Recensione n.1
***** spoiler alert: level 1
Un capolavoro, inutile discutere. Cinque stelle a questo film nessuno potrà mai contestarmele. Qualcuno mi vorrebbe forse dire che la trama è piuttosto esile, che il mondo reale è tutta un’altra cosa, che non possono esistere situazioni così eccentriche e caramellose come quelle del film?? Macchissenefrega!!! Quando un film ti entra nel sangue (e di rado capita) e non ti lascia mai, quando anche a distanza di diversi mesi dalla visione si hanno vivi come allora i personaggi davanti ai propri occhi, quando si ricerca tutto il possibile dell’autore della meravigliosa colonna sonora, quando la frase “ma quando cavolo uscirà nei nostri cinema Amélie?” è il tormentone tra i fortunati che insieme a me lo hanno visto la scorsa estate (in Francia è uscito da quasi un anno sbancando i botteghini), quando ci si fa fare da un’immagine di un fotogramma un poster di due metri per uno e mezzo e lo si attacca sulla testata del proprio letto, quando l’amico grafico, anch’egli abbagliato dalla visione estiva, realizza un fotomontaggio dietro l’altro con noi inseriti in locandine del film, quando si è un po’ depressi e basta pensare che la fantasia e l’ottimismo ci potranno sempre salvare… beh, scusate, ma proprio NESSUNO potrà mai dirmi che “Il favoloso mondo di Amélie” non è il MIO film del cuore. Correte a vederlo, perché, in fondo, la vita è meravigliosa e alle belle favole dobbiamo saperci credere.
DA TENERE: Divertente, romantico, mai banale, con un’inventiva registica fuori dal comune, splendidamente interpretato da attori che sembrano nati per questo film. Ogni cosa è al posto giusto, ogni particolare è stato curato nei minimi dettagli… Devo aggiungere altro?
DA BUTTARE: I selezionatori di Cannes 2001 che lo hanno ignorato e la credibilità dell’Oscar se non lo vincerà quale miglior film straniero. Moretti? Ma non fatemi ridere…
NOTA DI MERITO: Il ritorno in grande stile di Jean-Pierre Jeunet al film corale ed eccentrico; a differenza di “Delicatessen”, che aveva diretto insieme a Marc Caro, questo però rappresenta l’aspetto più solare e “pulito”, anche se sempre grottesco, della sua poetica.
NOTA DI DEMERITO: La distribuzione italiana ci ha messo quasi un anno per farlo uscire da noi dopo otto mesi di successo in Francia ed un riscontro a dir poco eccezionale anche negli USA.
SITO UFFICIALE: http://www.amelie-lefilm.com/intro.htm Dopo esservi innamorati del film, scaricate i temi del desktop: ce ne sono per tutti i gusti. Tra l’altro c’è anche una simpatica guida per visitare i luoghi, reali, dove a Parigi è stata girata la pellicola.
Ben, aspirante Supergiovane
Recensione n.2
Piaciuto immensamente – penso che lo andrò a rivedere.
1) In questo film ci sono tutte (ma proprie tutte) quelle cose che non ci sono nei ‘veri’ film (come The Score, per esempio, o Il Pianeta delle Scimmie): dalla voce fuori campo al flou, da piccoli inserti animati a sguardi rivolti agli spettatori, da inserti in bianco e nero ad accelerazioni ad angolature oblique a troppi primi piani… La storia c’è ma non è una di quelle belle storie compatte e drammatiche e raccontate con ‘economia’: invece è pieno di digressioni, scenette, a parte…
Insomma, tutte quelle cose che dovrebbero esserci in un film ma che, per qualche motivo, di solito non ci sono e non ho mai capito perchè.
2) Si ride parecchio.
3) Piacerà a quanti amano il romanzo di Georges Perec ‘La Vita: Istruzioni per l’uso’. Se non l’avete letto ma vi è piaciuto il film, sapete cosa dovete fare.
