William Hundert è un insigne professore di storia classica in un celeberrimo istituto privato. L’arrivo del presuntuoso figlio di un senatore, Sedgewick Bell, sconvolge l’equilibrio e l’armonia della sua classe, costringendo Hundert ad un duro confronto con il ragazzo. Ben presto, però, Sedgewick si rivelerà un arma a doppio taglio per il professore…
Commedia dal sapore amarognolo, Il club degli imperatori, appare dal principio sotto le inconfondibili spoglie del tipico ‘bidone’ americano: soliti dialoghi, solita struttura narrativa, finale prevedibile fin dai primi minuti, scene viste e riviste.
Nella storia tra il ‘bulletto’ con problemi familiari e l’irreprensibile professore di Storia greco-romana, rivediamo sorgere un cliché dai meccanismi ormai ben oliati: il contrasto, la scoperta dei problemi del ragazzo, il tentativo di aiutarlo, la redenzione, la gara scolastica di fine anno nella quale egli cerca il riscatto.
Se Hoffman si limitasse a ciò, si parlerebbe di un insulso film da gettare nel dimenticatoio senza alcuna remora. In realtà, nella seconda parte, si fa strada una critica sociale che, in mancanza di originali spunti narrativi, non si può non apprezzare.
Dall’alto della semplice commediola americana, il regista punta l’indice contro i valori che sembrano contare al giorno d’oggi. L’unico rimedio all’ipocrisia e l’imbroglio, che il film lega indissolubilmente alla politica (il luogo deputato alla guida del Paese), sono un’educazione che prenda spunto dai modelli del passato, dalla storia e dalla letteratura.
Il filtro del professore, interpretato da Kevin Kline, consente allora di affrontare gli eventi con l‘idealismo necessario per scandalizzarsi di fronte ai piccoli (e altrimenti insignificanti) inganni orditi, riconducendoli ad un timore nei confronti delle giovani leve che dovranno guidare il Paese.
La malinconia sul trascorrere del tempo che soggiace a questa tematica è altro elemento da considerare per spiegare un film che, se appare banale nella trama, riesce a sfiorare emotivamente nelle atmosfere. Questo soprattutto grazie ad un ottimo Kevin Kline, che regge nello sguardo disilluso l’amarezza per la nostra epoca, tutta potere e pragmatismo, senza spazio per la lealtà e i valori umani.
Peccato per il lieto fine che arriva con una superficialità tipicamente americana e s’illude di sintetizzare lo sboccio dei valori insegnati agli ex alunni semplicemente con gli affettuosi festeggiamenti al professore. Tant’è, ma trattasi di opera americana…
Francesco Rivelli