Scheda film

Regia: Francis Lawrence
Soggetto: Suzanne Collins
Sceneggiatura: Peter Craig, Danny Strong
Fotografia: Jo Willems
Montaggio: Alan Edward Bell, Marc Yoshikawa
Scenografie: Philip Messina
Costumi: Kurt & Bart
Musiche: James Newton Howard
USA, 2014 – Fantascienza/Distopico – 123′
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Jeffrey Wright, Stanley Tucci, Donald Sutherland, Jena Malone, Sam Claflin
Uscita: 20 Novembre 2014
Distribuzione: Universal Pictures

 Stato di Guerra

Dove eravamo rimasti? Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) recuperata dai miliziani di un rinato Distretto 13 durante la rivoluzione finale dell’Edizione 75 degli Hunger Games, per intenderci quella della Memoria. La nostra eroina portava addosso gli evidenti segni psicologici degli scontri nell’arena e la preoccupazione per le sorti dei suoi amici tributi, soprattutto per il compagno di distretto Peeta Mellark, catturati dalle forze di Capitol City sotto il comando del presidente Snow (Donald Sutherland).
Dopo un periodo di convalescenza e di recupero delle proprie forze mentali la Ghiandaia Imitatrice (Katniss/Lawrence) prenderà per mano la popolazione di Panem guidandola verso la rivoluzione e la fine della dittatura. La presidentessa Coin del Distretto 13 (una sempre convincente Julienne Moore), insieme allo stratega disertore Plutharc Heavensbee (il compianto Philip Seymour Hoffman), politicamente affiatati, aiuteranno Mockingjay (traduzione di Ghiandiaia Imitatrice) a spiccare il volo e a diventare quell’immagine messianica alla quale il popolo oppresso di Panem si potrà aggrappare per lottare contro la tirannia ed il terrore.
Sicuramente interessante ed estremamente legato all’attualità, il primo dei due capitoli de Il Canto della Rivolta, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Suzanne Collins, cambia rotta rispetto ai suoi due predecessori e ci porta la guerra in casa, una sorta di Grande Fratello in prima linea. Entrambi gli schieramenti lottano tra di loro con l’arma della comunicazione di massa, video propagandistici preparati su misura come se fossero veri spot pubblicitari che centrano sempre l’obbiettivo prefissato: scuotere, intimorire ma anche incitare verso la ribellione. Una sorta di atomizzazione positiva, quella sulle vittime di anni di sopraffazione, che forse sotto sotto così positiva non è, visto che la rabbia covata, storicamente, non porta mai i benefici sperati, ma un nuovo stato di comando forse simile al primo. Speriamo che tutto questo faccia parte di un’altra storia. Alcune scene chiave ci riportano direttamente ai telegiornali di oggi e al male offertoci all’ora di pranzo, con esecuzioni nelle piazze con tanto di vittime con cappucci sulla testa che ricordano il terrore causato dall’Isis o da Al Qaeda. Le tematiche affrontate portano il film, in buona parte, fuori dal filone Young Adult, dato che la sofferenza dell’animo umano qui viene sviscerata senza troppe patinature e con rimandi atroci alla storia bellica dell’umanità. Troviamo rimandi alla Prima Guerra Mondiale con la battaglia nelle trincee (vedi vita sotterranea dell’intero Distretto 13), iconografata nella Statua dei Vincitori con una sola ala, simbolo di una Vittoria Mutilata. Espliciti sono anche i riferimenti al Naziolsocialismo più esasperato portatore di segregazione e morte.
Una delle protagoniste più sfarzose dei primi due film era Effie (Elizabeth Banks), mietitrice del Distretto 12, che con i suoi abiti e il suo look appariscente era la chiara testimonianza di come la moda fosse sinonimo di potere da parte di Capitol City. Qui la troviamo denudata di quel lusso, chiaro segno di decadenza dell’autorità e del vigore dei carnefici. Il cambio di colore di tutti gli abiti del film, curati con sapienza stilistica da Kart & Bart, rispetto ai precedenti capitoli, sono il segno inequivocabile che qualcosa di rilevante si è mosso in questo mondo distopico.
La regia è stata affidata ancora una volta a Francis Lawrence, già autore de La Ragazza di Fuoco (2013), il quale si limita senza infamia e senza lode a dirigere con un taglio classico da action-movie, prediligendo i primi piani dei protagonisti più sensibili alla vicenda. Peter Craig e Danny Strong firmano un’avvincente sceneggiatura pur essendo gran parte del film ambientata sotto terra dove di norma il dinamismo non la fa da padrone. Lo scenografo Philip Messina allestisce ottime atmosfere cupe, claustrofobiche ed espressionistiche che ricordano l’Alien 3 di David Fincher (1992) e il terzo capitolo della saga di Matrix (Revolution, 2003), in linea perfetta con il tema greve e severo del Canto della Rivolta. Le spedizioni di guerra, rigorosamente sempre “live”, ricordano anche i momenti più emozionanti di Zero Dark Thirty (2012), diretto dal Premio Oscar Kathryn Bigelow, anche lei a suo agio nel riprendere le zone di battaglia.
La luce in tutto questo buio è rappresentata dalla protagonista femminile: la Ghiandaia Imitatrice Katniss “Lawrence” Everdeen (prova attoriale sempre all’altezza). Il suo canto allevia i dubbi nei cuori dei soldati pronti alla guerra e rende il riposo a donne e bambini più sereno, un cuscino morbido su cui fare sogni di speranza. L’amore che prova per i suoi compagni di Distretto, Peeta e Gale (Liam Hemsworth) va oltre al classico amore adolescenziale: è passionale ma allo stesso tempo misurato e coscienzioso, da persona matura, quasi genitoriale. Lei mostra forza e temperamento per garantire alla sua gente un motivo per lottare, sa di essere la pedina con la bandiera in una partita di Risiko in grado di spodestare il nemico. Il suo fuoco brucia il superfluo ed è senza ombra di dubbio il suo pathos a rendere travolgente l’intera serie. Sapientemente nascosto ai suoi confratelli, ma non ha noi spettatori, vediamo il suo animo dolente avvelenato dal presidente Snow ed un cimitero di fiori attorniato da macabri teschi le fa ricordare che la sofferenza è presente e non potrà mai veramente lasciarla. L’esperienza della violenza non si può cancellare e questo è un sottotesto di grande rilevanza nel film, metaforicamente evidente in molte sequenze.
Da vedere, perché Hunger Games è senza dubbio il miglior esempio di distopia al cinema, mai abusata ma sempre diretta e reale. Unica stonatura, ma concessa di diritto, è quella freccia scagliata verso un Hovercraft nemico che viene prontamente abbattuto. Il miglior Schwarzenegger di True Lies (1994) forse l’avrebbe mancato.

Voto: 7

David Siena