La casa e l’orrore. Connubio indissolubile con radici lontane, che il cinema ha fotografato attraverso l’involuzione delle pareti domestiche da nido d’affetti a crogiuolo di sofferenze. Il trio di produttori Gilbert Adler, Joel Silver e Robert Zemeckis, dopo “Il mistero della casa sulla collina” (riuscito solo in parte), torna a saccheggiare gli anni sessanta di William Castle e ripropone l’ennesima casa dall’apparenza perfetta che racchiude le anime inquiete di spettri vendicativi. Il risultato e’ deprimente: non coinvolge, non emoziona e, soprattutto, non impaurisce. Banale anche il messaggio, che ripropone acriticamente il mito salvifico della famiglia. La regia sembra preoccuparsi unicamente di amalgamare gli effetti speciali e non riesce a creare la minima tensione. La casa sarebbe molto suggestiva nella sua originale architettura, ma lo spettatore non ha mai alcuna coscienza dello spazio in cui si muovono i personaggi. Ogni stanza, pur se dettagliata, e’ priva di riconoscibilita’ e diventa, percio’, sovrapponibile. La sceneggiatura non tenta mai di spiazzare lo spettatore che capisce fin dall’inizio che una bella e tonante esplosione risolvera’ tutti problemi. I dialoghi sono di una ingenuita’ sconcertante e privi di quell’ironia che avrebbe potuto almeno divertire. I personaggi, infatti, pure cartoline dotate di psicologia meccanica, si ritrovano ad esclamare frasi come “Per le barriere nascoste!” o “Ci troveremo nella merda ectoplasmica fino al collo!” fino a pillole di intuito come “Il tredicesimo fantasma e’ una valvola di sicurezza!” o, ancora, “si sta per aprire l’ocularis infernum!”
Probabilmente il progetto voleva rinverdire i fasti dell’horror gotico aggiornando le situazioni e le immagini ai tempi, ma la tecnologia non sopperisce alla carenza di idee. Anche visivamente, “I Tredici Spettri” e’ debitore di mille altri film con trovate, come l’intermittenza dei fotogrammi quando compaiono i fantasmi, ormai abusate e, soprattutto, fastidiose per la loro gratuita’. Tra l’altro i personaggi indossano appositi occhiali per vederli e non si capisce davvero la necessità di un effetto stroboscopico ogni volta che i fantasmi compaiono! Resta da scoprire quale motivazione abbia spinto F. Murray Abraham (doppiato come lo zio Fester della famiglia Addams!) a calarsi in un progetto così fallimentare! L’unica cosa che si salva e’ il piano sequenza che accompagna i titoli di testa e che riassume, con efficace sintesi, il prologo. Dopo, l'”ocularis vacuum”!

Luca Baroncini