quest’anno settantenne Martin è lo slancio pieno di entusiasmo verso un nuovo mondo, l’ulteriore passo di una quasi sempre brillante carriera, pur se non scevro da qualche pecca.
Partendo dall’affascinante graphic-novel di Brian Selznick, basata su un personaggio estremamente dickensiano, il regista italoamericano costruisce l’ennesimo atto d’omaggio al cinema: a partire dai numerosi piani sequenza accostati l’un l’altro che aprono il film; quindi con Méliès, adorato come il primo che – con un passato di prestigiatore – seppe vedere nei fotogrammi messi in sequenza una forma alternativa di magia, in contrapposizione al realismo dei Lumière, vedendo nella messa in scena cinematografica un atto estremo di illusionismo; poi nella figura dell’automa incompiuto che il padre ha lasciato al figlio e nel quale si nasconde un messaggio segreto, c’è la stessa filmografia del buon Georges, distrutta e poi recuperata; mentre nelle avventure dello stesso Hugo vengono riversate situazioni da classici del muto, come ad esempio quando è appeso alle lancette dell’orologio della stazione, quale novello emulo dell’Harold Lloyd di Preferisco l’ascensore, dopo averlo ammirato al cinema insieme all’amichetta Isabelle.
In un complesso gioco ad incastri, tra molteplici riflessi e citazioni (compresa l’apparizione hitchcockiana di Scorsese nei panni, guarda caso, di un fotografo con tanto di baffoni), tra le scenografie tradizionali di Dante Ferretti e l’integrazione data dall’uso massiccio della computer graphic, più l’apporto anabolico del 3D, Hugo Cabret è un lussuoso baraccone per piccoli e grandi (che sapranno coglierne i molti sottotesti) e raggiunge l’apice di commozione e di sommo cinema proprio quando lascia passare sullo schermo i film recuperati (e salvati) di Méliès, chinando il capo al maestro: le immagini colorate a mano del grande artista ruggiscono ancora eloquenti e riescono a far perdonare qualche incertezza e qualche lungaggine di un altro leone che ancora riesce comunque a mostrare gli artigli.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti