E’ grazie al perfetto meccanismo narrativo di Dan Brown che “Il Codice Da Vinci” ha venduto circa cinquanta milioni di copie nel mondo. Una rilettura esoterica della religiosità, il percorso iniziatico dei protagonisti del romanzo e la personale interpretazione, veritiera o meno, di alcune celebri opere d’arte hanno fatto il resto. Aggiungiamo poi che le storie gotiche e leggendarie legate alla massoneria, ai templari e all’ opus dei hanno sempre il loro “ tiro”. L’arte, o la furbata, del narratore è stata quella di amalgamare tutti questi ingredienti, impreziosendoli magari con una spruzzata di teorie più o meno tratte dai vangeli apocrifi che tanto ha fatto incazzare la Chiesa e i soldati flagellanti e “riservatissimi “ della stessa opus dei.
Il Codice resta comunque un romanzo affascinante. Qualunque lettore avrà certamente sceneggiato nella sua mente un possibile film, lungo, lunghissimo e denso di citazioni storiche, artistiche e religiose.
E’ toccato all’esperto regista Ron Howard realizzare il sogno di tanti comuni mortali. Certo, non è mai stato semplice trarre un buon film da un romanzo di successo, ma l’impressione è che il regista di “A Beautiful Mind” abbia toppato alla grande.
Non che “ Il Codice” non sia visivamente “potente” in alcuni frangenti, ma Ron Howard , alfiere del mainstream cinematografico, è riuscito a privare il suo film di tutti quei riferimenti esoterici che hanno spinto ogni lettore del libro, pagina dopo pagina, a divorarlo in breve tempo alla ricerca della “rivelazione”.
Howard, realizza un thriller scialbo e senza tensione. Il percorso iniziatico sulle tracce degli illuminati o Priorato di Syon compiuto dallo studioso Langdon creato da Brown si è trasformato in una

prevedibile, fumosa e mal narrata caccia al tesoro. Gli enigmi, la numerologia, le opere d’arte hanno lasciato spazio agli indovinelli.
Probabilmente Howard cercava soltanto il puro intrattenimento. Gli è riuscito soltanto nei primi 20 minuti e nella caratterizzazione del personaggio del monaco albino, un ottimo Paul Bettany. Degni di nota anche i flash back storici, davvero imponenti.
Citando il Califfo nazionale, tutto il resto è noia. Tom Hanks è completamente inespressivo e fuori ruolo, Jean Reno la caricatura perenne di sé stesso. Di Audrey Tatou neanche ci si ricorda.
Non è ardito affermare che con budget meno consistenti e con minori pretese, sia “ I Fiumi Di Porpora” che “ Il Mistero Dei Templari” sono stati certamente più divertenti.
“Il Codice Da Vinci” polverizzerà qualunque record di incassi, tuttavia sarà difficile che possa piacere anche al grande pubblico, un peccato, considerata l’imponenza della sceneggiatura che Ron Howard si era trovato tra le mani.
Francesco Sapone

Nessuna sorpresa. Il tanto atteso kolossal diretto da Ron Howard e tratto dal best seller di Dan Brown non ha nulla di più e nulla di meno di quanto dovesse avere. Non stupisce nemmeno la feroce critica espressa a Cannes, laddove gli interessi politici pesano più di quelli economici (stile Hollywood). Il libro, che ho letto con tante aspettative, si è rivelato un buon thriller, scritto bene, dal taglio già di per sé cinematografico, con molte invenzioni funzionali alla storia, senza alcuna pretesa di veridicità. Il film è molto fedele al romanzo, non va oltre, inserendo qualche flashback, modificando minimamente il plot per renderlo più snello, anche se il risultato finale raggiunge le due ore e mezza. Tempo lungo ma per niente pesante, la pellicola scorre bene, è ben recitata (escluso Jean Reno, ormai sintonizzato sulla stessa frequenza attoriale), ben fotografata, Zimmer ritrova una forma smagliante nella colonna sonora, dopo essersi un po’ ripetuto negli ultimi lavori. Infine Howard. L’ex attore di Happy days indubbiamente si è dimostrato un ottimo regista, nel senso che riesce a gestire splendidamente materiali bollenti e dall’alto tasso di aspettative come questo Codice Da Vinci, riesce ad essere autore in rari casi (The missing), confeziona film “perfetti” che non vanno oltre la forma (A beautiful mind), inciampa rovinosamente quando vorrebbe crearsi una poetica e un’aura da intellettuale (Cinderella man). Non c’è nesuna sorpresa in questo film. Semmai c’è un’incomprensione. C’è chi ha scambiato il romanzo di Brown per un capolavoro della letteratura contemporanea, chi lo ritiene la chiave per la Verità (esiste una verità?), quando invece è solo un bel giallo, ben scritto e a tratti innovativo. Il flm è tale e quale. Avvincente per chi non ha letto l’origine cartacea, un po’ meno per gli altri. Comparato con i tanti thriller d’azione Il Codice Da Vinci è poco sopra la media. Confrontato con i film d’autore nel vero senso della parola, con certo cinema ora poetico ora intellettuale, mai demagogico, è tragicamente irrisolto e banale. Non facciamolo più grande di quello che è, limitiamoci alla prima opzione.
VOTO 6 ½
Andrea Fontana

