Scheda film
Regia: Jang Joon-hwan
Sceneggiatura: Park Joo-suk
Fotografia: Kim Ji-yong
Montaggio: Kim Sang-bum
Scenografia: Chae Kyoung-sun
Costumi: Ham Hyun-joo
Musiche: Mowg
Corea del Sud, 2013 – Thriller – Durata: 125′
Cast: Kim Yoon-seok, Yeo Jin-goo, Cho Jin-woong, Jang Hyun-sung, Kim Sung-kyun, Park Hae-jun, Im Ji-eun, Lee Geung-young, Seo Young-hwa, Moon Sung-geun, Kim Young-min
Uscita nel paese d’origine: 9 ottobre 2013
Hwayi è stato allevato da una banda di criminali, i quali lo hanno istruito sin da piccolo alle tecniche di arti marziali e all’utilizzo delle armi. Seok-tae, il capo del gruppo, decide di sottoporre il ragazzo al battesimo del fuoco ordinandogli di eliminare Im Hyung-taek, un attivista che si oppone a un piano di riqualificazione edilizia. L’assassinio, però, porterà Hwayi a scoprire una sconvolgente verità sul suo passato.
A dieci anni dal folgorante Save the Green Planet (2003), strepitoso successo nei festival di tutto il mondo ma flop in patria, Jang Joon-hwan torna alla regia con Hwayi: A Monster Boy, un thriller nerissimo con diverse frecce al proprio arco. All’inizio il film appare abbastanza convenzionale, dato che il tema della vendetta e della punizione delle colpe del passato ricorre con una certa frequenza nel cinema coreano degli ultimi vent’anni, ma proseguendo nella visione ci si accorge che l’approccio obliquo e sincopato è assai più personale di quanto ci si aspettava.
Hwayi porta il nome di un albero, lo stesso albero sotto al quale era tenuto prigioniero da bambino, con i polsi legati e un sacco sulla testa. Diventato un adolescente con la passione del disegno, Hwayi continua a essere quell’albero, una pianta le cui radici affondano in profondità nell’humus corrotto di una paternità deviata. Il ragazzo ha come madre vicaria la giovane Young-joo, una donna ridotta in schiavitù che cucina e sbriga le faccende di casa, e cinque padri: l’asso del volante Ki-tae, l’esperto di armi da fuoco Beom-soo, lo stratega Jin-seong, l’atleta versato nelle arti marziali Dong-beom, il capo Seok-tae. Ognuno di loro ha trasmesso al ragazzo le proprie abilità, ognuno è una singola radice a partire dalla quale si è sviluppato l’albero-Hwayi. La figura paterna è scissa in cinque parti, e ciascuno dei padri esprime l’affetto a suo modo; il balbuziente Ki-tae è un genitore complice e affettuoso, Jin-seong è il genitore responsabile che pianifica il futuro del ragazzo, Seok-tae è il padre violento e autoritario, il minotauro che cerca di attirarlo nel proprio labirinto perché Hwayi diventi una sua copia in carta carbone. Tutti sono stati bambini abbandonati, provenienti dal medesimo orfanotrofio, e il solo modo per rendere il figlio simile a loro è farlo orfano a sua volta. Sottratto alla famiglia in tenera età, Hwayi non rammenta nulla del proprio passato; è cresciuto circondato dall’affetto malsano dei membri della banda e ignora la normalità, anche se ne indossa le vesti esteriori portando sempre una divisa scolastica da studente modello. Per gli uomini, che hanno alle spalle un’infanzia deprivata, accudire e corrompere sono un’unica forma d’amore, due facce della stessa medaglia; perciò si comportano allo stesso modo sia con il figlio surrogato che con Young-joo, anche lei tenuta in una condizione costante di sottomissione psicofisica. Attraverso l’educazione alla violenza e alla brutalità, la paziente vocazione pedagogica del male, la paternità si tramuta in un atto mostruoso che genera a sua volta mostri.
Hwayi è ossessionato dalla visione di una creatura deforme da cui è terrorizzato, un essere che si annida nell’ombra come tutti i terrori dell’infanzia. La sola maniera che ha per sconfiggerlo è diventare a sua volta un mostro, accettare la propria eredità, abbracciarla per poi rivolgerla contro i suoi padri vicari. La linfa che stilla dall’albero-Hwayi, infatti, non può che avere il colore scarlatto del sangue. Ma nonostante Hwayi si convinca che l’uomo che ha ucciso sia il suo vero padre, la verità è ancora più incerta e imperscrutabile, delegata a un rabbioso flashback che solleva interrogativi destinati a restare senza risposta. Riluttante ad attribuire colpe o a elargire punizioni, Jang Joon-hwan mette in scena un parricidio forse reale e forse simbolico, che marca l’uscita di Hwayi dal labirinto.
Sullo sfondo, una Corea rurale e periferica di adamantino squallore, nella quale la violenza esasperata è il segno esteriore della corruzione morale della società. Il CEO Jeon assolda la banda dei “Goblin” per sbrigare i propri affari sporchi, sequestri, rapine, omicidi, con la connivenza di funzionari corrotti delle forze dell’ordine, mentre i poliziotti brillano per inefficienza o, nel migliore dei casi, sono destinati a prendersi una pallottola in fronte. Lo stile convulso e fuori squadro del regista, insieme al montaggio spesso ellittico di Kim Sang-bum e agli inusuali inserti “action” coreografati da Jung Doo-hung, trasformano Hwayi: A Monster Boy da thriller d’ordinanza in una favola schizoide intrisa di sadismo.
Kim Yoon-seok interpreta senza troppo sforzo un personaggio analogo al Myun-ga di The Yellow Sea, mentre la giovane promessa delle serie televisive Yeo Jin-goo si è guadagnato un premio come Miglior Attore Esordiente ai Blue Dragon Film Awards. E se anche il film può apparire sul filo dell’isterismo e appassionatamente sbilenco, ci si augura che Jang Joon-hwan non lasci trascorrere altri dieci anni prima di dedicarsi a un nuovo progetto.
Note: il film non è MAI uscito in italia
Voto: 6 e ½
Nicola Picchi