3) Oggi più che mai, il termine fantasy è stato appropriato da un genere letterario/cinematografico molto ristretto (un po’ come il termine ‘creativo’ sequestrato dai pubblicitari). Amelie è un meraviglioso fantasy urbano moderno: si cerca di reincantare il mondo quotidiano piuttosto che impacchettare e spedire la fantasia in un mondo lontano e confortevolmente irraggiungibile.
4) C’E’ IL COMPAGNO STALIN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
5) Prima che qualcuno tiri fuori la parola ‘buonismo’: sì, il film pende un po’ dalla parte del bene e Parigi sembra candita (è bella, ma forse non così bella). Ma l’umorismo ed un fondo di tristezza e dolore impedisce che il risultato sia troppo zuccheroso. Già che ci siamo: il ‘cattivismo’ è altrettanto fatuo del ‘buonismo’ ed è apprezzato da persone spesso peggiori.
6) C’è un numero esagerato di primi piani della meravigliosa Audrey Tatou – e funzionano tutti! Se non funzionasse lei non funzionerebbe il film. Inoltre, non conoscendola affatto, non siamo distratti dal ricordo di film precedenti, non ci aspettiamo che si comporti o atteggi in un certo modo, non possiamo fare paragoni con il passato – un difetto di quasi tutti i film, in realtà. Già col prossimo film ci ricorderemo che era stata Amelie Poulain.
7) Per il momento, miglior film dell’anno, certo il campionato è lungo ma Amelie mette una seria ipoteca sullo scudetto…
Stefano Trucco
Recensione n.3
Nata in una Montmartre da sogno, Amelie e` una bambina infelice: il padre, medico apprensivo, la tiene reclusa in casa. Mancandole il contatto con gli altri bambini, costruisce un universo tutto suo. Immagina di fabbricarsi i vinili come le crepes, mangia le fragole come estensioni delle proprie dita, ritualmente lascia libero un pesciolino rosso con attitudini suicide.
Divenuta signorina (e che signorina!), Amelie trasporta nel mondo adulto suppellettili animate, quadri parlanti, reliquie del passato che narrano in prima persona (per mezzo del voice over); e poi s’improvvisa dispensatrice di felicita` non senza successo. S’innamora infine di un sognatore pari suo e vince le difficolta` del caso con mille stratagemmi, dopo un tentativo fallito che si conclude letteralmente con il suo scioglimento.
Dunque. Tolta tutta la sovrastruttura visuale, il film e` decisamente troppo lungo e a tratti noioso. Moltissime inquadrature della bella e brava Audrey Tautou, occhi nerissimi che bucano lo schermo, non bastano. La prima parte, sull’infanzia fantastica di Amelie, e` straordinaria sebbene non originale (fa venire in mente, per esempio, un interessante “Piccoli fuochi” di Peter Del Monte, molto piu` lunare e cupo); ma quando la “missione” della ragazza comincia a prendere forma, il gioco si fa peso e ripetitivo, il fuoco di fila di trovate si attenua e prende la via di un umorismo smielato e prevedibile.
Jeunet da` si` alle illusioni di Amelie una forma visiva smagliante, amplificando l’idea fino alle conseguenze estreme, ma pecca di presunzione. Per esempio l'”abbordaggio” di Mathieu Kassovitz, che dura qualcosa come 15 minuti di pedinamento delle frecce. Insomma, per me il ritmo e` decisamente troppo blando. Fondamentalmente povero di storia, il film e` poco o nulla in una confezione splendida; la sua arma numero uno e` il richiamo visivo ad un’innocenza perduta, ad un mondo primitivo di giochi che l’adulto medio si presume avere dimenticato. Jeunet, in altra parole, tira le corde giuste e finisce per realizzare un giocattolone da commozione.
