Titolo originale: The Motocyrcle Diary
Anno: 2004 Regia: Walter Salles
Interpreti: Gael García Bernal, Rodrigo De la Serna, Mía Maestro
Soggetto: tratto dai diari “LatinoAmericana” di Ernesto “Che” Guevara e “Un gitano sedentario” di Alberto Granado
Sceneggiatura: José Rivera
Genere: Avventura/Drammatico;
Durata: 2h e 06′ Distribuzione: BIM
“I diari della motocicletta” non è un film sul leggendario “Che”, icona di una rivoluzione contro le ingiustizie a favore degli oppressi. Chi entra in sala con la speranza di vedere la storia e le lotte del mitico “Che” Guevara nel suo amato Sud america, rimane altamente deluso.
Questo film è un’altra cosa. E’ un viaggio, un diario, un’avventura, un divertimento, una progressiva presa di coscienza man mano che vengono consumati centinaia di chilometri sulle strade polverose dell’Argentina, del Cile, del Perù, del Venezuela. Sono gli inizi degli anni ’50 e Ernesto Guevara (il bravissimo giovane attore messicano Gael García Bernal), non è ancora il “Che”, ma “El Fuser”, scanzonato ventitreenne che a un passo dalla laurea in medicina, decide di partire con il suo migliore amico biochimico Alberto Granado (Rodrigo De la Serna), per un avventuroso viaggio attraverso l”America Latina, a bordo della (questa sì già) mitica “Poderosa”, una moto Norton 500.
Un viaggio di esplorazione e scoperta dei luoghi più nascosti di questo affascinante paese, che inizia con entusiasmo e divertimento (il film inizialmente ha una forte dose di ironia, ai due protagonisti capitano bizzarre disavventure) per poi scivolare in un terreno più oscuro e introspettivo. Il momento di rivelazione e di scoperta del proprio io (che evidentemente già esisteva, ma doveva essere rivelato, reso consapevole) è il dialogo che Ernesto ha con una peruviana, una sera attorno ad un fuoco. Dopo aver detto che stava fuggendo insieme al marito perché comunisti, chiede ai due avventurosi viaggiatori il motivo del loro viaggio. Momento di silenzio. Imbarazzo. Perché stiamo viaggiando? Ernesto risponde ingenuamente “per viaggiare”, ma nei suoi occhi (ben rappresentati con un intenso primo piano) già si legge il cambiamento d’animo, la scoperta del suo io. Tale rivelazione trova la piena consacrazione quando i due arrivano al lebbrosario e prestano il loro aiuto come medici. Un fiume divide simbolicamente i malati dai sani e la traversata impossibile a nuoto di Ernesto per raggiungere la sponda dove vivevano i malati rappresenta il coraggio, la lotta e la forza d’animo che di lì a pochi anni dimostrerà di avere nelle lotte politiche in tutto il continente. Il film è quindi un viaggio ludico che diventa introspettivo e la sceneggiatura (di José Rivera) scandisce questo passaggio. Le parole del diario che Ernesto scrive durante il viaggio sono tratte da due celebri diari, uno scritto da “Che” Guevara, “Latinoamericana”, (edito da Feltrinelli), e l’altro “Un gitano sedentario” scritto dall’amico compagno di viaggio, tuttora vivente, Alberto Granado.
Il regista Walter Salles (Central Do Brazil) dimostra di avere quell’intento documentaristico di raccontare non solo il Brasile, ma tutta l’America Latina. Le immagini fotografiche in bianco e nero (che inframezzano il film) di minatori in disperata ricerca di lavoro, di povera gente che dorme su amache usurate, di donne che lavano i panni nel fiume, sono la fotografia di un Paese, ma anche la denuncia di una situazione di miseria e povertà.
In definitiva quindi lo spettatore non deve vedere il film con lo spirito di vedere un mito, bensì la semplice crescita di un ragazzo qualunque grazie a un viaggio attraverso la miseria.
Si entra in sala per capire l’origine delle trasformazioni che porteranno un giovane studente di medicina argentino a diventare icona della libertà e della lotta contro le ingiustizie.
Marta Fresolone