Scheda film
Titolo originale: Wind River
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Taylor Sheridan
Fotografia: Ben Richardson
Montaggio: Gary Roach
Scenografie: Neil Spisak
Costumi: Kari Perkins
Musiche: Nick Cave e Warren Ellis
Suono: Jonathon ‘Earl’ Stein
Francia/G.B./USA, 2017 – Thriller/Drammatico – Durata: 111′
Cast: Jeremy Renner, Elizabeth Olsen, Jon Bernthal, Kelsey Chow, Julia Jones, Gil Birmingham, Graham Greene, Martin Sensmeier, Eric Lange, Ian Bohen, Hugh Dillon.
Uscita: 5 aprile 2018
Distribuzione: Eagle Pictures
Tracce di sangue sull’ultima frontiera
Durante una stagione invernale nella riserva indiana del Wind River nel Wyoming, l’agente della U.S. Fish and Wildlife Service, Cory Lambert (Jeremy Renner), un cacciatore professionista il cui compito è quello di stanare i grandi predatori della zona, scopre il corpo senza vita e parzialmente congelato, della giovane Natalie (Kelsey Asbille Chow). Trattandosi di un territorio federale, viene chiamato ad indagare un agente della FBI, l’inesperta ma ostinata Jane Banner (Elizabeth Olsen), in servizio nella lontana Las Vegas, il tutto sotto lo sguardo attento del capo della Tribal Police, Ben (Graham Greene), che ha giurisdizione su queste innevate terre dell’estremo nord degli States. Dopo aver preso in considerazione alcuni sospetti, come ad esempio il fratello tossico della vittima e un gruppo di sbandati locali, le indagini virano sul nuovo fidanzato di Natalie. A complicare le cose c’è però una tragica coincidenza, le circostanze della morte della ragazza, sono del tutto simili a quelle in cui, un anno prima, perì la figlia dell’agente Lambert.
Il regista Taylor Sheridan, con I Segreti di Wind River chiude la sua ideale trilogia iniziata nel 2015 con il Sicario di Denis Villeneuve e nel 2016 con Hell or High Water per la regia di David Mackenzie. Tre pellicole rigorose e necessarie, che spostano l’attenzione verso la moderna frontiera americana, confezionando un whodunit non convenzionale, una raffinata caccia all’uomo, che per l’ambientazione ricorda tanto Fargo dei Coen Bros., quanto Soldi Sporchi di Raimi. Ma il mistero della riserva indiana di Wind River descritta da Sheridan, sembra attingere a piene mani dal respiro narrativo delle opere di Cormac McCarthy, soprattutto nel modo in cui sfrutta gli spazi geografici, selvaggi e innevati, per giustificare metaforicamente, quelli psicologici dei personaggi, tutti incredibilmente ben delineati. Il ritmo, volutamente rarefatto, della narrazione sembra alludere alla desolazione di una terra, le montagne isolate del Wyoming, abbandonate da Dio, ma non dagli abitanti locali.
Wind River è inoltre un tentativo cinematografico (l’ennesimo) per espiare le colpe per l’inarrestabile frequenza di femminicidi, tanto quanto per l’atavica e inconsolabile frustrazione “white american” per il modo in cui vennero sradicati i nativi dalle loro terre e confinati in riserve ai margini geografici e sociali degli States. A tal proposito, non è un caso che Sheridan apra il sipario con una frase potente che desta lo spettatore da un approccio pericolosamente netflixiano ed acritico: “credo che i miliardari abbiano soppiantato i milionari di tanti anni fa”.
Una pellicola diretta bene e scritta meglio, che probabilmente meritava qualche riconoscimento in più dalla critica americana, ancora ipocritamente bendata dal ciclone #metoo, che ha di fatto penalizzato il film di Sheridan, visto il turbolento passaggio dei diritti dell’opera dalla The Weinstein Company alla Lionsgate, con omissione dei crediti e del logo della TWC e la perdita dei diritti di distribuzione, a seguito ovviamente delle note accuse di abuso sessuale di Harvey Weinstein.
Un paradosso per un film che ruota narrativamente intorno alla violenza e alla morte di una giovane donna.
Voto: 7 e ½
Giuseppe Silipo