Scheda film
Regia: Calin Peter Netzer
Sceneggiatura: Razvan Radulescu, Calin Peter Netzer
Fotografia: Andrei Butica
Montaggio: Dana Bunescu
Scenografie: Malina Ionescu
Costumi: Irina Marinescu
Romania, 2013 – Drammatico – Durata: 112′
Cast: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Florin Zamfirescu, Ilinca Goia, Vlad Ivanov, Mimi Branescu
Uscita: 13 giugno 2013
Distribuzione: Teodora Film
Sale: 5
Up and down – Un viaggio nella società rumena
Dopo Gloria questo splendido film rumeno ci regala un’altra meravigliosa figura femminile alla Berlinale. Una mamma che lotta per aiutare il figlio ormai grande e ultra trentenne, fino a una sorta di riconciliazione finale… Il figlio infatti uccide accidentalmente un bambino in strada con l’auto e quindi viene arrestato dalla polizia e sottoposto a controlli. Rischia fino a 15 anni di carcere.
La madre fa di tutto per evitargli la condanna, una madre all’italiana verrebbe da dire, ma nella lotta mette a nudo ferite mai rimarginate e nodi mai sciolti del proprio rapporto col figlio.
È lei a trainare la trama e a reggere il film quasi interamente sulle proprie spalle, giocando sul doppio binario della difesa del figlio e del tentativo di riconquistare il suo amore o forse semplicemente il controllo su di lui, ragazzo un po’ inetto e immaturo.
Nel film vediamo anche un drammatico spaccato delle disugaglianze sociali in Romania e della corruzione. Vediamo quindi un interessante affresco di come i “ricchi” cerchino di piegare il diritto alle proprie esigenze a dispetto dei “poveri” (i genitori del bambino ucciso).
Il cast prevede i migliori attori del cinema rumeno attuale, già presenti nei film di Mungiu.
La colonna sonora è splendida, da Gianna Nannini a Bach. il finale drammaticissimo è commovente richiama tutto l’ottimo recente cinema romeno recente, tra cui lo splendido Beyond the hills, presente a Cannes 2012.
Un film intimista e familiare con una spiccata vena drammatica e qualche riflessione sociale.
RARO perché… è un film di denucia che, nell’indifferenza diffusa, troverà poco interesse…
Voto: * * *¾
Vito Casale
#IMG#Cosa non si fa per i figli
In un mercato schizofrenico e machiavellico come quello italiano, dai gusti spesso molto discutibili e caratterizzato da una indifferenza quasi totale nei confronti di una certa tipologia di cinema dall’impronta più autoriale, al quale viene preferito di gran lunga quello legato alle logiche del mainstream, diventa sempre più difficile trovare uno spazio quantomeno dignitoso nel quale andare a collocare un’autentica perla come Child’s Pose. L’Orso d’Oro e il premio della critica internazionale conquistati alla 63esima edizione della Berlinale hanno permesso all’opera terza di Călin Peter Netzer di approdare nelle sale nostrane a partire dal 13 giugno, anche grazie al coraggio e alla lungimiranza dimostrati da Vieri Razzini e dall’intero staff della Teodora Film. C’è da dire che i riconoscimenti ottenuti e le critiche positive raccolte tra gli addetti ai lavori a volte non bastano a convincere il pubblico ad andare a vedere un film. Per questo appare palese il tentativo della distribuzione di attirare qualche spettatore in più cambiando il titolo originale, intraducibile in Italia, con un titolo decisamente fuorviante come Il caso Kerenes, con il chiaro intento di richiamare alla mente un immaginario giallo o thriller che con il film non ha nulla in comune. Ma si tratta alla fine di una bugia detta a fin di bene.
