RECENSIONE N.1

Alpi francesi, una valle dominata da una cupa università d’elite –
fascista fin dall’architettura, un delitto raccapricciante su cui viene mandato ad indagare il saggio commissario Jean Reno, la profanazione della tomba di una bambina in un cimitero di cui invece si occupa il giovane tenente Vincent Cassell – ovviamente le due indagini si scopriranno collegate…
Una bella sorpresa. Il film funziona al 90%, riesce a fondere un gran numero di temi ed atmosfere differenti in maniera brillante fino al finale francamente poco soddisfacente – cosa che capita abbastanza spesso proprio nei film più ricchi.
Non ci sono riempitivi, tutto il film sembra fatto di scene madri, grossi blocchi squadrati e giustapposti, ognuno quasi in uno stile diverso dagli altri – l’interrogatorio delle monaca pazza che ha fatto il voto delle tenebre è immediatamente seguito dalla scena in cima all’abbacinante ghiacciaio. Nel secondo tempo Reno e Cassell operano assieme (ottima chemistry fra i due) ed all’unità tematica corrisponde un certo sfilacciamento stilistico.
Momento peggiore: Cassell va ad interrogare degli skinhead e si ritrova in un combattimento di kickboxing incredibilemente incongruo. La kickboxing in Francia sembra avere un certo valore controculturale, legata al rap/hiphop/graffitismo etc. ed a Kassowitz evidentemente piace e Cassell vuol farci vedere quanto è bravo come action star ma insomma, non funziona proprio…
Splendida invece la scena all’interno del ghiacciaio e tutte quelle dentro l’università, i due poli visivi del film.
Direi che dopo lo splendido L’Odio ed il divertente ma piuttosto insulso Assassini, Kassowitz riesce a superare la terribile prova-soldi che ha distrutto tanti giovani e promettenti registi.

Stefano Trucco

RECENSIONE N.2

Il Commissarrio Pierre Niemans (Jean Reno) arriva a Guernon, una piccola cittadina delle Alpi sede di una lugubre università, per investigare sull’omicidio e sull’orrenda mutilazione di un bibliotecario. Nello stesso momento il tenente Max Kerkerian (Vincent Cassel) indaga a Sarzac, a 200 km di distanza, sulla profanazione della tomba di una bambina morta 20 anni prima in misteriose circostanze.
“Fiumi di porpora” e’ uno dei film piu’ modaioli degli ultimi anni: per parlare di tutti gli ammiccamenti del regista al pubblico neocinefilo ci vorrebbero pagine, ma giusto per citare qualche chicca possiamo dire che la telecamera e’ in perenne movimento circolare (l’effetto mal di mare e’ assicurato), che ci sono scene in cui il sonoro dei dialoghi viene improvvisamente coperto dai rumori ambientali in modo da non permetterci di sentire alcune battute, che c’e’ un combattimento stile videogioco e, peccato mortale, che l’entrata in scena di Vincent Cassel e’ realizzata col classico espediente per “stupire” lo spettatore con l’arrivo inatteso di un’importante attore (il personaggio si vede di spalle per un bel po’, senza far capire che e’ Cassel, e all’improvviso arriva l’inquadratura in primo piano ipercelebrativa). Inoltre, soprattutto all’inizio, la trama si sviluppa con qualche passaggio pretestuoso e mal costruito. Tutto questo non basta però a bollare negativamente il film perché Kassovitz si dimostra ottimo regista e sfrutta tutti questi espedienti con enorme bravura creando un film modaiolo ma perfetto, falso ma avvincente. Sappiamo di essere manipolati, ma non ci importa, assorbiti come siamo dalle atmosfere torbide e dai mille segreti della pellicola. “Fiumi di porpora” non diventerà mai un film di culto come “L’Odio”, ma dimostra le indubbie capacità di un regista tra i pochi europei capaci di fare solidi film di genere ad alto budget senza nulla invidiare all’America. Misterioso omicidio a Sarzac.

Graziano Montanini

RECENSIONE N.3

Nel 2000 è ancora possibile riuscire a girare film gialli che non scadano nell’effettistico, nell’esagerazione tipica Hollywoodiana, nel buonismo.
Basta produrli in Francia ed affidarli a uno come Kassowitz, il regista de “L’odio”. Ed e’ già molto, abituati alle recenti produzioni “made in usa”.
Vicenda cruda, a tratti intricata, dai toni neri o grigi, anche a seconda della luce della fotografia, IFDP in partenza somiglia lontanamente ad uno dei Dario Argento anni ’70 o per lo meno li ricorda a livello subliminale.
Non c’e una sbavatura, una concessione all’impressionistico e all’impressionare in modo gratuito, almeno per tutto il primo tempo. C’e’ qualche cliche’ tipico del giallo, nelle situazioni e nei personaggi.
La musica inizia a cambiare decisamente nel secondo tempo; il film diventa via via più didascalico, ma spesso l’intreccio si fa più confuso e difficile da seguire, le logiche, i moventi, i meccanismi non sono spiegati come dovrebbero, non vengono capiti.
Si dice l’inutile, si allude solo al necessario, ove questo non si tralascia.
E dai corpi mutilati trovati nel ghiaccio, che portano due detective della Polizia francese ad incrociare le loro indagini partite separatamente nei pressi di un piccolo paesino-campus tra i Pirenei, da questa storia di delitti e di segreti e segrete cospirazioni, Kassowitz non riesce alla fine ad estrarre una conclusione soddisfacente e appagante per lo spettatore. Piace Cassel, forse un po’ legato Reno, sono piacevoli le due o tre sequenze di azione e di tensione esplicita, forse solo un po’ gratuite, ma il finale rivelatore sciupa tutto, come una palla buttata fuori a porta vuota dopo una bella azione.
Banale e deludente, come il tema di uno studente svogliato che abbia fretta di consegnare, l’epilogo lascia l’amaro in bocca dopo un film che tutto sommato, visti i tempi che corrono, lasciava presagire un compimento più consono.
Una cosa è sicura: se andate a leggervi il romanzo di Grangè, sicuramente capirete di più sul movente e sul finale. Sicuramente Kassowitz si e’ perso da qualche parte nel passaggio tra le 450 pagine del romanzo e i 100 minuti del film.
Peccato.

Guglielmo Pizzinelli