Come in “Dancer in the dark”, c’erano spettatori dietro a me che sospiravano e singhiozzavano. Senza fare paragoni troppo spinti fra i due film, ma solo restando sul piano della furbizia: e` raro che un film mi faccia incazzare, ma questo e` uno di quei casi. “Amelie” e` una bufala, una commediola discreta immersa in quintali di melassa e piena di colpi bassi. Un film ultra sopravvalutato. Senza essere un abisso di infamia, sia chiaro, ma non meritevole del successo che sta avendo.
Claudio Castellini
Recensione n.4
La storia: Amélie, ragazza innocente che vive a Montmartre, lavora come cameriera e scopre di avere un talento naturale nell’aiutare la gente a raggiungere la felicità.
Si applica quindi con perizia per aiutare le esistenze delle persone che conosce, dando una mano al destino. Quando incontra Nino, un collezionista di piccole cose effimere, sente che la felicità sta bussando alla sua porta.
Scopre così che, a volte, Ë più difficile aiutare se stessi che gli altri. Certo, l’esile trama, non può in nessun modo chiarire il successo di un film, che dopo aver creato un fenomeno di costume in Francia Ë riuscito a rapire milioni di spettatori in tutto il globo.
Questa volta Jeunet ha trovato davvero la chiave giusta, per far breccia nel cuore degli spettatori, abbandonando il mondo grottesco e ansiogeno di “Delicatessen” e “Alien la clonazione”, per esplorare attraverso la stessa tecnica del realismo magico, il lato chiaro dell’esistenza. La ricostruzione di una Parigi fuori dal tempo e dai guai della metropoli contemporanea è perfetta. Quasi troppo visto che diverse testate specializzate hanno criticato pesantemente il suo carico sdolcinato e diabetico, di buoni sentimenti, che cerca in ogni modo di voler allontanare le preoccupazioni del tempo presente, rappresentando una Francia quasi anni ’40, depurata dalle etnie, e ripulita dalle nuove povertà. Forse si è persino esagerato nelle critiche, visto che nessuno si sogna di fare gli stessi appunti alla maggior parte delle pellicole che provengono dagli USA (spesso in queste vi è pure l’aggravante della banalizzazione della violenza). La favola contemporanea di Jeunet, in ogni caso è esplicita fin dall’inizio. Presenta i personaggi protagonisti della vicenda, attraverso le particolarità e le piccole manie (come rompere la crosta alla creme Brulé, o far scoppiare le bollicine dei fogli da imballo), costruendo un elogio della felicità dell’effimero, del piccolo e del quotidiano. Rifugge la complessità incontrollabile del mondo globalizzato, per abbracciare il microcosmo del quartiere e dei destini possibili che si sfiorano ogni giorno nei caffè. La tavolozza dei colori usati dal regista è come sempre avvincente, ma questa volta pare essere più controllata e maggiormente al servizio della narrazione. La leggerezza efficacemente ricercata, attraverso complessi movimenti di macchina, scenografie suggestive, contrasti cromatici lievemente surreali trasporta lo spettatore in un mondo ricostruito. L’impasto generato appassiona, incantata. La Parigi abitata da pittori pazzi, scrittori maledetti, portiere dal cuore infranto, droghieri insensibili, tabaccaie ipocondriache, bevitori gelosi, chiede solo di essere seguita con la razionalità dei sogni e la cecità dettata dal cuore.
Certo l’operazione non è priva di furbizie, di malcelati sentimentalismi e melliflue carinerie. In ogni caso, a volte, dovremmo lasciare a casa parte del nostro cinismo. Ricordarci che il cinema è soprattutto sogno e artificio (vero Mélies?) lasciandoci trasportare dalla fantasia. La capacità creativa di un regista come Jeunet, riesce a mio parere, dove Lasse Hallstrom con Chocolat aveva fallito. Ovvero ne circoscrivere la morale all’interno della pellicola stessa. Mostrando il trucco e l’artificio che sta dietro al suo mondo fantastico e autoreferenziale. A giudicare poi dal volto sereno e positivo degli spettatori all’uscita della sala, Jeunet con mestiere, furbizia, tecnica è pienamente riuscito nel suo intento. Del resto gli occhi neri, grandi e profondi di Amelie (Audrey Tatou) sono davvero irresistibili. Possono convincerci, per un istante, che una corsa in motorino abbracciati alla persona che sia ama è la felicità.
