Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Pascal Laugier
Fotografia: Kamal Derkaoui
Montaggio: Sébastien Prangère
Scenografie: Jean-Andre Carriere
Costumi: Angus Strathie
Musiche: Todd Bryanton
USA/Canada/Francia, 2012 – Thriller – Durata: 106′
Cast: Jessica Biel, Jodelle Ferland, William B. Davis, Stephen McHattie, Samantha Ferris, Colleen Wheeler, Eve Harlow
Uscita: 21 settembre 2012
Distribuzione: Moviemax
Io speriamo che sono nella cava
Cold Rock è un remoto paesino rurale degli USA che, dalla chiusura della miniera, avvenuta sei anni prima, che dava lavoro e prosperità a gran parte della sua popolazione, è andato via via declinando. La vita sembra scorrere però apparentemente tranquilla, se non fosse che molti dei bambini del luogo sono andati scomparendo. Le leggende attribuiscono le sparizioni alla leggenda del cosiddetto “Uomo Alto”: qualcuno che lo ha visto sembra descrivere così l’autore dei numerosi e misteriosi rapimenti. Quando anche l’infermiera Julia (Jessica Biel), si vede portare via il figlio David (Jakob Davies), si precipiterà all’inseguimento del sinistro figuro. Ma la verità è in realtà molto diversa…
Poco si può dire di questo film senza incappare continuamente in spoiler: l’unica affermazione sicura ed a prova di rischi, per quanto potrebbe essere essa stessa una piccola rivelazione, è, senza tema di dubbio, che non si tratta di un horror.
Il francese Pascal Laugier, amato autore del bellissimo ed insostenibile Martyrs, torna quattro anni dopo col suo primo film americano che è infatti un robusto thriller, pieno di suggestioni dalle pellicole precedenti e da altri horror francesi (il pulmino dell’Uomo Alto in fuga rimanda inevitabilmente ad Alta tensione di Aja), con i soliti influssi degli amati Argento e Fulci.
Anche qui ci sono buoni che sembrano cattivi e cattivi che sembrano buoni – anche a più fasi – cunicoli fitti e potenzialmente colmi di misteri (che siano di una specie di clinica o di un’oscura miniera), suicidi, bambini più o meno inquietanti (il ricordo va all’esordio Saint Ange) e soprattutto segrete organizzazioni dalle intenzioni variamente condivisibili.
Il mondo che Laugier offre è densissimo di tensione e spettacolarità, mettendo a disposizione numerosi colpi di scena, tra maggiori e minori, ma richiede estrema adesione allo spettatore, spingendo ai limiti i livelli di sospensione dell’incredulità. Quindi il suo terzo lungometraggio – come tutti gli altri lavori del regista d’oltralpe – o si ama o si odia, o lo si comprende ed accetta o lo si detesta. Chi scrive è ovviamente della prima schiera, disposta a seguire un autore che sa divertirsi (e divertire) in maniera sublime con la macchina da presa, muovendola nello stesso, breve piano-sequenza in un carrello in avanti per poi farla subito recedere a scoprire un cambiamento nella nuova inquadratura allargata. Un autore cui piace giocare con lo spettatore, accompagnandolo su false piste, instillandogli nella mente possibili spiegazioni e pieghe, naturalmente errate, della vicenda e che regala anche alla sua protagonista femminile, un’intensa Jessica Biel – è suo il poco sangue che si vede sullo schermo, sottoposta com’è a non pochi maltrattamenti – il ruolo della sua carriera. Un personaggio che, senza dire di più, cambia valenza almeno un paio di volte, pur mantenendo per scelta e necessità, un’inestinguibile ambiguità di fondo.
Laugier, in un film che parla di sparizioni, non a caso – e non è un gioco di parole – lavora in sottrazione, pur non lesinando sullo spettacolo, accennando le spiegazioni, comunque chiare e decifrabili, evitando stavolta lo splatter, ma toccando molteplici temi come la maternità, il futuro e l’educazione dei figli e la patria potestà, tutti su un tappeto di dissidi e problematiche morali ed etici. Un action che ancora una volta lascia in bocca l’amaro sapore della riflessione e del dubbio, come sancisce la domanda che la fragile ed inquietante Jodelle Ferland, non nuova a film di genere horror/thriller, pone al pubblico guardando in macchina nell’ultima inquadratura. Un film importante, ma non per tutti.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti