Inizia il film, leggiamo un introduzione in cui si dice che il torneo era lo sport più amato in epoca medievale, ed ecco spuntare un giovanotto coi dreadlocks che si cimenta in torneo mentre il pubblico canta “We will rock you”. Ed eccolo poco dopo incontrare una ragazza che si fa chiamare “foxy lady”.
Helgeland comprende a fondo le teorie su cui si basa il cinema storico hollywoodiano, e rende esplicito un gioco che nella maggior parte dei casi fino ad oggi e’ rimasto nascosto. La rappresentazione della storia vista non in maniera accurata ma trasfigurata da occhi moderni per renderla più commerciabile e’ infatti una costante in America (come ultimo esempio non si puo’ non citare “Il gladiatore”), ma mentre risulta irritante quando viene utilizzata in maniera subdola e nascosta, diverte quando il gioco diventa esplicito.
Tanto esplicito che “Il destino di un cavaliere” in fondo assomiglia molto di più a un film sportivo che a un film medievale: con qualche cambio di ambientazione, sarebbe credibile anche come storia di un ragazzo di colore nato nei bassifondi che diventa un campione di baseball.
Peccato che il film dopo un po’ si perda, risultando inutilmente lungo e rinunciando in parte alla vena dissacrante delle primissime inquadrature a favore di uno svolgimento più classico.
“Il destino di un cavaliere” poteva essere di più, poteva essere un alfiere della rivoluzione postmoderna nel cinema, cosi’ com’e’ rimane un buon film di intrattenimento, non indispensabile ma sicuramente divertente ed appassionante. Accontentiamoci.
Voto: 6,75
Graziano Montanini