andrea_fontana81@yahoo.it

Figli di un Dio in minoranza 

Non staremo a chiederci se sia meglio la versione cartacea o quella cinematografica. Tanto, almeno qui in Italia, anche se il libro l’hanno comprato in milioni, potrebbero non essere molti quelli che l’hanno realmente letto. Il paragone può apparire ancora più sacrilego, ma domandiamoci: parleremmo allo stesso modo di un film (uno dei tanti, compresi quelli che illustrano singoli episodi) tratto dalla Bibbia?
“IL CODICE DA VINCI” di Ron Howard, tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown, è un discreto film fantastico, ricco di azione e pieno di interessanti suggestioni, nonché latore di diversi spunti di riflessioni su molti aspetti del mondo in cui viviamo.
Le vicissitudini di Robert Langdon, esperto di simbologia, alle prese col misterioso omicidio del curatore del Louvre, che ha scritto il suo nome sul pavimento prima di morire, è quasi un pretesto per illustrare, attraverso brillanti ed intriganti enigmi, una serie di ipotesi (prese in prestito una per una da diversi testi) sulla religione cattolica, sulla figura di Gesù e di Maria Maddalena, che, se verificate, rivoluzionerebbero le nostre conoscenze attuali e minerebbero il potere della Chiesa cattolica. L’intreccio narrativo è comunque denso di colpi di scena – ha almeno tre finali! – e così fitto che se pure qualcosa effettivamente non dovesse quadrare, non sarebbe facile accorgersene, se non dopo ripetute visioni. Come thriller funziona benone, in quanto strumento di divulgazione pure, malgrado molto vada rimandato alla buona disposizione dello spettatore ad accogliere le teorie presentate e a condividerle. Ron Howard è un ottimo e prolifico mestierante (COCOON, APOLLO 13, EDTV) di cui non si ricordano capolavori, a parte il pluridecorato agli Oscar A BEAUTIFUL MIND, e ben si presta ad un’operazione come questa, cioè il varo di uno dei blockbuster dell’anno, forte del peso delle innumerevoli copie del libro vendute, ma anche gravato dall’attesa di più o meno altrettanti lettori curiosi e dalle mai sopite polemiche da parte del Vaticano e dell’Opus Dei (trai suoi adepti nel racconto si cela un assassino) pronte a riuscire fuori ancora più veementi all’arrivo in sala, tanto per ribadire che la gente che legge è sempre poca rispetto a chi va al cinema.
L’ottimo mestierante, malgrado la freddissima accoglienza riservata alla pellicola all’inaugurazione del Festival di Cannes, è riuscito nell’impresa, pari, se non superiore, a quella dell’eroe della storia e su più livelli: confezionare un’avvincente prodotto, non tradire il libro e più che altro le aspettative di chi lo aveva letto o lo leggerà (anche se avevamo detto che a noi quest’aspetto poco interessava) e mungere i botteghini.
Ce l’ha fatta, anche con un gusto non usuale di usare certi effetti di grafica digitale, per esempio, e con la collaborazione di: un sempre più curioso Tom Hanks, con una capigliatura tra il vetero-cavalleresco e il neo-cesareragazzesco, che a più di vent’anni da SPLASH – UNA SIRENA A MANHATTAN torna a lavorare con lui; una stanca e statica Audrey Tatou, ma perfetta per il ruolo (senza voler svelare nulla, chi, se non la quasi santa Amélie, poteva dare volto a Sophie Neveu, il personaggio interpretato qui, visto quello che dovrebbe rappresentare per l’umanità?); un sulfureo ed ambiguo quanto basta Sir Ian McKellen, stavolta Sir (Leigh Teabing) anche nella finzione; un doloroso e gelido Paul Bettany (Silas); le musiche di Hans Zimmer (e Flipper Dalton e Martin Terefe) che riescono perfino ad emozionare, come nell’ultimissima grandiosa scena rilvelatrice.
E combina pure una strana alchimia, non sappiamo quanto già presente nel testo scritto, che culmina nel pre-finale, quella di poter lasciare alla fine gli animi leggeri, lontani e liberi dalle polemiche, col singolare pensiero che se anche la Chiesa non avesse ragione d’esistere così com’è, questo tuttavia non ci impedirebbe di credere all’esistenza di Cristo e alle sue gesta. Semplicemente divino.
VOTO: * * *½. . 
Paolo Dallimonti