Dunque, se da una parte si devono sottolineare i meriti della Teodora di averlo accolto nel suo listino, dall’altra bisogna mettere in evidenza la cecità dimostrata dall’intero apparato distributivo tricolore nei confronti del pluri-premiato regista rumeno, le cui pellicole precedenti sono ancora oggi inedite in Italia, nonostante il numero considerevole di riconoscimenti raccolti nel circuito festivaliero internazionale. Stiamo parlando di Maria, esordio dietro la macchina da presa targato 2003 che si è aggiudicò il premio Speciale della Giuria a Locarno e una candidatura agli European Film Awards, e del successivo Medaglia d’oro del 2009, capace di portarsi a casa ben cinque premi al Thessaloniki International Film Festival. Ma a quanto pare per Netzer non vige la regola del non c’è due senza tre. I due riconoscimenti alla kermesse tedesca possono rappresentare un motivo di attrazione per il pubblico, o almeno per una parte di esso, così come era accaduto al film di Cristian Mungiu, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2007. Per entrambe le pellicole gli allori sono stati determinanti, utili come non mai ad accendere quantomeno una luce su una cinematografia, quella rumena, che dal 1998 ha messo le basi per un’autentica rinascita grazie alle pellicole firmate da cineasti come Pintilie, Mihăileanu, Puiu, Paunescu, Mitulescu, Popescu, Sitaru, oltre ai già citati Mungiu e Netzer.
Dentro Il caso Kerenes è possibile rintracciare gran parte degli aspetti chiave presenti nella scuola di appartenenza, tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello più strettamente tecnico-stilistico. Lo scambio simbiotico tra scrittura e messa in quadro è, infatti, alla base di tutto e contribuisce a fare in modo che vengano a galla quei caratteri personali e riconoscibili di un certo modo di produrre e concepire la Settima Arte in Romania. Netzer firma un dramma di grandissima intensità e potenza espressiva, che dopo una ventina di minuti circa di rodaggio esplode letteralmente fino a un epilogo straziante di fronte al quale non si può rimanere indifferenti, offrendo al pubblico un racconto che sa come accarezzare e schiaffeggiare le corde del cuore.
Il risultato è una storia di perdono e presa di coscienza che lascia nel fruitore un senso di angoscia e disagio, davvero difficile da scrollarsi di dosso anche dopo molte ore dalla visione. Questo perché ciò che scorre sul grande schermo instaura con il singolo spettatore una forte empatia. Lo script lavora in maniera efficacissima su due possibili livelli di lettura, che finiscono a loro volta per guidare e sostenere il plot: da una parte una dimensione socio-antropologica che mostra senza filtri o cliché la Romania di questi anni, così maledettamente simile all’Italia per comportamento e vizi [intrallazzi, scorciatoie e raccomandazioni], dall’altra una sfera più intima e familiare che scava nelle dinamiche affettive di un focolaio domestico. Ed è proprio l’equilibrio tra la descrizione di una Società corrotta e malata, fondata sul malcostume e su un profondo baratro fra le classi sociali, e il rapporto maniacale e ossessivo di una madre nei confronti del proprio figlio, il baricentro del film.
Tale sottile equilibrio passa attraverso un linguaggio crudo e diretto, frutto di un realismo che richiama al cinema cieco e russo degli anni Sessanta, dal quale prende una scrittura solida e un ottimo disegno dei personaggi, al quale ci sentiamo di accostare anche delle influenze provenienti da autori come Cassavetes e i fratelli Dardenne. Da quest’ultimi, Netzer ha fatto suo uno sguardo semi-documentaristico che estirpa dalla superficie filmica l’artificio, per lasciare spazio alla naturalezza. La macchina da presa osserva i corpi e cattura le situazioni rimanendo invisibile, sempre in disparte quasi a volere spiare ciò che accade. Lunghe inquadrature a mano, che rinnegano in tutto e per tutto la grammatica classica che vuole l’utilizzo spasmodico del campo controcampo, raccontano con glaciale sicurezza gli accadimenti, mentre davanti a noi i continui scambi di sguardi complici o ammonitrici, i gesti trattenuti o forzati tra i personaggi, sono la base drammaturgica sulla quale pesano come macigni i silenzi assordanti e le mezze parole. Il resto lo fa il cast capitanato da una gigantesca e immensa Luminiţa Gheorghiu, alle prese con un ruolo complesso come quello di Cornelia, madre disposta a fare qualsiasi cosa per difendere il proprio figlio, anche davanti all’evidenza.
Voto: * * * *½
Francesco Del Grosso