Paolo Bronzetti
Recensione n.5
Amelie e’ giovane e carina, ma anche frigida e asociale. Attraverso l’incontro con altri personaggi probabilmente usciti da un manicomio cerchera’ di riscquistare la parvenza di una vita normale. Per chi ha visto tutti i precedenti lavori di Jeunet, Amelie non e’ certo niente di nuovo. Molte delle trovate geniali del film vengono infatti dai primi cortometraggi, oppure da opere di altri registi. In “Foutaises” ad esempio avevamo l’elenco delle “Cose che mi piacciono, cose che non mi piacciono”. In “Pas de repos pour Billy Brakko” avevamo una storia raccontata in modo frammentario (come la lettera che amelie compone da pezzi di altre lettere). L’infanzia di Amelie sembra uscire pari pari (come atmosfere) dal bellissimo e sottovalutato “Leolo” di Lauzon. Lo stesso Collignon puo’ in un certo qual modo ricordare il macellaio di Delicatessen. Niente di nuovo quindi, ma semplicemente il collage dell’intera poetica di un autore concentrata in un solo film, intriso di melassa e buonismo. Ma sbaglierebbe chi pensasse che questo e’ un giudizio negativo. Amelie e’ un bel film, non un capolavoro ma un bel film. Un inno alla riscoperta delle piccole cose, un insieme di trovate spesso scollegate tra loro ma incredibilmente efficaci (come la bellissima storia del nano da giardino). Non facciamoci prendere pero’ da quella strana abitudine di sopravvalutare un film solo perche’ ci fa sentire piu’ buoni.
Graziano Montanini
Recensione n.6
Non c’è bisogno di scomodare maghi, draghi e incantesimi per narrare una fiaba. Jean Pierre Jeunet lo fa con la semplicità di chi scatta un’istantanea… e ci presenta Amelie.
Bella, certo, ma di quella bellezza di chi non si è fatta strappare la gioia di vivere, dai fatti tristi della vita; di chi riesce a trovare la tranquillità nella solitudine della propria casa, e di chi sogna che, dietro ad ogni sconosciuto, c’è un universo da scoprire. Un pò come in “Un amore, forse due”, dove i due protagonisti inventavano storie sui passanti… ma la differenza è che qui, tutto ha il sapore di un mondo visto attraverso gli occhi di un bambino. Di una bambina anzi, di ventitrè anni: grandi occhi scuri, vivaci e profondi.
Una bambina che però, non ha mai fronteggiato la paura di vivere, e la sotterra sotto mille attenzioni per le esistenze altrui. Spesso, le persone esageratamente altruiste, sono le prime incapaci di indirizzare le proprie esistenze. Così Amelie, che come Zorro, si erge a paladina degli oppressi, rischia di perdere un’occasione che potrebbe lasciare il suo cuore “secco e fragile” come le ossa dell’uomo di vetro.
Un’infanzia solitaria ha reso Amelie quella meravigliosa sognatrice, capace di descrivere i più reconditi pensieri dei personaggi di un quadro; ma anche impotente di fronte all’emozione d’amore, che la fa fuggire, nascondere, negare.
Ma come in tutte le favole, arriva il lieto fine, ed è bello pensare che il suo atto di fede verso l’amore, la renderà felice per il resto dei suoi giorni.
Esagerato? Forse sì… magari già visto, o ricco di citazioni. Ciò non toglie che si parla di un film coloratissimo e delizioso, che diverte e commuove con la stessa immediatezza; un film che regala qualcosa in più a chi ha vissuto un’infanzia come quella di Amelie, e che, nelle sue “stranezze”, ritrova dei comportamenti comuni.
Maggie