Voto (da 1 a 5): ** ½
Come non decodificare correttamente un romanzo di successo al fine di ottenere un buon film. Premessa obbligatoria: il libro di Dan Brown non l’ho letto e non credo che neanche lo leggerò; come polpettone religioso mi è bastato il Vangelo durante il catechismo e qualche stralcio della Bibbia qua e là, giusto per sapere che era sbagliato pensare che fosse il sole a girare intorno alla Terra e che il domandare ad Abramo di uccidere il proprio figlio faceva di Dio il vero detentore del copyright di “Scherzi a parte”. Ma torniamo alla pellicola.  “Il Codice Da Vinci” non è un brutto film, ma solamente un film inutilmente miliardario e noiosamente verbosissimo senza una benché minima iniezione di adrenalina; il che, se fosse la trasposizione di un testo di teologia, non sarebbe neanche una gran colpa, ma purtroppo dovrebbe essere un thriller. E qui sorgono i problemi.
Non sto a discutere sull’aderenza o meno dei due attori protagonisti ai personaggi inventati dallo scrittore (in fondo Tom Hanks con il viso smunto ed i lunghi capelli unti per me potrebbe anche starci, così come la bella Audrey Tautou doppiata come l’Ispettore Clouseau), anche perché non ho letto il libro e considero il cinema un media diverso, obbligato dal proprio specifico linguaggio a tradire la controparte letteraria (“Ah, ma il libro è tutta un’altra cosa…”); dico solo che quel che ha realizzato il lentigginoso Ron Howard non è altro che uno sterile e freddo compitino, dalle pulsazioni degne di un rigor mortis.
DA TENERE:
Decisamente il cattivello Paul Bettany che, “Tutto in una notte”, riesce a dare del filo da torcere ai buoni e pure al proprio corpo. Non vado oltre per non spoilerare, ma i momenti più digeribili li si devono al suo personaggio.
DA BUTTARE:
Le due ore e mezza (troppe!) di chiacchiere senza un filo di umorismo sulla legittimità storica di Cristo, sulla veridicità delle profezie di Da Vinci, sulle interpretazioni dei Vangeli apocrifi… Alla fine si esce dal cinema sbuffando ed invocando l’ateismo per tutto il mondo (che i fanatici religiosi che dimostravano fuori dal cinema con tanto di cartello “Basta bestemmiare”, recitando ininterrottamente il “Rosario del pentimento” -o giù di lì-  avessero davvero ragione..? Oddio, se li avessi ascoltati forse avrei risparmiato i soldi del biglietto…).
CONSIDERAZIONE FINALE:
Va bene, mi butto ben conscio di rischiare la flagellazione da parte di quei tre-quattro che leggeranno questa specie di recensione: era più divertente e piacevole “Il mistero dei Templari”! Ok, ok, comincio da solo a fustigarmi, ok…
BenSG